Covid-19, il paradosso parrucchieri: i saloni a norma sono chiusi, gli abusivi fanno più affari

Covid-19, il paradosso parrucchieri: i saloni a norma sono chiusi, gli abusivi fanno più affari
Diritti d'autore Martin Meissner/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.
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Di Lillo Montalto Monella
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Da nord a sud, da est a ovest, l'amarezza è tanta. Abbiamo chiesto a cinque parrucchieri di raccontarci la loro situazione personale. Volti e storie di una crisi che potrebbe essere fatale per un salone su tre.

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Stavano solamente aspettando di riaprire, parrucchieri ed estetisti. Macchinari per la sanificazione, mascherine, copriscarpe, barriere di plexiglas: tutto era già stato predisposto. Si erano portati avanti, anche in assenza di direttive del governo. Investimenti da 1.000 a 3.000 euro. E invece niente da fare, i professionisti del settore della bellezza dovranno attendere almeno fino al 3 giugno. Un altro mese di affitti da pagare e rate del mutuo da versare, quelle non si fermano.

L'ultimo Dpcm li condanna ad un altro mese senza introiti mentre gli abusivi che lavorano in nero a domicilio, con la Fase 2, potranno godere di una maggior libertà di movimento. Più capelli tagliati a casa vuol dire, per i clienti, meno necessità di andare dal parrucchiere a lockdown terminato.

Crisi ancora più nera.

Non solo. Quando riapriranno, parrucchieri e saloni di bellezza potranno accogliere nei loro locali forse una metà delle persone rispetto a prima. Impossibile servire un altro cliente durante i tempi di posa, per esempio. Rientrare delle perdite avute in tre mesi di blocco totale delle attività, di conseguenza, sarà impossibile se non allungando inesorabilmente la giornata lavorativa.

La situazione per tutto il comparto - 135mila imprese, vi lavorano circa 260mila persone - è grave.

Sui gruppi Facebook del mestiere si leggono parole di rabbia e appelli allo sciopero fiscale, a non battere più scontrini fino a fine anno in assenza di un aiuto forte da parte dello Stato. C'è chi si è incatenato per protesta, a Padova, e chi ha lanciato una petizione online.

Alcuni messaggi che si possono leggere sui gruppi Facebook di parrucchieri e professionisti del settore dei servizi alla persona

Andrea Giovanardi, professore di diritto tributario a Trento, avvocato e dottore commercialista, in un tweet ha criticato le decisione dell'esecutivo di tenere chiuse queste attività. Una decisione che, a suo modo di vedere, incoraggia un'inevitabile "evasione fiscale di sopravvivenza". Per tre motivi:

  • dà per scontato che la categoria non possa rispettare i più rigidi protocolli contro la diffusione del contagio;
  • non è possibile trattare allo stesso modo territori con contagio elevato e altri con statistiche vicine allo zero ("ci vorrebbe un atteggiamento micro-territoriale invece che centralista");
  • aumenta l'illegalità, con i conseguenti rischi sanitari.

"Dovrebbe aprire chi è in grado di garantire la sicurezza sanitaria. Se in questa situazione impedisci alla gente che può lavorare di farlo per Dpcm, l'alternativa non può che essere il nero. É un caso di scuola, una dimostrazione plastica del concetto di evasione di sopravvivenza", dice Giovanardi a Euronews.

Da nord a sud, da est a ovest, l'amarezza è tanta. Abbiamo chiesto a cinque parrucchieri di raccontarci la loro situazione personale. Volti e storie di una crisi che potrebbe essere fatale per un salone su tre.

"I saloni con stringenti controlli sanitari sono chiusi, chi lavora in nero ora lavora ancora di più"

Marsela Pupa, 35 anni, Bassano del Grappa. Tecnica del colore, ha dovuto annullare anche i corsi e i seminari che teneva.

Marcela Pupa

È fortunata perché il proprietario del locale le viene incontro con l'affitto, facendole pagare la metà per i mesi di chiusura. "Chi lavorava già in nero a casa ora sta lavorando ancora di più, mentre noi professionisti ci ritroviamo la sede chiusa".

"Qui in Italia abbiamo standard igienici e di sicurezza altissimi. Lo Stato sta permettendo agli abusivi di lavorare in casa, tenendo invece chiusi i saloni dove i controlli sanitari ci sono e la Asl si può presentare da un momento all’altro".

"Chi fa lavori creativi si sente distrutto psicologicamente. Quando ho sentito che riapriremo a giugno, ho avuto un colpo. Per fortuna non ho una famiglia a carico, non oso immaginare, ma non reggerò un altro mese fare focacce e pulizie a casa. Ho bisogno psicologicamente di lavorare. Il governo dovrebbe darmi una soluzione alternativa, anziché dirmi di chiudermi a casa e basta perché fuori c’è la guerra".

