Facebook, per i moderatori di contenuti il lavoro "è una tortura"

Nathan Nkunzimana è uno dei circa 200 ex moderatori di contenuti di Facebook che hanno fatto causa all'azienda in un processo che potrebbe avere implicazioni a livello mondiale.
Nathan Nkunzimana è uno dei circa 200 ex moderatori di contenuti di Facebook che hanno fatto causa all'azienda in un processo che potrebbe avere implicazioni a livello mondiale. Diritti d'autore AP
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Di Associated Press
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

La causa intentata dai moderatori di contenuti di Facebook in Kenya potrebbe avere ripercussioni a livello mondiale.

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Molestie su minorenni, assassini... scene traumatiche che i moderatori di Facebook sono costretti a vedere ogni giorno. Sull'orlo delle lacrime, Nathan Nkunzimana racconta il suo ex mestiere, quello che per otto ore al giorno gli imponeva di vedere orrori, affichè gli altri non dovessero farlo.

Alcuni dei suoi colleghi sopraffatti, urlavano o piangevano, ha raccontato.

Ora Nkunzimana è tra i circa 200 ex dipendenti in Kenya che stanno facendo causa a Facebook e all'appaltatore locale Sama per le condizioni di lavoro che potrebbero avere implicazioni per i moderatori dei social media in tutto il mondo.

Si tratta della prima sfida giudiziaria nota al di fuori degli Stati Uniti, dove Facebook ha raggiunto un accordo con i moderatori nel 2020.

1,46 miliardi di euro di risarcimento

Nathan era impiegato presso l'hub esternalizzato di Facebook per la moderazione dei contenuti nella capitale del Kenya, Nairobi, dove i lavoratori controllano post, video, messaggi e altri contenuti provenienti dagli utenti di tutta l'Africa, rimuovendo qualsiasi materiale illegale o dannoso che violi gli standard della comunità e i termini di servizio.

Se vi sentite a vostro agio navigando e visitando la pagina di Facebook, è perché c'è qualcuno come me che è stato lì, su quello schermo, a controllare, a chiedersi: "È giusto che questo contenuto sia pubblico?".
Nathan Nkunzimana
Ex-moderatore di contenuti per Facebook

I moderatori provenienti da diversi Paesi africani chiedono un fondo di risarcimento di 1,46 miliardi di euro a causa delle cattive condizioni di lavoro. Si parla in particolare di scarsa cura per la salute mentale e di bassa retribuzione.

All'inizio dell'anno Nathan e i suoi colleghi sono stati licenziati da Sama, che ha abbandonato il settore della moderazione dei contenuti.

Mesi dopo, i I moderatori lottano ancora con le immagini traumatiche che li perseguitano. "Se vi sentite a vostro agio navigando e visitando la pagina di Facebook, è perché c'è qualcuno come me che è stato lì, su quello schermo, a controllare, a chiedersi: "È giusto che questo sia qui?" ", ha detto Nkunzimana, padre di tre figli e originario del Burundi, all'Associated Press di Nairobi.

AP
Former Facebook content moderator Nathan Nkunzimana said he began his former job as a Facebook moderator with a sense of pride.AP

Secondo il 33enne, essere moderatore di contenuti è come essere un "soldato" che si prende una pallottola per gli utenti di Facebook: g****li addetti osservano i contenuti dannosi che mostrano omicidi, suicidi e violenze sessuali e si assicurano che vengano eliminati.

Per Nkunzimana e altri, il lavoro è iniziato con un senso di orgoglio, sentendosi "eroi per la comunità", ha detto.

Mancanza di sostegno e cultura della segretezza

Per alcuni dipendenti, tuttavia, l'esposizione a contenuti allarmanti ha fatto riemergere vari traumi del passato. I moderatorisi sono scontrati con un muro di gomma e una forte cultura della segretezza in azienda. È stato chiesto loro di firmare accordi di non divulgazione. Oggetti personali come i telefoni non erano ammessi al lavoro.

