Vaccino anti-Covid: perché l'Unione Europea è così indietro rispetto a UK e USA?

Perché in Europa siamo più indietro sulla vaccinazione Covid?
Perché in Europa siamo più indietro sulla vaccinazione Covid? Diritti d'autore Francisco Seco/Copyright 2020 The Associated Press.All rights reserved
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Di Lauren Chadwick
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Processo di approvazione più lento, ritardo nella firma dei contratti, minor investimento rispetto monetario, intoppi burocratici nei vari Stati UE. Vi spieghiamo cos'è andato storto finora, ma anche cosa ha funzionato.

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Quando si parla di corsa all'immunità al Covid-19 attraverso il vaccino, non si può negare che l'Unione Europea sia indietro rispetto a tanti altri Paesi industrializzati.

Se da un lato Biden ha fissato un obiettivo di un milione e mezzo di vaccinati al giorno (negli USA siamo a 7,1 dosi ogni 100 abitanti) e il Regno Unito ha già vaccinato 11 persone ogni 100, la Germania ha inoculato 2,29 dosi ogni 100 abitanti, l'Italia 2,5 e la Francia 1,7 (statistiche: Our World in Data).

Non che la Commissione non sia conscia dell'urgenza di fare presto, tanto è vero che ha già firmato contratti per più di due miliardi di dosi di vaccino con sei aziende diverse. 

L'obiettivo è vaccinare il 70% della popolazione entro l'estate. 

Bruxelles sta fronteggiando in queste ore un fuoco di critiche incrociate sui ritardi nelle consegne da parte delle compagnie farmaceutiche, e in molti si stanno chiedendo se si poteva e si doveva fare meglio di così. 

Ma come mai nei Paesi UE siamo in ritardo? 

UE: processo di approvazione dei vaccini più lento di altri paesi

L'Unione Europea è stata più lenta ad approvare i primi vaccini contro il coronavirus rispetto a Regno Unito e Stati Uniti

Londra ha approvato il vaccino Pfizer/BioNTech il 2 dicembre, il primo semaforo verde arrivato in un paese occidentale. 

Poco più di una settimana dopo, lo stesso vaccino è stato approvato per l'uso di emergenza dalla US Food and Drug Administration.

L'Agenzia Europea dei Medicinali non si è pronunciata sul siero Pfizer/BioNTech fino al 21 dicembre, e le vaccinazioni sono iniziate la settimana successiva. 

In parte perché l'ente regolatore europeo richiede l'input di ogni stato membro, e rilascia un'autorizzazione condizionata alla commercializzazione che è simile al processo standard per l'approvazione di un vaccino.

Secondo il procedimento europeo, la casa farmaceutica è ritenuta responsabile se qualcosa va storto.

"Non vogliamo saltare nessuna passaggio di sicurezza per non avere un effetto boomerang in un secondo tempo", afferma il deputato svedese Jytte Guteland, che siede nella commissione per la salute pubblica e l'ambiente del Parlamento europeo. "E non vogliamo che la gente abbia paura dei vaccini".

UE più lenta di altri a firmare i contratti per i vaccini

Secondo gli esperti, una parte della colpa di questa lentezza europea potrebbe essere attribuita ai contratti per i vaccini firmati in maniera tardiva.

La Commissione europea ha raggiunto il suo primo accordo sulle dosi di un potenziale vaccino contro il coronavirus a metà agosto. Lo ha fatto inizialmente con la società farmaceutica AstraZeneca, mentre nel Regno Unito la firma era stata apposta già a maggio. 

Il contratto UE con Pfizer non è arrivato fino a novembre, mentre il Regno Unito e gli Stati Uniti avevano accordi con l'azienda già a luglio. Gli Stati Uniti hanno confermato le prime 100 milioni di dosi con Moderna in agosto, investendo massicciamente nello sviluppo del vaccino a partire dalla primavera.

Israele, un paese che ha vaccinato più del 30% della sua popolazione, vantava un accordo con Moderna a giugno 2020, ed è riuscita a firmare con Pfizer a novembre. Secondo Reuters, l'accordo prevede una condivisione dei dati epidemiologici con la casa farmaceutica. 

