Gli Usa tornano nell'Unesco. Perché tanta smania di farne parte?

Il logo dell'UNESCO in una foto d'archivio
Il logo dell'UNESCO in una foto d'archivio Diritti d'autore Christophe Ena/Copyright 2017 The AP. All rights reserved.
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Di Cinzia RizziBruno Sousa
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Washington era uscita dall'agenzia Onu per l'Educazione, la Scienza e la Cultura nel 2018, per volontà dell'allora presidente Trump. Cina, IA e un po' di soft power le ragioni del ritorno

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Cina, intelligenza artificiale e giochi di potere sono tra le ragioni che hanno portato un paio di settimane fa gli Stati Uniti a chiedere il reintegro nell'UNESCO, cinque anni dopo esserne formalmente usciti. 

E questo venerdì, dopo un voto al vertice straordinario di Parigi, sono tornati a farne parte. A favore del rientro degli Usa sono state 132 nazioni, a fronte di 15 astenuti e 10 contrari, tra i quali Iran, Siria, Cina e Russia.

Si tratta di un forte atto di fiducia nell'UNESCO e nel multilateralismo. Non solo nella centralità del mandato dell'Organizzazione - cultura, educazione, scienza, informazione - ma anche nel modo in cui questo mandato viene attuato oggi
Audrey Azoulay
Direttrice generale UNESCO (12/06/2023)

Gli americani erano pronti a tutto pur di rientrare nell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura: attualmente devono ancora 619 milioni di dollari in quote associative (una cifra tutt'altro che irrisoria, dato che il bilancio annuale dell'UNESCO è stimato intorno ai 534 milioni di dollari) per il periodo 2011/2018. 

Il Congresso Usa ha già approvato a fine 2022 un disegno di legge per stanziare il rimborso, attraverso rate annuali di circa 150 milioni di dollari, fino a estinzione del debito.

I timori di Washington sulla Cina

E allora qui la domanda sorge spontanea: non può esserci solo la volontà di finanziare e promuovere la cultura, la scienza, l'informazione dietro tutto ciò. 

Lo abbiamo chiesto a Scott Lucas, professore emerito di politica statunitense all'Università di Birmingham. "Credo che l'amministrazione Biden riconosca, in termini di politica di potere, che se non si è nell'UNESCO, la leadership o comunque una posizione primaria viene ceduta alla Cina. Come sappiamo, la Cina è una preoccupazione per l'amministrazione Biden. Inoltre credo che l'amministrazione Biden si stia dicendo che il multilateralismo sia un bene per gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti non sono più o non possono più aspirare a essere una potenza unipolare".

Effettivamente il posto lasciato vuoto da Washington nel 2018 è stato riempito da Pechino, ad oggi finanziatore principale dell'organismo. Gli americani temono che il Dragone possa influenzare l'UNESCO nella definizione delle sue politiche, in particolare per quanto riguarda la definizione di standard per l'intelligenza artificiale (IA) e l'istruzione tecnologica in tutto il mondo. 

Parlando di IA, in merito alla quale l'UNESCO ha adottato un codice etico, gli Stati Uniti temono di essere esclusi dalle decisioni sulle norme che verranno stabilite su questo questo tema così scottante e d'attualità. 

"Se vogliamo davvero affrontare la competizione con la Cina nell'era digitale, non possiamo più permetterci di essere assenti" aveva detto il Sottosegretario di Stato per la Gestione John Bass a marzo. "L'assenza degli Stati Uniti dall'UNESCO ha rafforzato la Cina e compromette la nostra capacità di essere altrettanto efficaci nel promuovere la nostra visione di un mondo libero".

Se vogliamo davvero affrontare la competizione con la Cina nell'era digitale, non possiamo più permetterci di essere assenti
John Bass
Sottosegretario di Stato Usa per la Gestione (marzo 2023)

Soft power e relazioni pubbliche

E se fosse il cosiddetto soft power (l'influenza sottile che fa leva su argomentazioni di carattere ideale) a smuovere gli animi americani? "L'UNESCO è fondamentalmente uno strumento di cooperazione per il bene di tutti noi", spiega ai nostri microfoni Lucas. "So che agli accademici e agli addetti ai lavori piace parlare di soft power. Ma da un punto di vista ideale, perché non dovremmo lavorare insieme per il patrimonio educativo, scientifico e culturale e per il progresso? Ora, può accadere che stando dalla parte giusta si possa ottenere anche un soft power per sé stessi. Ma il punto di partenza dovrebbe essere una posizione di cooperazione, piuttosto che di guadagno nazionale, piuttosto che una storia di vincitori e vinti".

Ad ogni modo, secondo Lucas, è soprattutto una questione di relazioni pubbliche: "È meglio cooperare con le Nazioni Unite, soprattutto quando si tratta di progetti educativi, scientifici e culturali o è meglio boicottare le Nazioni Unite e rimanere esclusi? Se volete davvero affermare di essere stati coinvolti nella cooperazione globale su una serie di questioni - sia che si parli di cambiamento climatico, di libertà giornalistica, di progresso tecnologico e scientifico - dovreste farne parte. Dovreste partecipare".

Credo che l'amministrazione Biden riconosca, in termini di politica di potere, che se non si è nell'UNESCO, la leadership o comunque una posizione primaria viene ceduta alla Cina
Scott Lucas
Professore emerito di politica statunitense all'Università di Birmingham

Un storia travagliata

La storia tra gli Stati Uniti e l'UNESCO non è stata di sicuro tra le più semplici. Nel 1984, sotto Ronald Reagan, gli Usa si erano ritirati dall'organizzazione, citando la sua presunta inutilità e gli eccessi di bilancio. 

L'avevano reintegrata nell'ottobre 2003, ma nel 2011 c'era stata una seconda rottura: la Palestina era stata ammessa nell'organismo e gli Usa, allora guidati da Barack Obama, avevano interrotto tutti i finanziamenti. Un colpo duro per l'UNESCO, il cui 22% del budget arrivava appunto dai contributi a stelle e strisce.

Poi nell'ottobre 2017 il colpo finale dell'allora presidente Donald Trump, che aveva annunciato l'uscita dall'UNESCO, criticando il "persistente pregiudizio anti israeliano" dell'organizzazione con sede a Parigi. L'anno seguente gli Usa (e Israele con loro) avevano lasciato ufficialmente l'organizzazione. Questa volta, vivranno per sempre felici e contenti?

Video editor • Bruno Sousa

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