Crisi sanitaria, crisi economica, crisi migratoria: l'Africa di Tshisekedi

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Di François Chignac
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Rilanciare le economie africane duramente colpite dalla pandemia. Crisi migratoria, minacce terroristiche ma anche buon governo. Ne parliamo con il presidente dell'Unione africana, Félix Tshisekedi

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Rilanciare le economie africane duramente colpite dalla pandemia, economie che sono entrate per la prima volta in recessione dopo 25 anni. Secondo stime dell'Fmi ci vorrebbero 300 miliardi di dollari per far risollevare il continente africano. Crisi migratoria, minacce terroristiche ma anche buona governance, sono tutte questioni di cui abbiamo parlato con il presidente della Repubblica democratica del Congo e attuale presidente in carica dell'Unione africana, Félix Tshisekedi.

Africani finalmente coinvolti nella riflessione sul loro futuro

Una ventina di dirigenti africani e delegazioni internazionali hanno risposto all'invito del presidente Emmanuel Macron. Le conclusioni di questo vertice di Parigi rappresentano la prima dose di vaccino per curare le economie africane?

"Per cominciare ringrazio il presidente francese Emmanuel Macron per quest'iniziativa coraggiosa e inedita. Perché inedita? Perché finalmente ha potuto coinvolgere gli africani nella riflessione sul loro futuro. Finora le decisioni venivano prese in assenza degli africani e ci venivano imposte dall'alto. Qui pilotiamo insieme questo processo. Del resto, mi piace molto l'espressione usata dal presidente Macron: il New Deal. So che sarà un compito difficile. Ma sono comunque fiducioso, perché a questa conferenza era presente anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, anche lui un africanista impegnato. Ci siamo dati degli incarichi, fino al primo semestre del 2022, il semestre europeo della Francia, in cui faremo il punto della situazione in occasione di un vertice fra Unione europea e Unione africana. Sarà allora che potremo forse dire se quello che è stato fatto a Parigi andava nella giusta direzione".

Signor presidente, a che punto siamo realmente nel salvataggio delle economie africane?

"La grande notizia riguarda la decisione sui diritti speciali di prelievo, che sono valutati a 650 miliardi. Da questo punto di vista siamo un po' a secco, visto che in questa fase sono riservati all'Africa solo 33 miliardi. Molto poco per 54 paesi. Quindi l'obiettivo di questa conferenza era, tra l'altro, di raccogliere fino a 100 miliardi, e abbiamo visto che era possibile, e che era possibile anche andare oltre questa cifra. L'altra notizia è che questi diritti di prelievo saranno utilizzati attraverso la Banca africana di sviluppo, che conosce molto bene i paesi africani e le loro difficoltà. Questo rappresenterebbe un contributo considerevole per assorbire almeno una parte dei debiti di questi paesi africani".

​Un appello ai proprietari dei brevetti per vaccinare il maggior numero possibile di africani

Torniamo sulla crisi sanitaria. Si è parlato molto di vaccini. Come valuta le conclusioni emerse da questo vertice?

"Di certo non sarà possibile confinare gli africani in Africa. Continueranno a spostarsi, a mescolarsi con altre persone e potrebbero sviluppare un'altra variante del virus che potrebbe essere molto più virulenta, rendendo inutili queste vaccinazioni. Quindi credo che si debba vaccinare il maggior numero di persone possibile. Abbiamo lanciato un appello ai proprietari dei diritti dei vaccini. Questo avrà anche un impatto positivo sulle nostre popolazioni che sono state oggetto di molte manipolazioni su quest'argomento".

C'è una sorta di sfiducia nel continente, giusto?

"Esatto. Il fatto che gli africani abbiano sviluppato una resistenza al virus ha fatto credere a molti che il virus fosse per gli altri, non per noi. Ma questo è un errore, perché il virus muta, quindi bisogna proteggersi".

Si è parlato di un deficit di comunicazione.

"Sono stati fatti errori. Penso ad esempio alla decisione di 11 paesi europei di sospendere il vaccino AstraZeneca, che ha fatto il gioco di chi sostiene che questo vaccino sia pericoloso per gli africani".

