Quasi la metà delle specie animali è in rapido declino demografico: lo conferma un nuovo studio

Un esemplare di rana di Mucuchies (Aromobates zippeli), una specie a rischio di estinzione, a Merida, in Venezuela.
Un esemplare di rana di Mucuchies (Aromobates zippeli), una specie a rischio di estinzione, a Merida, in Venezuela. Diritti d'autore MIGUEL ZAMBRANO / AFP
Diritti d'autore MIGUEL ZAMBRANO / AFP
Di Gael CambaEdizione italiana: Cristiano Tassinari
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

Una nuova ricerca ha scoperto che i "cali demografici sostenuti" tra le popolazioni animali sono più allarmanti di quanto si pensasse in precedenza. Cosa fare per invertire la tendenza alla minaccia di estinzione? Anche la lotta al cambiamento climatico è fondamentale per il futuro degli animali

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La perdita di fauna selvatica è "una delle sindromi più allarmanti dell'impatto umano", secondo un nuovo studio pubblicato su Biological Reviews.

I ricercatori hanno scoperto che, delle oltre 71.000 specie analizzate - tra mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci -, il 48% sta subendo un declino della popolazione, mentre il 49% è stabile e solo il 3% è in crescita.

I risultati dipingono "un quadro notevolmente più allarmante" rispetto alle stime di conservazione della Lista Rossa dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN).

Le popolazioni di specie "non minacciate" sono in declino

Lo stato di conservazione della fauna selvatica è tradizionalmente monitorato dalla Lista Rossa dell'IUCN, che classifica le specie in base al loro pericolo di estinzione e alla minaccia di vulnerabilità.

L'ultimo studio ha rilevato che il 33% delle specie considerate "non minacciate" sta subendo un declino della popolazione, che secondo lo studio è "un sintomo di estinzione".

"More losers than winners: investigating Anthropocene defaunation through the diversity of population trends", by Catherine Finn, Florencia Grattarola, Daniel Pincheira-Donoso
Percentuale di specie per gruppo tassonomico (mammiferi, uccelli, anfibi, rettili, pesci, insetti) che hanno una popolazione in diminuzione, stabile, in aumento o sconosciuta."More losers than winners: investigating Anthropocene defaunation through the diversity of population trends", by Catherine Finn, Florencia Grattarola, Daniel Pincheira-Donoso

Sebbene l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura affermi che il 28% delle specie è minacciato, la Lista Rossa non è l'unico indicatore del rischio di estinzione.

Le specie possono essere considerate "non minacciate", ma il fatto che la loro popolazione sia in calo può significare che si stanno dirigendo verso l'estinzione, avverte il rapporto.

Pur facendo eco alle preoccupazioni espresse nello studio, Craig Hilton-Taylor, responsabile della Lista Rossa dell'IUCN, ha dichiarato alla CNN che i risultati potrebbero "gonfiare eccessivamente la situazione", poiché i dati sono raccolti su un'ampia gamma di gruppi di animali, compresi quelli di cui mancano dati.

Il dottor Hilton-Taylor insiste sul fatto che si tratta di un calcolo meno preciso e solido rispetto a quello dell'IUCN, che esamina "le tendenze delle specie su un arco di tempo molto più lungo".

La biodiversità "sull'orlo di una crisi di estinzione"

Lo studio sottolinea che ad essere particolarmente colpiti sono gli anfibi, evidenziando "gravi carenze nella nostra conoscenza delle tendenze delle popolazioni, in particolare per i pesci e gli insetti".

Secondo il report, quando la popolazione di una specie diminuisce troppo, non può più contribuire all'ecosistema come potrebbe.

Per esempio, la caccia eccessiva alle lontre di mare ha permesso un boom di ricci di mare, mangiatori di alghe, che hanno decimato le foreste di alghe nel Mare di Bering, portando all'estinzione della mucca di mare di Steller, che si cibava di alghe.

"Rallentare la quota del declino della biodiversità dev'essere una priorità globale".
Catherine Finn, Florencia Grattarola, Daniel Pincheira-Donoso
Autori dello studio "More losers than winners: investigating Anthropocene defaunation through the diversity of population trends"

La riduzione di una specie è sufficiente a squilibrare l'intero ecosistema, con un effetto a catena su altre popolazioni che può trasformarsi in un'alterazione su larga scala.

La trasformazione dei paesaggi selvaggi in aree urbane o terreni agricoli è considerata dagli scienziati uno dei principali fattori di perdita della fauna selvatica, in quanto distrugge il loro habitat naturale. Ma anche il cambiamento climatico è un importante fattore di declino delle specie e il suo impatto sta peggiorando con il riscaldamento del pianeta.

I cali rilevati dallo studio tendono a concentrarsi nelle aree tropicali, mentre la stabilità e gli aumenti sono più inclini a colpire i climi temperati.

I politici puntano all'obiettivo minimo

Per quanto riguarda la conservazione degli habitat, alcune iniziative come l'obiettivo "30 by 30" della COP15, che mira a proteggere il 30% della terra e degli oceani entro il 2030, hanno guadagnato sempre più consensi.

Più di 100 Paesi hanno accettato questo impegno, ormai considerato a breve termine.

Gli esperti dell'IUCN affermano che questo obiettivo è il minimo a cui i politici dovrebbero puntare, mentre molte ricerche chiedono di proteggere fino al 70% (o anche più) dei paesaggi selvaggi.
Ma i dati confermano un sostanziale ritardo nella tabella di marcia per l'obiettivo del 30%.

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L'habitat della fauna selvatica si sta deteriorando nell'Unione europea, con l'81% degli habitat naturali in uno stato di conservazione "sfavorevole", secondo un rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente sul periodo 2013-2018.

Secondo un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente, pubblicato nel 2021, attualmente il mondo protegge circa il 17% delle terre e delle acque interne e meno dell'8% delle aree marine e costiere.

L'obiettivo è ancora lontano. E mancano meno di sette anni...

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