Dopo il turno, Nkuzimana tornava a casa esausto e spesso si chiudeva in camera da letto per cercare di dimenticare ciò che aveva visto. Persino sua moglie non aveva idea di quanto fosse duro il suo lavoro.

Oggi si chiude in camera per evitare le domande dei figli sul perché non lavora più e sul perché probabilmente non potranno più permettersi la retta scolastica.

Lo stipendio dei moderatori di contenuti era di 392 euro al mese, a cui si aggiungeva una piccola indennità di espatrio per i non kenioti.

Consulenti poco preparati

L'appaltatore di Facebook, Sama, con sede negli Stati Uniti, ha fatto poco per garantire che ai moderatori fosse offerta una consulenza professionale post traumatica nel suo ufficio di Nairobi, ha detto Nkuzimana, secondo cui i consulenti non erano adeguatamente formati per affrontare ciò stavano vivendo.

AP
Facebook parent Meta has said its contractors are contractually obliged to pay their employees above the industry standard in the markets they operate.AP

In un'e-mail inviata all'AP, Sama ha dichiarato che gli stipendi offerti in Kenya erano quattro volte superiori al salario minimo locale e che "oltre il 60% dei dipendenti maschi e oltre il 70% delle dipendenti femmine vivevano al di sotto della soglia di povertà internazionale (meno di 1,74 euro al giorno)" prima di essere assunti.

Sama ha dichiarato che tutti i dipendenti hanno accesso illimitato a consulenze individuali "senza rischio di ripercussioni".

Sfruttare l'iniquità economica globale

Questo tipo di lavoro può essere "incredibilmente pesante dal punto di vista psicologico", ma le persone in cerca di lavoro nei Paesi a basso reddito potrebbero accettare il rischio in cambio di un lavoro d'ufficio nell'industria tecnologica, avverte Sarah Roberts, esperta di moderazione dei contenuti presso l'Università della California, Los Angeles.

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In Paesi come il Kenya, dove è disponibile molta manodopera a basso costo, l'esternalizzazione di un lavoro così delicato è "tipico di un'industria sfruttatrice che utilizza l'iniquità economica globale a proprio vantaggio, facendo danni e poi non assumendosi alcuna responsabilità", spiega Roberts.

Si tratta del comportamento tipico di un'industria sfruttatrice che utilizza l'iniquità economica globale a proprio vantaggio, facendo danni e poi non assumendosi alcuna responsabilità.
Sarah Roberts
Esperta di moderazione dei contenuti presso l'Università della California, Los Angeles

La tattica abituale in questi casi negli Stati Uniti è quella di patteggiare, ha sottolineato Roberts, ma "se le cause vengono intentate in altri luoghi, potrebbe non essere così facile per le aziende farlo".

Discorsi d'odio e conflitti online

Ricercati per la loro conoscenza di varie lingue africane, i moderatori di contenuti assunti da Sama in Kenya si sono presto trovati a esaminare contenuti grafici che colpivano dolorosamente da vicino.

Se scappi dalla guerra, poi devi vederla
Fasica Gebrekidan
Ex moderatrice di contenuti

I due anni in cui Fasica Gebrekidan ha lavorato come moderatrice sono stati quelli della guerra nella regione settentrionale del Tigray, sua patria, dove centinaia di migliaia di persone sono state uccise e molti tigrini come lei sapevano poco della sorte dei loro cari.

Già sofferente per essere dovuta fuggire dal conflitto, la 28enne trascorreva la sua giornata di lavoro guardando video "raccapriccianti" e altri contenuti legati in gran parte alla guerra, tra cui lo stupro. Il sentimento di gratitudine che aveva provato al momento di ottenere il lavoro è scomparso rapidamente.

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"Se scappi dalla guerra, poi devi vederla", ha detto Fasica, "per noi è stata solo una tortura".

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