​L'Europa deve parlare con gli africani per fermare le migrazioni

Crisi sanitaria, crisi economica, crisi migratoria. Di recente molti migranti sono arrivati sulle coste spagnole. Lei, in quanto presidente dell'Unione africana, ne ha parlato con l'Unione europea?

​"Non ancora, purtroppo. Non ancora, francamente, perché la risposta dell'Europa è radicale, è di chiudere le porte. Ma io credo che la risposta dell'Europa dovrebbe essere di parlare con gli africani. In un primo tempo, per vedere da quali paesi proviene la maggior parte di questi migranti e andare a vedere in questi paesi come si possa lavorare insieme, fermare queste migrazioni, trattenere questi giovani che partono all'avventura. Perché la vera ragione di tutto questo in realtà è la disperazione. I giovani africani credono che l'Europa sia l'Eldorado e che, lasciando il loro paese, potranno trovare la felicità in Europa. Ma anche l'Europa ha i suoi problemi. Bisogna spiegarlo a questi giovani, da un lato, ma d'altro lato, bisogna dare delle risposte ai loro problemi nella vita di tutti i giorni. E una risposta efficace sarebbe l'imprenditoria giovanile".

Andiamo verso il Mozambico. Come affrontare la minaccia jihadista in Mozambico?

"Il problema del Mozambico è simile a quello che abbiamo nell'est del mio paese. Si tratta di gruppi terroristi islamici che hanno giurato fedeltà a Daesh, e non è un problema che si limita a un solo paese. Il timore è che questo cancro si metastatizzi in tutta la regione, in tutto il continente. Quindi è ora il momento di agire. Non bisogna aspettare. Quello che è successo in Mozambico attira tutta la nostra attenzione perché è esattamente lo stesso fenomeno che abbiamo noi. Queste regioni sono regioni potenzialmente ricche di risorse, minerarie e di altro tipo, e bisogna assolutamente impedir loro di accedervi, perché è questo che alimenta le loro attività. Dobbiamo lavorare in modo rapido, efficiente e solidale".

Sconvolto dalla morte di Attanasio

​Qualche mese fa la comunità internazionale e il Congo hanno vissuto il dramma dell'uccisione dell'ambasciatore italiano, Luca Attanasio. Volevo chiederle a che punto sono le indagini.

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"Le indagini proseguono. Ci sono dei sospetti che sono stati arrestati, credo che vengano interrogati, perché dietro gli esecutori c'è sicuramente un'intera organizzazione. Sono criminali organizzati in bande che hanno sicuramente dei mentori. Quindi credo che si debba risalire all'anello iniziale della catena. Abbiamo anche la collaborazione dei servizi italiani e ci stiamo lavorando con determinazione. È terribile. Sono rimasto davvero sconvolto dalla sua morte, e questo mi motiva ancora di più a cercare i responsabili".

Ciad: una transizione che deve essere inclusiva​

In quanto presidente in carica dell'Unione africana, sulla transizione in Ciad lei ha detto, qualche giorno fa, che questa transizione andava risolta in questo modo per mantenere la stabilità del paese.

​"La risposta che è stata data, che non abbiamo scelto noi, ma che è stata data dai ciadiani stessi, è una risposta militare. Quando sono andato a N'Djamena per i funerali del presidente Deby ho visto un paese stabile e una popolazione serena. Quindi, nel momento in cui c'è stabilità, tanto meglio. Ma non stiamo dando loro un assegno in bianco. Hanno parlato loro stessi di elezioni fra 18 mesi e noi ci auguriamo che questa transizione sia il più possibile inclusiva, in modo da scongiurare la possibilità che qualcuno poi possa dire: sono stato escluso, quindi risolvo la situazione con le armi. Se tutti vengono inclusi, se tutti sostengono questa transizione, avremo elezioni libere, democratiche e trasparenti. Noi lo speriamo e a quel punto il paese ritroverà una stabilità definitiva".

​Signor presidente, il Congo ambisce ad avere un posto nel Consiglio di sicurezza?

"Certo, il Congo ambisce a portare la sua voce nel concerto delle nazioni, e credo che la presidenza dell'Unione africana che esercitiamo ora sia un'occasione per l'intera Africa subsahariana di avere una sua voce all'interno delle Nazioni Unite".

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