Per l'intera giornata le islandesi hanno abbandonato sia il lavoro retribuito che quello di cura, per denunciare il divario di retribuzione e la violenza sessuale e di genere
Martedî le donne islandesi hanno incrociato le braccia. Circa 40 organizzazioni hanno indetto uno sciopero di un'intera giornata contro il divario di retribuzione tra uomini e donne, e più in generale la disparità e violenza di genere, sotto lo slogan è "Tu questa la chiami parità?".
Vi hanno aderito migliaia di donne e di persone di genere non binario e ha previsto sia un’interruzione del lavoro retribuito che di quello non retribuito, che comprende il lavoro domestico e di cura, che nella maggior parte delle famiglie ricade sulle donne. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza a manifestare, la maggior parte nella capitale Reykjavik, ma altre iniziative si sono svolte in una decina di altre città.
Vi ha aderito anche la prima ministra Katrín Jakobsdóttir, che ha detto di voler "mostrare solidarietà alle donne islandesi". "Non abbiamo ancora raggiunto i nostri obiettivi di piena uguaglianza di genere e stiamo ancora affrontando il divario salariale basato sul genere, che è inaccettabile nel 2023", ha dichiarato la premier. "E sstiamo ancora affrontando la violenza di genere, che è una priorità per il mio governo", ha aggiunto.
Lo slogan dello sciopero richiama il fatto che l'Islanda è già considerata da tempo un "paradiso" dell'uguaglianza di genere. Il Paese è stato classificato come quello con la maggiore, non assoluta, parità di genere al mondo per 14 anni di fila dal World economic forum. Le organizzatrici dello sciopero hanno fatto notare però che in alcune professioni, soprattutto quelle a prevalenza femminile, il divario di retribuzione tra uomini e donne raggiunge ancora il 21 per cento, e più di una donna su tre ha avuto esperienza di violenze di genere nella propria vita.
La giornata di protesta ricalca lo sciopero storico del 24 ottobre 1975, quando il 90% delle donne islandesi smise di lavorare e anche di occuparsi della casa e dei bambini per un'intera giornata per esprimere la propria rabbia contro il divario di retribuzione e la discriminazione sul posto di lavoro, dando la spinta all'approvazione di importanti riforme.
Nel 1976, infatti, l'Islanda ha approvato una legge che garantisce la parità di diritti a prescindere dal sesso. Cinque anni dopo, nel 1980, Vigdís Finnbogadóttir divenne la prima presidente islandese oltre che la prima donna a essere democraticamente eletta come capo di Stato nel mondo.
Da allora ogni 24 ottobre, ribattezzato "giorno libero delle donne", ci sono stati diversi scioperi parziali. L'ultimo nel 2018, con le donne che abbandonano il posto di lavoro nel momento della giornata in cui, in media, hanno calcolato smettono di guadagnare rispetto agli uomini.