Giornata mondiale dell'Alzheimer, i progressi della medicina: una nuova speranza per i pazienti

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Di Ilaria Cicinelli
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Questo 21 settembre è dedicato alla sensibilizzazione sull'Alzheimer, una malattia neuro degenerativa ancora incurabile. In campo medico la sperimentazione di nuove farmaci restituisce speranza alle persone colpite dalla patologia. Ecco perché una diagnosi precoce è fondamentale

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Arriva una nuova speranza nella giornata mondiale dedicata a chi è afflitto dalla malattia di Alzheimer. Più di 55 milioni di persone sono affette dalla malattia degenerativa e incurabile del cervello. Ora gli scienziati affermano che questo è un momento in cui si stanno facendo concreti passi avanti nella sperimentazione clinica dei nuovi farmaci. 

Gli studi dimostrano che due farmaci, ora in attesa di approvazione, sono in grado di rallentare il decorso della malattia e gli scienziati affermano che altre promettenti medicine sono in fase di sviluppo.

I neurologi sostengono che quando sintomi come il declino cognitivo diventano evidenti, la malattia è già a uno stadio avanzato. Per questo è importante una diagnosi precoce. Quanto prima viene effettuata una diagnosi, tanto più efficace può essere un trattamento, perché può fermare il processo di morte delle cellule del cervello.

Nel maggio di quest'anno, dopo un ampio studio clinico, il gigante farmaceutico Eli Lilly ha annunciato che il suo farmaco sperimentale, donanemab, sembra rallentare il decorso della malattia.

Nello studio, durato 18 mesi, le persone con sintomi ai primi stadi, che hanno ricevuto dosi di donanemab, hanno mostrato un declino delle capacità di pensiero inferiore del 35% rispetto a quelle a cui è stato somministrato un farmaco placebo.
Il donanemab è progettato per colpire ed eliminare una proteina chiamata beta-amiloide, che si accumula formando delle placche. Queste a loro volta intasano il cervello e sono uno dei segni distintivi dell'Alzheimer.

Un farmaco simile, il Leqembi (Lecanemab), è stato prodotto dalla società farmaceutica Eisai di Tokyo.
Entrambe le aziende stanno cercando di ottenere l'approvazione negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Ci sono, però, ancora dubbi sulla sicurezza dei due rimedi. Tra gli effetti collaterali in seguito alla somministrazione possono insorgere in alcuni casi, infatti, gonfiore o piccole emorragie cerebrali.

TIMOTHY RITTMAN/AFP or licensors
La differenza tra un cervello sano (a sinistra) e uno affetto da Alzheimer (a destra)TIMOTHY RITTMAN/AFP or licensors

Nuovi approcci

Gli scienziati affermano che l'Alzheimer è una malattia complessa che deve essere affrontata da diversi punti di vista, non solo mirando alla beta-amiloide.

All'University College of London (Ucl), nel Regno Unito, gli scienziati del Dementia Research Institute sono ottimisti sullo sviluppo dei nuovi farmaci.
La ricercatrice Stephanie Fowler afferma che "per la prima volta, possiamo vedere che la malattia di Alzheimer non è più intrattabile. Questo è davvero incoraggiante per tutte le altre terapie che stanno nascendo, perché possiamo davvero fare qualcosa per migliorare i sintomi".

Scienziati come Fowler stanno preparando diversi studi clinici per capire come eliminare la tau, un'altra proteina responsabile della malattia cerebrale. "La patologia più precoce si può riscontrare tramite la proteina beta amiloide. Si può verificare un accumulo di amiloide per un certo numero di anni prima che il declino cognitivo diventi evidente. Ma una volta che la proteina tau inizia ad aggregarsi e ad accumularsi nel cervello, è qui che accelera il processo di degenerazione cognitiva. Quindi si comincia davvero a manifestare quando la tau inizia ad aumentare".

Nei prossimi due anni l'Ucl sperimenterà un farmaco che abbia come bersaglio questa proteina. Ciò potrebbe consentire ai medici di adottare un duplice approccio per combattere la forma più comune di demenza.

"Se riusciamo a ridurre la quantità del gene MAP-T che codifica la proteina tau, vediamo un ottimo risultato nei pazienti e una riduzione di circa il 50% della quantità di tau rilasciata nel liquido spinale cerebrale. Credo che la combinazione di trattamenti contro la beta amiloide e contro la tau sarà il modo in cui riusciremo a fermare la demenza", spiega Fowler.

Uno strumento essenziale: la diagnosi precoce

Un altro scienziato dell'Istituto, Marc Aurel Busche, sta utilizzando i progressi della neuroimmagine, il metodo che permette di mappare il sistema nervoso e il suo funzionamento, per vedere se è possibile fare una diagnosi più precoce.

I ricercatori del suo dipartimento utilizzano tecnologie come la magnetoencefalografia (MEG) e l'elettroencefalogramma (EEG) per vedere se è possibile diagnosticare l'Alzheimer prima che le proteine beta-amiloide e tau possano diventare distruttive.

Busche afferma che il semplice test per verificare la presenza di alti livelli di queste proteine nel sangue non è un buon modo per prevedere chi svilupperà l'Alzheimer. 
"Molte persone che presentano queste proteine non sviluppano mai la demenza. Quindi il valore predittivo di queste proteine da sole non è molto buono".

Busche e il suo team stanno studiando se segnali specifici in una parte del cervello possano dare un allarme precoce di Alzheimer. Secondo gli studiosi, è possibile rilevare i segnali elettrici specifici dell'Alzheimer prima della comparsa dei sintomi.

"Anche nella malattia di Alzheimer sappiamo che aree cerebrali specifiche vengono prese di mira in modo specifico, in particolare l'ippocampo, che è una regione importante per la memoria. E sappiamo che l'ippocampo ha segnali e firme elettrofisiologiche molto specifiche rispetto ad altre aree cerebrali", spiega Busche.

Misurando l'attività nel cervello e il funzionamento dei neuroni, si spera di capire come l'amiloide e la tau modifichino il funzionamento delle cellule. Gli studiosi ritengono che si possano cogliere segnali della malattia prima che le cellule vengano perse ma dopo che le proteine si sono accumulate nel cervello.
Busche afferma che se si riuscissero a rilevare i cambiamenti prima che le proteine diventino dannose, si potrebbe prevenire l'insorgenza dei sintomi dell'Alzheimer.

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