"Abbiamo voluto investire in un portafoglio diversificato di aziende che utilizzano diverse tecnologie perché non eravamo sicuri di quale vaccino avrebbe avuto successo", ha detto il portavoce della Commissione europea, Stefan de Keersmaecker.

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I vaccini Pfizer e Moderna usano una nuova tecnica, detta dell'RNA messaggero (mRNA), più "complessa... quindi questo spiega perché c'è stato bisogno di un po' più di tempo per concordare i contratti".

Il CEO di AstraZeneca, Pascal Soriot, ha indicato che la ragione dei ritardi nelle consegne delle dosi di vaccino è in parte dovuta al fatto che il contratto UE è stato firmato mesi dopo di quello del Regno Unito.

In un'intervista a Die Welt, Soriot ha affermato che l'azienda non era contrattualmente obbligata a fornire le dosi promesse, aggiungendo di non poter soddisfare tutte le dosi europee per il primo trimestre.

"Abbiamo detto che faremo del nostro meglio. Il motivo per cui l'abbiamo affermato è che l'Europa, all'epoca, voleva essere rifornita più o meno allo stesso tempo del Regno Unito, anche se il contratto è stato firmato tre mesi dopo", ha detto Soriot.

Questa lite AstraZeneca-UE ha sollevato parecchie domande sugli obblighi contrattuali delle aziende farmaceutiche e ha portato la Commissione a pubblicare una versione redatta del contratto venerdì.

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Von der Leyen ha detto ad una radio tedesca che gli accordi erano vincolanti, e che il contratto è chiarissimo.

Si legge nel documento che AstraZeneca dovrebbe fare del suo meglio per produrre le dosi europee iniziali "all'interno dell'Unione Europea", e consegnarle seguendo le autorizzazioni di mercato, ma dopo viene aggiunto che i siti di produzione includono anche degli impianti nel Regno Unito.

"Del nostro meglio, il CEO di AstraZeneca aveva ragione", dice Gustav Oertzen, professore all'università tedesca Leuphana. "Tutto si gioca sul fare del proprio meglio. Nessun impegno chiaro sulle consegne, nessune chiare penalità, a meno che non siano presenti nelle parti del contratto non pubblicate".

Oertzen ha aggiunto che non ha idea di cosa intenda Von der Leyen con "impegni contrattuali chiarissimi".   

In risposta alle critiche sulla tempistica dei contratti, la commissaria UE per la salute, Stella Kyriakides, ha respinto l'idea che "un paese abbia la priorità su un altro solo perché ha firmato un accordo prima".

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Secondo gli esperti, tuttavia, due o tre mesi possono fare una grande differenza nel permettere all'azienda di aumentare la produzione.

Il ritardo nell'assicurarsi i contratti "è un grande ostacolo, perché c'è bisogno di circa due o tre mesi per aumentare la produzione. Se si guarda per esempio a BioNTech, hanno aumentato la produzione in più o meno dieci settimane, ma hanno bisogno di tempo per poterlo fare, è chiaro", continua Oertzen.

Solamente a gennaio la UE ha concluso un accordo per comprare altri 300 milioni di vaccini Pfizer/BioNTech, per un totale di 600 milioni di vaccini, ovvero quasi la metà di quello che l'azienda ha intenzione di produrre nel 2021.

La UE ha investito abbastanza?

"Non abbiamo ordinato in tempo abbastanza dosi dei due vaccini eccellenti", indica J Scott Marcus, senior fellow del think tank economico Bruegel, con sede a Bruxelles. Marcus pensa che la UE avrebbe dovuto concentrarsi prima sui vaccini che erano chiaramente in vantaggio rispetto ad altri. 

"A quel punto, la cosa giusta da fare era metterci un bel po' di soldi e assicurarsi di avere abbastanza vaccini, effettivamente utilizzabili nel periodo di necessità. E questo non è stato fatto", ha aggiunto Marcus.

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L'Emergency Support Instrument usato per acquistare i vaccini aveva una dotazione di 2,7 miliardi di euro, mentre gli Stati Uniti hanno speso circa 18 miliardi di dollari per i vaccini, secondo Bloomberg.

Il portavoce europeo, De Keersmaecker, indica che i contratti sui vaccini includono investimenti nello sviluppo dei vaccini.

