Svezia: video collegamenti per tagliare i tempi di attesa per i malati di Parkinson

Svezia: video collegamenti per tagliare i tempi di attesa per i malati di Parkinson
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Di Euronews
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Jeremy Wilks ci accompagna a Stoccolma per vedere come un apparentemente semplice cambiamento del modo in cui i medici comunicano ha ridotto da sei mesi fino a soli sette giorni i tempi di attesa per

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Jeremy Wilks ci accompagna a Stoccolma per vedere come un apparentemente semplice cambiamento del modo in cui i medici comunicano ha ridotto da sei mesi fino a soli sette giorni i tempi di attesa per i pazienti malati di Parkinson.

“Il cambiamento – spiega il giornalista di euronews – consiste nel passare da una maniera di lavorare obsoleta, con penna e carta, a una che si avvale
delle nuove tecnologie come, ad esempio, i collegamenti video”.

Pionieri di questo progetto sono due neurologi, Anders Johansson e
Christian Carlström. Hanno iniziato con videoconferenze settimanali per discutere se i pazienti di Carlström, malati di Parkinson, avessero bisogno o meno di un trattamento avanzato.

“Quanto tempo risparmiate con questo progetto?” chiede Jeremy Wilks

“Mi ci vogliono 15 minuti – garantisce Anders Johansson, specialista
di disordini del movimento all’“Ospedale Universitario Karolinska”:http://www.karolinska.se/en – invece di una o due ore, se avessi dovuto fare il referto qui, dovendo cercare informazioni supplementari e fare dei follow up con telefonate e altro”.

“Prima – racconta Christian Carlström, che lavora alla clinica di Neurologia di Stoccolma – non avevamo contatti. Io gli scrivevo una lettera. Che di certo non è un buon modo di comunicare, oltre a prendere un sacco di tempo in più”.

Passare a un collegamento video al posto di scambi epistolari ha ridotto sia i tempi per avere una visita specialistica, sia le visite specialistiche non necessarie. Questo almeno secondo il Karolinska Institute.

euronews ha incontrato le principali associazioni svedesi dei pazienti per avere la loro opinione.

“Eleanor, qual è la situazione reale per gli ammalati di Parkinson in termini di tempi di attesa?”

“I tempi di attesa sono lunghi – risponde Elenor Högström – da sei mesi a un anno o anche due”.

“Inger, cosa ne pensa di questo progetto? Cosa significherà per i pazienti?”

“Il fatto che stiano lavorando assieme in questo modo – spera Inger Lundgren, segretario generale dell’associazione svedese dei malati di Parkinson – rende tutto molto più efficiente. Si corrono sempre dei pericoli quando due neurologi si parlano senza avere davanti la persona che ha il morbo di Parkinson. È molto importante che il paziente venga coinvolto fin dall’inizio. Altrimenti si corrono dei rischi”.

I sistemi sanitari generalmente sono restii ad adottare nuove tecnologie digitali, a causa soprattutto dei problemi amministrativi, almeno secondo Daniel Forslund, commissario per l’innovazione e per la sanità digitale dell’amministrazione di Stoccolma: “Se l’ospedale o la clinica non vengono rimborsati per una riunione virtuale, allora provvederanno esclusivamente a interazioni vecchia maniera, cioè a delle riunioni fisiche. Quindi dobbiamo rendere i nostri regolamenti più flessibili in modo che gli operatori sanitari possano provare ciò che in realtà è meglio per il paziente”.

“In molti – assicura Jeremy Wilks – concordano nel dire che questo nuovo approccio ha del potenziale anche se al momento resta su piccola scala. E i dottori, quali sviluppi vorrebbero per il futuro?”

Il dottor Carlström crede che varrebbe la pena sperimentare questi collegamenti video anche con i pazienti: “Dovrebbe funzionare così: a casa il paziente ha una telecamera e un collegamento video e dovrebbe collegarsi online due, tre volte al giorno, per cinque minuti in modo che io possa chiedergli come sta, di mostrarmi certi movimenti e di sapere se così va meglio o no”.

“Vedendo come lavorate assieme, mi viene da chiedere perché non l’avete mai fatto prima”.

“Questa è un’ottima domanda – risponde il dottor Johansson – Non lo so…è talmente ovvio e facile, è semplicemente meglio di prima”.

Altri cinque neurologi svedesi ora prendono parte al progetto di Stoccolma.

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