"In questi mesi raddoppiati i casi di illegalità"

Giuseppe Amatulli, 37 anni, Bari. Da oltre quattro anni ha aperto il suo locale in centro a Bari, dove lavora con tre dipendenti nei momenti di massimo afflusso. "Il problema più grande è l'affitto: continuiamo a pagarlo a prezzo pieno. In più c'è il problema dello sciacallaggio del lavoro. Con i colleghi notiamo che il 50%-60% delle persone hanno già i capelli tagliati".

Giuseppe Amatulli

"Alla riapertura, quindi, non avremo così tanto lavoro per compensare i mesi persi. A che serve far stare chiusi i locali che possono rispettare le norme igieniche se i 'colleghi' vanno in giro per le case?".

"Questi vecchi sciacalli che tagliano i capelli a domicilio ora hanno preso anche i nostri clienti. Se prima il 30% se li tagliava a casa e il 70% andava nei locali, ora l'illegalità sarà intorno al 60% dei casi".

"Noi professionisti siamo rimasti in pochi. Ho sentito di colleghi con partita Iva che mi hanno detto che devono mangiare, devono farlo per la famiglia."

"Quando anche i clienti avranno meno soldi da spendere, l'abusivismo salirà perché costerà meno"

Tullia Cutini, 49 anni, Foligno. In Umbria i decessi da Covid-19 sono stati meno di 70, in Lombardia oltre 13mila. "Come possiamo avere le stesse regole sulle riaperture?", si domanda Tullia, madre di tre figli e responsabile di due dipendenti. "Sono già andata in banca a fare un finanziamento, non so quando arriverà, ma sono debiti che si ammucchiano su altri debiti".

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Tullia Cutini

"Ho un mutuo sul locale che sto pagando: non è stato sospeso perché l'avevo preso a livello personale, non come azienda. In più ci sono gli stipendi dei ragazzi: la cassa integrazione ancora non è arrivata, nulla nella maniera più assoluta. Sto finendo le risorse. E il paradosso è che già in salone sterilizzavamo tutto anche prima, mettevamo le mascherine, non ho problemi di distanze perché il negozio è grande. Sto aspettando un nuovo decreto per capire cosa sarà obbligatorio, come attrezzarsi, non ci si capisce più nulla".

"Il rischio è certamente quello dell'aumento del nero: se lo Stato non aiuta le persone, queste devono cercare di salvarsi la vita. La morsa fiscale è quasi del 70%, quindi un abusivo fa pagare il 70% in meno: in un periodo in cui saremo tutti in crisi e tutti vorranno risparmiare, l'abusivismo salirà sicuramente. Non so quanti di noi riusciranno a riaprire".

"La bellezza non si ferma, riceviamo addirittura minacce per andare a domicilio"

Cristina Pagani, 50 anni, Conselice (RA). Salone da 100mq, quattro collaboratrici, ha fretta di riaprire ma vuole farlo solo quando non ci saranno più rischi di contagio. Ha speranza per il futuro. "Ci dobbiamo rendere conto che l'unica differenza tra questa situazione e una guerra con le bombe... è non sentire le bombe. I morti li seppelliamo comunque. Le attività sono chiuse, ma sono lì in piedi che ci aspettano. I nostri genitori hanno fatto due guerre, pensa se avessimo dovuto anche ricostruirle."

Cristina Pagani (al centro) con le sue collaboratrici

"La bellezza non si ferma, da questo punto di vista siamo fortunati. È importante sentirsi a posto con noi stessi. Là fuori c'è gente che, in questo periodo, per sentirsi bene farebbe di tutto. Riceviamo richieste e addirittura minacce, offerte di compensi maggiorati per andare a domicilio. Io non lo faccio per etica, ma quando consegno qualche prodotto a domicilio, talvolta mi sento dire: 'Già che ci sei sali a darmi una spuntatina?'"

"Prevedo un dimezzamento dei clienti alla riapertura per via delle restrizioni. Se prima avevamo un orario che ci consentiva di avere una vita, sette ore e mezza, ora quello che si faceva in sette ore non si potrà fare se non ampliando la giornata lavorativa. Il mio turno, come proprietaria, diventerà così da 12 ore".

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"Alla ripresa gli stipendi saranno minori, ho dovuto chiedere un prestito"

Giuseppina Foti, 54 anni, Torino. Anche Giuseppina ha avuto la fortuna di un padrone del locale comprensivo che le ha sospeso l'affitto. Le due ragazze che lavorano con lei, però, ancora non hanno ricevuto un centesimo di cassa integrazione. Hanno famiglia e bambini.

Giuseppina Foti

"Alla ripresa, dovremo fare entrare meno clienti e dovrò turnare con le ragazze, gli stipendi di tutte noi saranno minori. Io avevo già comprato tutto - mascherine, kimono usa e getta, sanificatore - ma ho fatto fatica a trovare il necessario e l'ho pagato molto più rispetto a prima".

"Qui ci sono negozi con proprietari di una certa età, sicuramente per loro sarà dura. Se già farò fatica io con metà della clientela, loro chiuderanno. Anche io ho chiesto un finanziamento, siamo in difficoltà. Non chiediamo tanto, solo poter di iniziare a lavorare".

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