Coronavirus: le chiese riaperte a Roma restano praticamente deserte

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Chiese riaperte ma pochi fedeli a Roma: la situazione resta difficile anche dopo la sorprendente marcia indietro decisa dal vicariato romano

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La marcia indietro del Vaticano non è servita domenica a riempire chiese e luoghi sacri, forse a causa anche di una scarsa informazione sulla riapertura. O, più probabilmente, perché i fedeli difficilmente possono uscire di casa.

Non c'è solo la Messa d'altronde per stare vicino ai fedeli e Francesco questo lo riconosce e ringrazia i pastori per la fede e l'ingegno con cui in queste ore stanno vicino ai fedeli.

"Ringrazio i preti per la loro creatività. Mi giungono tante notizie dalla Lombardia, Regione più colpita, i preti riescono a stare vicini al popolo facendo sì che non si senta abbandonato"

Dopo il decreto del 12 marzo emanato della diocesi di Roma che chiudeva tutte le chiese fino al 3 aprile, il giorno dopo si è disposta l'apertura delle chiese parrocchiali e quelle che sono sedi di missioni. Restano bandite le messe (che si tengono in videoconferenza o streaming laddove possibile) ma è di nuovo autorizzato l'accesso per la preghiera.

La decisione della chiusura dei luoghi di culto aveva creato non pochi malumori tra i fedeli ma anche all'interno del Vaticano, tanto che venerdì mattina Papa Francesco aveva detto, nel corso della messa a Casa Santa Marta: "Le misure drastiche non sempre sono buone".

Poche ore dopo il Vicariato di Roma decideva la riapertura di chiese e oratori nella capitale.

La scelta della chiusura era stata avallata dalla Conferenza Episcopale Italiana, che su Avvenire teneva a precisare che la ragione non era "perché lo Stato ce lo imponga, ma per un senso di appartenenza alla famiglia umana, esposta a un virus di cui ancora non conosciamo né la natura né la propagazione".

Erano però in molti, soprattutto tra fedeli e parroci, a vedere un segno di sostanziale sottomissione al governo italiano nella scelta di chiudere fino al 3 aprile, esattamente come previsto dagli ordini del governo di chiusura degli altri esercizi.  "Il mio capo è Dio, non certo Conte", aveva detto già alcuni giorni prima un parroco veneto, quando era stato decretato il divieto delle messe. Si diceva pronto a celebrare la funzione domenicale in barba al decreto governativo, e lui come altri non aveva poi preso bene la chiusura delle chiese decretata dal vicariato e appoggiata dalla CEI.

Entrambe le decisioni - la chiusura e la ripertura - sono state prese dal Cardinale De Donatis, che ha precisato di avere - prima e dopo - concordato il tutto con Papa Francesco (del quale in questi giorni s'è celebrato in sordina il settimo anniversario dall'ascesa al soglio - 13 marzo 2013 -).

E se la decisione di chiudere le Chiese, dispensando persino i fedeli dal precetto domenicale, non si era mai vista dall'epoca medievale ancor più inedito è il brusco dietrofront.

Si è trattato solo di un eccesso di prudenza, spiegano in Vaticano, e il segretario personale del Papa, Yoannes Gaid, in una riflessione scritta rivendica il diritto di cambiare idea, soprattutto in una fase così difficile per la Chiesa e i suoi fedeli. Ché se non si cercasse di capire, se non si ascoltasse chi dissente oltre alla propria coscienza: "Nella epidemia della paura che stiamo vivendo rischiamo di comportarci da salariati e non da pastori".

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