"Sapevamo che non c'era alcuna certezza sul successo che avrebbero avuto questi vaccini, eppure abbiamo insistito che queste aziende sviluppassero la loro capacità produttiva, oltre alle scorte, di modo che, non appena l'EMA avesse dato il via libera, si sarebbero potute iniziare le consegne", dice De Keersmaecker a Euronews. Il rischio finanziario, aggiunge il portavoce, è stato assunto dalla Commissione europea.

Ma c'è chi non è convinto che tutte le risorse siano state utilizzate, e che durante l'estate la campagna vaccinale sia stata considerata come una priorità.  

"Abbiamo istituito un recovery fund da 750 miliardi di euro, e non riusciamo a mobilitare un paio di miliardi necessari per il vaccino?", si chiede Uri Dadush, senior fellow di Bruegel, intervistato da un podcast.  

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"C'è stato un certo senso di compiacimento, l'estate scorsa, quando i numeri sono calati. Penso che in molti abbiano avuto la sensazione di aver superato la pandemia, che fossimo riusciti a contenere il virus. E quindi penso non ci sia stata la massima attenzione politica per un certo periodo".

Ora che nuove varianti minacciano di mandare al collasso gli ospedali europei, ecco che si sta tornando in tanti Paesi a misure di lockdown più restrittive (e costose). 

"Il costo della pandemia per l'Europa si misura in trilioni di euro. Gli importi di cui si parlava per i vaccini erano di miliardi di euro. C'è una differenza di tre ordini di grandezza", continua Marcus. "Stiamo parlando di noccioline in confronto al costo della pandemia".

Introduzione lenta negli stati membri

Parte della colpa per la lentezza della campagna vaccinale è ricaduta sugli stati membri, specialmente all'inizio, quando sono state tante le difficoltà burocratiche in vari paesi UE

I Paesi Bassi sono stati criticati per aver iniziato la campagna di vaccinazione in ritardo. Il vaccino Pfizer/BioNTech doveva essere conservato a temperature ultra fredde (-70°C), e non erano state prese le necessarie misure, scrive AP.

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In Francia, le autorità hanno vaccinato poche centinaia di persone nella prima settimana, anche perché parte della strategia francese includeva una consultazione medica pre-vaccinazione.

L'Italia ha vaccinato i suoi cittadini più velocemente della maggior parte degli altri stati membri, ma ha concentrato la sua campagna sugli operatori sanitari invece che sugli adulti vulnerabili, quindi molte persone vulnerabili rimangono tuttora a rischio.

Recentemente, alcuni stati UE non si sono fatti scrupoli per cercare di accaparrarsi quante più dosi possibili, sollevando ulteriori dubbi sulla velocità con cui i vaccini vengono consegnati.

Il ministro degli esteri ungherese ha indicato che il paese si è procurato due milioni di dosi del vaccino russo. Peter Szijjártó, il ministro ungherese, ha detto a Euronews che l'Ungheria ha deciso di acquistare il vaccino Sputnik V perché lo schema di distribuzione UE era troppo lento.

Il governo tedesco, nel frattempo, ha ribadito ad Euronews di aver siglato accordi bilaterali con alcune aziende farmaceutiche, richiamando l'attenzione sulla strategia comunitaria. 

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Solidarietà UE nel lancio dei vaccini

Bruxelles ha molto insistito sul senso di solidarietà e sull'importanza di iniziare insieme la campagna di inoculazione.

"Questo ha reso possibile fare un unico ordine per i vaccini, e tutti gli stati membri hanno concordato di non uscire da questo schema. Le implicazioni sono enormi, a partire dal fatto che gli stati membri non sono stati in competizione tra loro per lo stesso vaccino", conclude Marcus. "Negli Stati Uniti abbiamo assistito invece ad una risposta sanitaria pubblica molto frammentata. Non solo per i vaccini, ma anche per i ventilatori, le mascherine... i vari Stati erano in concorrenza tra loro in periodi di penuria". 

Guteland sottolinea che "se si facesse tutto 27 volte, ci vorrebbe molto più tempo per vaccinare tutti, rispetto a muoversi tutti all'unisono". Tuttavia, conclude, "dovremmo cercare di difendere, questo nostro esserci mossi assieme".

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