Dal kibbutz di frontiera: "Israele non è forza occupante, dobbiamo vivere insieme"

Il teatro di Angelica Edna Calo Livne nel kibbutz Sasa al confine con il Libano
Il teatro di Angelica Edna Calo Livne nel kibbutz Sasa al confine con il Libano Diritti d'autore Euronews
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Di Stefania De Michele
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Angelica Edna Calò Livne, romana di nascita, vive nel kibbutz Sasa, in Galilea, al confine con il Libano. Ha avviato un'iniziativa teatrale per il dialogo tra israeliani e arabi

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Israele, ma a un chilometro e duecento metri di distanza dal confine con il Libano, il rumore costante delle detonazioni, la minaccia di Hezbollah: è la vita quotidiana nel kibbutz Sasa, in Galilea, poco meno di 500 abitanti per due chilometri di estensione.

Angelica Edna Calò Livne, romana di nascita, vive nel "kibbutz di frontiera" da anni e crede nella coabitazione.

- Vivere da civile in prima linea: non ha paura?

"Io ho paura soprattutto per i miei figli. Fino all'altro ieri ero terrorizzata perché erano a Gaza. Solo adesso posso respirare. Comunque Hezbollah è qui, a poco più di un chilometro da casa nostra e si sentono tutto il tempo i bombardamenti. Io faccio avanti e indietro dalla camera blindata. Però non ho paura. È una scelta anche quella di stare qua".

- Cosa cercava quando ha deciso di vivere in un kibbutz? Che cosa poi ha trovato? Israele è visto da una buona parte della popolazione in Medio Oriente come una forza occupante, lei l'ha scelto come terra d'adozione.

"Io sono cresciuta in un movimento giovanile ebraico sionista, il cui ideale era quello di vivere in un kibbutz in modo sociale. Il kibbutz è il simbolo del socialismo. Io ho scelto il kibbutz proprio perché è un simbolo del 'give and take', dare e ricevere, dal punto di vista culturale e umano. Ti dico la verità: io non penso che Israele sia una forza occupante. Ho letto proprio l'altro ieri una frase bellissima di Weizmann, il primo presidente israeliano. A un ministro inglese che gli chiedeva:  perché andate proprio in Palestina - a quei tempi si chiamava Palestina - quando avete tanti Paesi dove potreste andare? E lui rispose: Ma a lei chiedo come mai, ogni settimana, va a trovare sua madre a 50 chilometri di distanza? Anche qui, nel quartiere, ci sono tante signore anziane". 

Dal punto di vista della tradizione, ci abbiamo sempre abitato noi ebrei, sempre, e saremmo felici di abitarci insieme, se volessero stare con noi. Ci sono tanti arabi che abitano qui: su 7 milioni di persone, 2 milioni e mezzo sono arabi
Angelica Edna Calò Livne
Fondazione Beresheet LaShalom

- Lei è promotrice di un'iniziativa che si può definire come "il teatro del dialogo". Tutti insieme palestinesi, ebrei, giordani, per dialogare e confrontarsi. Di cosa si tratta?

"Questa iniziativa è qualcosa che mi ha dato un motivo per vivere. Nel 2000, quando è scoppiata la seconda Intifada, dopo pochi mesi e tantissime vittime delle cinture esplosive, ci invitarono in Toscana. Portammo 50 ragazzini israeliani colpiti dal terrorismo, alcuni erano rimasti orfani o avevano perso dei cari. Praticamente, la nostra vita - la mia e quella di mio marito - è cambiata completamente. Da allora ho deciso di fare un teatro con ragazzi ebrei e arabi. Da allora, da questo progetto è nato un metodo per educare al dialogo attraverso le performing arts, le arti da palcoscenico che insegno all'università. Ho anche collaborato con la Commissione europea come expert trainer in progetti con ragazzi israeliani, giordani, palestinesi, egiziani e di altri paesi del Mediterraneo".

Vivere insieme, ebrei e arabi in Israele, cristiani, musulmani, drusi, circassi, per me è una cosa bellissima
Angelica Edna Calò Livne
Fondazione Beresheet LaShalom
Il teatro che mette insieme ragazzi israeliani e arabi
Il teatro che mette insieme ragazzi israeliani e arabiEuronews

- Israele considera gli arabi come cittadini di serie B?

"A volte ho sentito dire che gli arabi sono cittadini di secondo grado. Si parla addirittura di apartheid. Io, stamattina, sono andata in un vicino villaggio arabo per fare le analisi del sangue, qui è tutto chiuso. L'infermiere che mi ha prelevato il sangue era arabo. Tutti i medici sono arabi. Quando ho partorito uno dei miei quattro figli, la levatrice era araba. E quando ho partorito il primo figlio ero con tre donne arabe in stanza. Noi viviamo totalmente insieme".

- Lei mi sta dicendo che c'è una chiara differenza tra la dimensione individuale e quella politica.

"È così. Per noi questa è una tristezza enorme. Una delle donne che è stata barbaramente uccisa il 7 ottobre (durante l'attacco di Hamas) era una delle fondatrici delle "Donne per la pace", Vivian Silver. Lei portava da noi i bambini che avevano problemi di cancro per fare la chemio nei nostri ospedali e l'hanno uccisa, capisci? Senza fare distinzione di chi sei e cosa fai. A volte è come se parlassimo un'altra lingua, ma non mi riferisco all'ebraico e all'arabo. È come se parlassimo un'altra lingua, come se i nostri valori umani occidentali vengano male interpretati. Come se fossimo stupidi, ingenui".

Un soldato israeliano a un posto di blocco vicino al kibbutz Sasa
Un soldato israeliano a un posto di blocco vicino al kibbutz SasaJALAA MAREY/AFP or licensors

- Questo impegno per il dialogo le è valso la candidatura a un Nobel per la pace nel 2006.

"Sì, insieme alla mia amica palestinese, Samar Sahhar, nata a Gerusalemme Est con la quale, nel corso di più di 15 anni, abbiamo fatto viaggi in giro per tutta l'Italia a raccontare che vivere insieme è possibile. Lei è della Betania: è una donna cristiana, responsabile di un orfanotrofio  musulmano. I premi sono uno dei risultati dell'impegno per il dialogo, ne cito alcuni: il Premio internazionale "Donne che educano alla pace" ad Alghero in Sardegna; il Premio per la Pace di Assisi; la candidatura ai premi Sakharov e al Nobel per la Pace; l'Onorificenza dell'Ordine della Stella della Solidarietà Italiana con il titolo di Cavaliere conferito dall'Ambasciatore d'Italia in Israele Sandro De Bernardin".

- L'attacco di Hamas del 7 ottobre ha cambiato tutto.

"Quello che voglio dire è che questo non è un film, non stiamo guardando un film, è la verità. Sono successe cose terribili, anche a tante ragazze che hanno subito violenze. Noi donne dobbiamo assolutamente combattere tutto questo, per le donne arabe, per le donne dell'Occidente, per tutte le donne del mondo. Sono state trasformate in merce di scambio e sono ancora tante. Non ci dormo la notte". 

Angelica Edna Calò Livne, dottorato in Pedagogia e Teatro, fondatrice e coordinatrice pedagogica della Fondazione Beresheet LaShalom, che nasce nel 2001, in pieno conflitto medio orientale, con il Teatro Multiculturale Umanante Arcobaleno per avvicinare i ragazzi di differenti etnie, religioni, tradizioni ed educare al dialogo attraverso l'arte. Per la sua attività ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti. Ha scritto cinque libri che narrano le vicende e gli sforzi di chi si prodiga per il dialogo.

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