Etiopia, sdegno internazionale per la guerra del Tigrè: "pulizia etnica"

novembre 2020: rifugiato etiopi ricevono aiuti nel campo di Umm Rakouba , nella regione del Qadarif, Sudan orientale
novembre 2020: rifugiato etiopi ricevono aiuti nel campo di Umm Rakouba , nella regione del Qadarif, Sudan orientale Diritti d'autore Nariman El-Mofty/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.
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Di Antonio Michele Storto
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gli Stati Uniti hanno chiesto il ritiro immediato delle truppe eritree, che starebbero uccidendo anche donne e bambini, stanandoli casa per casa

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Il mondo è sgomento di fronte al massacro che si consuma nello stato etiope del Tigré, nella zona settenrionale del paese al confine con l'Eritrea. Appena due anni fa, il premier etiope Ahmed riceveva il nobel per la pace, riconosciutogli tanto per l'opera riformatrice con cui ha riconsegnato i diritti umani a una popolazione stremata da decenni di vessazioni, quanto per la de-escalation nel conflitto col regime eritreo guidato da Isaias Afewerki.

Oggi, proprio gli uomini di Afewerki, intervenuti nella regione a fianco delle forze del governo federale di Adis Abeba,  sono in gran parte responsabili di quella che le organizzazioni umanitarie non esitano a definire una pulizia etnica.

Il conflitto tra le forze armate e gli insorti del Fronte popolare per la liberazione del Tigrè ha trasformato la regione in una fabbrica di sfollati, che si contano nell'ordine delle centinaia di migliaia, mentre i cadaveri sono talmente tanti tra la popolazione civile che non si sa più dove seppellirli. 

"Qui ce ne sono due, li abbiamo sepolti qui, nella terra" racconta un uomo ai reporter francesi di Sky News. "Molti altri sono ancora ammucchiati in chiesa". 

"Ne hanno uccisi più di 80 qui" precisa. "E' stato l'esercito eritreo".

Casus Belli

Il conflitto è iniziato lo scorso 4 novembre, quando il premier Ahmed ha ordinato l'invasione dello Stato, che si era ribellato alle trasformazioni in atto nel Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope, sigla ombrello sotto la quale confluisce anche il Fronte popolare di liberazione del Tigrè, i cui dirigenti hanno indetto una elezione il cui esito, a fronte di una partecipazione di quasi 3 milioni di elettori (la quasi totalità degli aventi diritto) e della sostanziale regolarità riscontrata dagli osservatori internazionali, non è mai stato riconosciuto da Ahmed.

Håkon Mosvold Larsen/AP
Dicembre 2019: il premier Etiope Abiy Ahmed riceve il Nobel per la Pace a Oslo, in NorvegiaHåkon Mosvold Larsen/AP

Il 4 novembre, dopo un attacco a una caserma governativa che secondo alcuni commentatori sarebbe stato un palese pretesto e potrebbe perfino non essere avvenuto, il premier ancora fresco di Nobel ha inviato le forze armate federali: un cordone sanitario è stato eretto attorno alla regione, mentre  la rete internet e le linee telefoniche sono state tagliate. 

Ad oggi, gli sfollati sono più di 500mila nella regione, mentre l'esercito del dittatore Afewerki - intervenuto alle prime battute del conflitto dopo un lancio di missili su un aeroporto eritreo - è accusato dei crimini più odiosi. 

"Hanno ucciso un bambino di 13 anni qui" spiega Hintsa Adhanom, residente nella città di Mayweini.

"L'ho visto con i miei occhi" aggiunge, visibilmente traumatizzato.  "Un soldato gli ha detto 'vieni qui', e quando il bambino lo ha raggiunto, lui gli ha sparato a bruciapelo. E' una scena che non riesco a dimenticare, continua a scorrermi continuamente nella testa"

Sdegno internazionale

La scorsa settimana, il segretario di stato americano Anthony Blinke****n ha chiesto l'immediato ritiro delle truppe eritree, intervenute a fianco di quelle etiopi e largamente responsabili di quella che le organizzazioni umanitarie hanno presto etichettato come una carneficina insensata e arbitraria, condotta stanando i civili casa per casa. 

I filmati che arrivano dai villaggi della regione, a ridosso con il confine eritreo, mostrano veicoli militari bruciati, edifici distrutti, proiettili d'artiglieria rimasti in terra e tombe di fortuna scavate ovunque. 

 Blinken è stato il primo funzionario internazionale a condannare apertamente quella in corso nella regione come una conclamata  pulizia etnica. Accuse che Adis Abeba respinge al mittente, bollandole come "infondate".

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