A bordo di Aita Mari, la nave salvataggio della Ong spagnola che sfida il governo

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Diritti d'autore Javi Julio per Euronews
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Di Javi Julio
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Al pari dell'altra ong spagnola, Open Arms, l'Aita Mari sta sfidando i divieti del governo di Madrid nel Mediterraneo centrale. Le autorità spagnole hanno minacciato di sanzionare con una multa fino a 900mila euro il capitano della nave

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"Siamo appena entrati nella zona della SAR maltese. D'ora in poi, rafforzeremo le guardia e sorveglieremo attivamente il mare con un binocolo dal ponte. Voglio che tutti siano pronti per quello che può succedere". 

Così Marco Martinez, capitano dell'Aita Mari, si rivolge all'equipaggio della nave.

Dopo un'odissea burocratica e un anno di blocco amministrativo, l'ex catcher basco della Ong spagnola Salvamento Marítimo Humanitario (SMH) ha lasciato il porto di Mitilini, Lesbo, il 12 novembre scorso, dopo aver trasportato più di 8 tonnellate di aiuti umanitari da Guipúzcoa, nel nord della Spagna, alla Grecia. Attualmente si trova nelle acque del Mediterraneo centrale con l'intenzione di continuare il suo lavoro umanitario, lavorando in coordinamento con le autorità maltesi nell'area SAR (Search and Rescue) assegnata a questo paese.

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"Se incontriamo una barca in difficoltà informiamo le autorità e ci mettiamo a loro disposizione. Oppure se Malta si accorge che c'è una nave da soccorrere vicino a noi, ci fornirà le istruzioni per operare. Se si trovano nella zona SAR libica, e non possono farsene carico, avvertiranno Malta e ci contatteranno" così Iñigo Mijangos, presidente dello SMH a bordo dell'Aita Mari spiega a Euronews il protocollo di salvataggio.

Al pari dell'altra ong spagnola, Open Arms, l'Aita Mari sta sfidando i divieti del governo di Madrid nel Mediterraneo centrale

Le autorità spagnole hanno minacciato di sanzionare con una multa fino a 900mila euro il capitano della nave, oltre alla sua squalifica permanente in caso di salvataggio. Tuttavia, il presidente della Ong, Mijangos, afferma che se l'intervento di salvataggio è coordinato con le autorità, le sanzioni non possono essere applicate.

Una multa di 900mila euro

"Quello che il governo vuole, con la minaccia di una multa, è non creare l'occasione di avere molte persone a bordo senza un porto di sbarco. Riconoscono che si tratta di una nave di soccorso, ma con una limitata capacità di trasportare persone a bordo. Se ci coordiniamo con le autorità maltesi, che ci danno un porto di sbarco proprio come i loro impegni internazionali le obbligano a fare, non accadrà. Finchè le operazioni vengono svolte in questo modo, non c'è pericolo di essere sanzionati".

Il percorso ad ostacoli che la spagnola Aita Mari deve affrontare ogni volta, per non finire vittima della trappola governativa spagnola, che ne vuole limitare gli interventi, ricorda altri casi di mancata cooperazione tra ong e Paesi europei. Uno tra tutti, quello della nave della ong tedesca Sea Watch, la cui "capitana", Carola Rackete, è stata arrestata il 29 giugno dopo essere entrato nel porto italiano di Lampedusa senza permesso.

Mentre sul ponte della nave il capitano controlla il tempo per le prossime ore, Josu Beitia, un volontario medico in pensione, sorveglia dal ponte l'orizzonte verso la Libia con il binocolo, alla ricerca di un piccolo punto in mezzo al mare.

I due motoscafi per il salvataggio sul ponte di prua sono pronti per essere sgnaciati in mare dalla gru in caso di chiamata di soccorso. Sul ponte di poppa, 4 galleggianti aspettano di essere gonfiati.

Javi Julio per Euronews

Il vento sta soffiando da sud e potrebbe favorire le partenze delle imbarcazioni dalle coste. Tuttavia, le onde alte più di due metri in cui naviga l'Aita Mari non lasciano ben sperare per qualsiasi barca che tenti di attraversare le oltre 200 miglia di mare che la separano da Malta o Lampedusa. "Con queste onde i gommoni dove vengono imbarcati solitamente i migranti affondano. Non ci sono possibilità di salvezza", spiega Martínez. 

Sabato 16 novembre, Ocean Viking, un'altra nave di soccorso che solca le acque della zona, ha trovato un grande gommone praticamente affondato a 30 miglia dalla costa libica. Sul relitto non c'era il numero di registrazione, contrassegnato con uno spray, con cui si segnano le imbarcazioni per indicare che i migranti a bordo sono stati soccorsi. 

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"I gommoni sono pieni di gente, e con queste temperature, si sgonfiano di notte. Quando una persona cade in acqua, nel tentativo di salvarsi si aggrappa spesso ai migranti che gli sono vicini, trascinandoli a sua volta dentro l'acqua in una reazione a catena. E la barca nel frattempo continua la sua rotta, non si ferma. È una tragedia", racconta Martínez. Con più di un anno di esperienza di soccorso a bordo delle Open Arms, sa bene di cosa sta parlando.

"Una volta abbiamo salvato una donna con tre figli che non smetteva di piangere. Poi abbiamo scoperto che suo marito era caduto in acqua ore prima di trovarli. Noi che ci occupiamo di impostare i percorsi di ricerca delle imbarcazioni ci siamo detti che se avessimo agito in altro modo, forse li avremmo trovati prima..... Devi imparare a gestire tutto questo sulla via del ritorno. O lo fai, o non puoi continuare la tua vita in modo normale", racconta Martinez.

Se in questa zona SAR si perdessero le tracce di uno yacht con cittadini europei a bordo, i libici non sarebbero mai incaricati di occuparsene

Quando cala la notte nel Mediterraneo, cambiano i turni a bordo dell'Aita Mari. L'equipaggio deve rimanere in costante allerta, in attesa di un segnale sul radar o via radio.

"Questa situazione di crisi umanitaria nel Mediterraneo è il risultato della volontà dell'Unione Europea di creare uno spazio nero, senza diritti nella zona della SAR Libica, dove non c'è la possibilità di rispondere alle richieste di aiuto. L'Unione europea ha fornito alla Libia imbarcazioni e corsi di formazione per salvare le apparenze. In questo modo giustificano i soldi che passano nelle mani della Libia", afferma Mijangos.

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"Se in questa zona della SAR si perdessero le tracce di uno yacht con a bordo cittadini europei, i libici non sarebbero mai incaricati di occuparsenea. L'Unione europea non sarebbe così scrupolosa nell'affermare che è la Libia responsabile. Ma sono migranti, questa è la realtà".

Secondo l'Oim, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, fino al 6 ottobre scorso, 1071 persone sono morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Il conteggio però che non comprende tutti i corpi che non sono stati recuperati.

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