Anche italiani fra i soldati Kfor feriti in Kosovo

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Di Michela MorsaNicolò Arpinati
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Militari italiani fra i soldati della forza di pace feriti in Kosovo. La premier Meloni: "non tollereremo ulteriori violenze"

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Almeno 25 soldati della forza di pace della NATO, KFOR, sono rimasti feriti lunedì negli scontri con la popolazione serba nel nord del Kosovo. I manifestanti stavano cercando di occupare un edificio comunale nella città di Zvečan al fine di impedire l'inizio dei lavori nel municipio, in mano alla minoranza albanese kosovara dopo che la maggioranza serba ha boicottato le elezioni comunali.

Molti dei soldati feriti, alcuni in modo grave, sono di nazionalità italiana, provocando immediatamente la reazione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

In un tweet, Meloni afferma che l'Italia è impegnata per la pace nei Balcani. Definisce inaccettabile e irresponsabile l'attacco ai soldati della KFOR e afferma che non tollererà ulteriori azioni di questo tipo. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso "solidarietà ai militari della missione Kfor rimasti feriti in Kosovo".

I militari della Kfor erano intervenuti per disperdere i circa 300 dimostranti serbi che nella protesta si erano seduti davanti al Municipio di Zvecan per contestare il nuovo sindaco di etnia albanese. Previste per oggi altre proteste. Dei 14 feriti italiani, tre sono gravi, ma non in pericolo di vita: avrebbero riportato ustioni e fratture.

"Diversi soldati del contingente KFOR italiano e ungherese sono stati oggetto di attacchi non provocati e hanno riportato ferite da trauma con fratture e ustioni a causa dell'esplosione di ordigni incendiari", hanno dichiarato le forze di pace della NATO in un comunicato.

La dinamica degli scontri

I serbi si sono scontrati con le truppe della NATO e la polizia del Kosovo nella municipalità di Zvecan, 45 chilometri a nord della capitale. Secondo i testimoni, i soldati hanno sparato gas lacrimogeni e granate stordenti per proteggere gli ufficiali kosovari e disperdere i manifestanti. I serbi riuniti hanno risposto lanciando pietre e altri oggetti contro di loro.

Alcuni veicoli della polizia kosovara e uno appartenente a giornalisti sono stati danneggiati e imbrattati con simboli nazionalisti serbi.

Già venerdì scorso, la popolazione serba nel nord del Kosovo aveva tentato di bloccare l'accesso agli edifici comunali ai funzionari di etnia albanese recentemente eletti. La polizia del Kosovo aveva risposto sparando gas lacrimogeni per disperdere la folla e far entrare i nuovi funzionari negli uffici.

Lunedì mattina, inoltre, la polizia kosovara e la Forza del Kosovo guidata dalla NATO, o KFOR, sono state viste proteggere gli edifici comunali di Zvecan, Leposavic, Zubin Potok e Mitrovica: i quattro comuni del nord che hanno tenuto discusse elezioni anticipate il mese scorso.

I motivi della protesta serba

Le votazioni, infatti, sono state in gran parte boicottate dall'etnia serba, che costituisce la maggioranza in quelle aree: solo una piccolissima parte dell’elettorato, inferiore al 4 per cento, si era recata alle urne. Di conseguenza, solamente rappresentanti di etnia albanese o di altre minoranze, ancor meno numerose, sono stati eletti alle cariche di sindaco e alle assemblee.

Al riguardo, il primo ministro serbo, Ana Brnabic, ha criticato la gestione internazionale degli eventi in Kosovo, affermando che la KFOR "non sta proteggendo il popolo - sta proteggendo gli usurpatori", riferendosi apparentemente ai nuovi sindaci.

"Ma dobbiamo proteggere la pace. La pace è tutto ciò che abbiamo", ha detto.

Le violenze sono state l'ultimo incidente che ha fatto salire la tensione durante lo scorso fine settimana, con la Serbia che ha messo l'esercito del Paese in stato di massima allerta e ha inviato più truppe al confine con il Kosovo, che ha dichiarato l'indipendenza da Belgrado nel 2008.

Dieci anni prima, nel 1998, separatisti di etnia albanese si erano ribellati al dominio della Serbia, che reagì con una brutale repressione: circa 13.000 le vittime, per lo più di etnia albanese. Solo l'intervento militare della NATO, arrivato nel 1999, costrinse la Serbia a ritirarsi dal territorio.

Washington e la maggior parte dei Paesi dell'UE hanno riconosciuto il Kosovo come Stato indipendente, ma la Serbia, la Russia e la Cina no.

La reazione del governo di Belgrado

Il Presidente serbo Aleksandar Vučić ha affermato che il primo ministro kosovaro Albin Kurti è il vero responsabile dei disordini. Vučić ha poi trascorso la notte con le truppe serbe di stanza vicino al confine con il Kosovo:

"Abbiamo dispiegato le nostre forze in base alla situazione, nei luoghi in cui riteniamo sia necessario. Visiteremo molti luoghi con il nostro esercito. Non permetteremo pogrom contro il popolo serbo".

Negli scontri sono, infatti, rimasti feriti anche circa 50 civili serbi. La tensione tra il Kosovo e la Serbia, che non riconosce l'indipendenza dichiarata nel 2008, è in aumento. La settimana scorsa, la Serbia ha messo l'esercito in stato di massima allerta e ha rafforzato le truppe vicino al confine.

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"Le conseguenze (degli scontri) sono grandi e gravi e l'unico colpevole è (il primo ministro del Kosovo) Albin Kurti", ha dichiarato Vucic. Ha definito le forze albanesi nel nord del Kosovo come "occupanti".

"Ripeto per l'ultima volta e prego la comunità internazionale di fare in modo che Albin Kurti veda la ragione", ha proseguito Vucic. "Se non lo faranno, temo che sarà troppo tardi per tutti noi".

Le reazioni internazionali

Gli Stati Uniti e l'Unione Europea hanno intensificato gli sforzi per aiutare a risolvere la disputa tra Kosovo e Serbia, temendo un'ulteriore instabilità in Europa a causa della guerra della Russia in Ucraina. L'UE ha chiarito che sia la Serbia che il Kosovo devono normalizzare le relazioni se vogliono fare progressi verso l'adesione al blocco.

Anche la KFOR ha aumentato la sua presenza nelle quattro municipalità settentrionali. Ha invitato tutte le parti ad astenersi da azioni che potrebbero causare un'escalation e ha esortato "Belgrado e Pristina a impegnarsi nel dialogo guidato dall'UE".

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha invece descritto la situazione in Kosovo come "preoccupante", accusando gli Stati Uniti e la NATO di pretendere di dominare quella parte del mondo.

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"Una grande esplosione sta avvenendo nel centro dell'Europa, proprio nel luogo in cui, nel 1999, la NATO ha compiuto un'aggressione contro la Jugoslavia", ha dichiarato da Nairobi, in Kenya, riferendosi all'intervento guidato dalla NATO nel 1999 che ha fermato una sanguinosa repressione serba contro i separatisti di etnia albanese.

L'ambasciatore statunitense Jeff Hovenier si è incontrato con la presidente Vjosa Osmani e poi, insieme agli ambasciatori delle altre potenze occidentali - Stati Uniti, Francia, Italia, Germania e Regno Unito - con il primo ministro Albin Kurti, esortandolo a prendere provvedimenti per smorzare la situazione e ridurre le tensioni.

Non sono mancate critiche al governo kosovaro per aver usato la polizia per entrare con la forza negli edifici comunali.

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