La democrazia è a rischio estinzione?

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Di Michela Morsa
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Secondo un sondaggio di Open society foundations, più di un terzo dei giovani tra i 18 e i 35 anni è favorevole a un regime militare o a un leader autoritario. Come siamo arrivati a questo?

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Le persone credono ancora nella democrazia? Se lo è chiesto l'Open society foundations, che per il secondo anno consecutivo ha intervistato più di 36mila persone in 30 Paesi del mondo per scoprire opinioni e sensazioni in materia di diritti umani e democrazia, ma anche sulle principali questioni che i Paesi e il mondo devono affrontare. 

Il sondaggio "Open society barometer: è efficace la democrazia?", uno dei più ampi mai effettuati sull'opinione pubblica mondiale, è stato condotto tra maggio e luglio 2023 e i risultati, pubblicati a ridosso della Giornata internazionale della democrazia, sono quantomeno sorprendenti. 

Open society foundations
I 30 Paesi in cui è stato effettuato il sondaggioOpen society foundations

Il concetto di democrazia è ancora ampiamente popolare in ogni regione del mondo: l'86% degli intervistati dichiara di preferire vivere in uno Stato democratico e il 62% ritiene che la democrazia sia la miglior forma di governo possibile. In Italia, rispettivamente il 91 e il 69%. 

Inoltre, solo il 20% delle persone crede che gli Stati autoritari possano essere più capaci di soddisfare le richieste dei cittadini ed efficienti nel gestire le principali questioni interne e sulla scena internazionale. 

Quello che sorprende però è che, sebbene a livello generale la fiducia nella democrazia sia ancora alta, la fascia d'età a essere più scettica sulla sua efficacia è proprio quella più giovane, dai 18 ai 35 anni

Se guardiamo ai dati disaggregati per gruppi d'età, la percentuale di cittadini che ritiene la democrazia la miglior forma di governo possibile scende nei più giovani al 55%, mentre è il 61,4% tra i 35 e i 55 anni e il 69% tra gli over 56. 

Per di più, il 42% di loro ritiene che un regime militare sia un buon modo di governare un Paese e il 35% è favorevole a un leader "forte" che faccia a meno di elezioni e parlamento. In Italia le percentuali scendono al 24 e al 32%.  

Open society foundations
Dati disaggregati per età sulle domande sui regimi autoritariOpen society foundations

Ma come siamo arrivati a questo? Cosa significa per la sopravvivenza della democrazia?

"È davvero preoccupante che il sostegno più basso si registri nel gruppo più giovane, quello dei giovani tra i 18 e i 35 anni, perché oggi abbiamo la più grande generazione di giovani. Metà del mondo ha meno di 30 anni", afferma Natalie Samarasinghe, Global director for advocacy di Open society foundations. 

Ma, dice, il contesto è importante. "È una combinazione di fattori. Siamo davanti a una generazione che ha vissuto una serie di shock: crisi economiche, Covid, cambiamenti climatici, ed è più che provato che gli Stati autoritari non hanno gestito bene queste crisi, ma nemmeno le democrazie. Quando si cresce in un'epoca di instabilità e di crisi, si ha poca fiducia nei politici. Quindi penso che questo si traduca in scetticismo nei confronti del sistema nel suo complesso". 

Alla sensazione che la politica abbia fallito nel gestire le principali crisi di questi anni, si aggiunge l'impressione "di star peggio" dei propri genitori in quanto a condizioni socio-economiche e, infine, la scarsa rappresentazione: "Quanti giovani sentono di avere voce in capitolo in democrazia quando i temi per cui si battono non sono mai in cima all'agenda?", sottolinea Samarasinghe. 

Questa disaffezione per la democrazia scaturisce quindi da un generale e continuo disallineamento tra le richieste dei cittadini e ciò che poi è effettivamente portato a termine dalla classe politica. In media, circa un terzo degli intervistati non si fida del fatto che i politici lavorino nel loro interesse e si occupino dei temi che stanno loro a cuore. In primis povertà, disuguaglianza e diritti umani, cambiamento climatico e corruzione

La responsabilità delle altre generazioni

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, concorda con Samarasinghe non solo sulle difficoltà socio-economiche che hanno segnato le ultime generazioni, ma anche sulla responsabilità della classe politica. "I partiti sono diventati strutture inadeguate. I partiti insegnano la democrazia, la praticano e mostrano come praticarla. Un grande politologo statunitense scrisse all'inizio degli anni 40 un libro dicendo che i partiti nascono con la democrazia e la democrazia nasce con i partiti. Di conseguenza la democrazia muore se muoiono i partiti e invece prospera se i partiti si riprendono. Ma non vedo questo sforzo da parte dei politici", spiega Pasquino. 

Il professore attribuisce però una parte di responsabilità per la disaffezione dei giovani al sistema democratico anche alle generazioni più anziane, progressivamente più favorevoli alla democrazia. Tra gli over 56 intervistati, i regimi più autoritari non godono di particolare popolarità: solo il 20% è aperto a uno Stato militare, e il 26% a un leader forte

Una differenza notevole con i più giovani, ma facilmente spiegabile secondo Pasquino: "Banalmente, molti di loro hanno vissuto una parte della loro vita sotto un regime autoritario e sanno che non vorrebbero mai tornare indietro. Hanno invece avuto esperienze positive o comunque migliori di quelle dei giovani con la democrazia. Però sarebbe stato meglio se avessero trasmesso queste informazioni, sensazioni ed emozioni ai loro figli. Forse non lo hanno fatto abbastanza". 

La democrazia è a rischio estinzione?

Ma quindi cosa ci dicono questi dati sulla salute e soprattutto sul futuro della democrazia? C'è davvero il rischio che l'impianto democratico svanisca progressivamente? Nessuno dei due esperti vede nemmeno lontanamente possibile questa ipotesi. 

“Le democrazie continuano a fare la loro comparsa, e quelle consolidate non sono mai cadute. In realtà è sbagliato dire che c'è una crisi della democrazia, ci sono dei problemi di funzionamento all'interno di alcune democrazie, ad esempio l'Ungheria, ad esempio la Polonia, ma la democrazia non è in crisi", afferma il professor Pasquino. 

Samarasinghe va ancora più a fondo: "La tendenza è sempre stata e sarà verso una maggiore libertà. E credo che anche questo sondaggio dimostri che c'è questo desiderio. Solo che le persone ora vedono una discrepanza tra questo desiderio e le loro vite. Ma non credo che la loro soluzione sia 'ok, ci rivolgeremo a un sistema autoritario'. Può essere una soluzione a breve termine, ma non a lungo termine. I valori a cui le persone tengono personalmente, tra cui i diritti umani, sono così profondamente radicati anche nei Paesi che attualmente hanno governi più autoritari, che non è possibile svaniscano." 

Piuttosto, la preoccupazione è un'altra: cosa può succedere durante questo periodo di disallineamento. "Credo che i leader politici, nazionali e internazionali, debbano tenere a mente quali sono le conseguenze dell'inazione. Non si tratta solo di dire: "Ok, non vogliamo rinunciare alla produzione di carbone ora perché abbiamo questa industria nella lobby e potremmo perdere le prossime elezioni. Qui è in gioco l'intero sistema".

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