Le donne vinceranno mai la gara per la parità nello sport?

Le donne vinceranno mai la gara per la parità nello sport?
Diritti d'autore DAMIEN ROSSO / DROZ PHOTO for Liv Cycling France
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Di Monica Pinna
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Nel 2020 - ancora - lo sport femminile non ha lo stesso peso di quello maschile. E spesso le donne sono costrette in questo mondo a subire violenze psicologiche e non solo

Le donne e lo sport, un terreno scivoloso per la parità di genere, ancora saturo di discriminazioni e luoghi comuni. Il punto tra progressi e barriere ancora esistenti.

La parità di genere è ancora oggi un percorso a ostacoli. In particolare quando si parla di sport. Nonostante il lockdown, abbiamo deciso di partire per un mini Tour de France, per incontrare le atlete, che nella loro disciplina, militano per fare la differenza.

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Audrey Cordon-Ragot, ciclista su stradaEuronews

Audrey Cordon-Ragot è la campionessa nazionale francese di ciclismo su strada. Non gareggia solo per vincere, ma anche per promuovere lo status delle donne nel ciclismo.

Ci racconta che le discriminazioni hanno radici profonde: "Oggi come donne continuiamo a firmare dei contratti da amatori, nell'ambito della Federazione Francese di ciclismo", spiega la campionessa. "Non è lo stesso per gli uomini, che firmano licenze professionali. Noi chiediamo solo che venga riconosciuto il nostro valore e di poter fare del ciclismo il nostro mestiere”.

Audrey ha fondato un’associazione per proteggere i diritti delle donne cicliste e ha scelto di competere per un team straniero, Trek-Segafredo. "Far parte di un team americano mi aiuta ad emanciparmi e a vedere le cose in modo diverso che se fossi rimasta in Francia", ci spiega. "Tutti sanno che i Paesi anglofoni hanno una marcia in piu' in materia di parità uomo-donna. Far parte di questa équipe significa, in un certo senso, affermare pubblicamente la mia posizione sulla questione e difenderla ancora di più".

Quando si oltrepassa il limite

Il sessismo nello sport può andare da subdole pressioni psicologiche a violenze fisiche. Chi osa parlare rischia l’emarginazione. A Charlotte Girard-Fabre è costato il suo posto da arbitro internazionale di hockey su ghiaccio.

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Charlotte Girard-Fabre, ex arbitro internazionale di hockey su ghiaccioEuronews

Oggi è arbitro nazionale di pallamano e si allena quotidianamente con il marito savice, che è anche suo collega. "Più il mio palmares brillava, più è stata dura incassare", dice Charlotte. "Durante il riscaldamento potevano essere delle forti pallonate alla testa o delle spinte perché mi trovassi in posizioni difficili. Tutto si cristallizzava sul mio genere. Ed è andato da frasi del tipo, quanti chilometri di xxx ho succhiato per arrivare fino alle Olimpiadi a discriminazioni negli spogliatoi, dove nessuno mi rivolgeva la parola”.

A cominciare dal mio primo incontro mi sono piovuti addosso insulti orribili di ogni genere, tipo "sporca puttana", o "non hai niente da fare qui", "l’hockey è uno sport da uomini, torna in cucina"
Charlotte Girard-Fabre
Ex arbitro internazionale di hockey su ghiaccio

E queste discriminazioni sono iniziate sin da quando era piccola, come ci racconta: "Avevo nove anni e non vedevo l’ora di cominciare l’hockey su ghiaccio nel mio club, ma mi hanno subito messo in riga dicendomi che bambini e bambine non hanno il diritto di stare sul ghiaccio contemporaneamente”.

Charlotte ha lavorato come arbitro di hockey sul ghiaccio per dieci anni, inclusi sette per il più alto livello professionale maschile. Ha arbitrato i match di sei Campionati mondiali e due Olimpiadi, Sochi e Pyeongchang. "Non sono stata io a decidere di mettere fine alla mia carriera. Questo diritto mi è stato tolto dopo i Giochi Olimpici del 2018, quando ho fatto presente alla mia federazione di essere stata vittima di discriminazioni dal punto di vista sportivo e della gestione della mia carriera", e continua: "Ho denunciato discriminazioni, sessismo e abusi sessuali nei confronti di altri arbitri. A partire dal quel momento si è strutturata una cortina di omertà. Mi è stato chiaramente detto che non ero io la vittima, ma l’istituzione che accusavo”.

Una "cosa da uomini"

Lo sport è sempre stato considerato una cosa da uomini, sia in termini di partecipazione, che di gestione. Nelle federazioni sportive europee le donne sono appena il 14%, quando sarebbe necessario almeno un 30%, perché il loro impatto si ripercuota sulla gestione.

Ci viene fatto un processo per incompetenza a priori. Siccome siamo donne, non siamo competenti a priori. Sta a noi dimostrare la nostra professionalità. Per un uomo non si porrebbe neanche la questione.
Beatrice Barbusse
Sociologa e segretario generale della Federazione di pallamano francese

Beatrice Barbusse è stata la prima donna francese a presiedere un club maschile ed è ora segretario generale della Federazione Nazionale di Pallamano. Incarichi non semplici, come ha spiegato nel libro ”Il sessismo nello sport”. "Mi sono resa conto in molte situazioni che potevano farci sentire non qualificate, incompetenti, umiliate, non all’altezza", ci spiega Barbusse. "La questione ricade sempre su un punto, il nostro genere".

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Beatrice Barbusse e il suo libro "Il sessismo nello sport"Euronews

La sociologa sostiene la legge del 2014, in base alla quale le federazioni sportive che abbiano almeno il 25% di donne iscritte, devono avere il 40% di donne nel consiglio di amministrazione. Una legge non del tutto rispettata, né sanzionata. “Ci vogliono donne a tutti i livelli della piramide sportiva. Si può imporre per legge. Si deve imporre non solo in Francia, ma in Europa. Sì, le quote sono necessarie!”.

Le sportive e il piccolo spazio occupato sui media

Il nostro viaggio ci porta a Parigi, il cuore dell’industria mediatica francese. Qui gli atleti si trasformano in celebrità o vengono fatti cadere in oblio.

Studi internazionali rivelano che gli eventi sportivi femminili rappresentano il 15-20% della copertura mediatica sportiva europea. La stampa resta il principale mezzo dominato dagli uomini. Ne abbiamo parlato con il direttore dell’Equipe, colosso privato dello sport francese, sia giornale che TV.

"E’ vero che negli ultimi 4-5 anni abbiamo coperto gli eventi femminili un po’ meno, a parte il calcio e gli sport di squadra", spiega Jérôme Cazadieu, direttore dell'Equipe. "E’ perché ci sono meno campionesse oggi nello sport francese”.

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La copertina "incriminata" dell'EquipeEuronews

Ad agosto, l’Equipe è stata criticata per aver aperto con il Tour de France e non con la vittoria della squadra femminile dell'Olympique Lyonnais, che conquistava la Champions League per la quinta volta consecutiva. "E’ una questione di gerarchizzazione delle notizie", giustifica Cazadieu. "Abbiamo comunque pubblicatola notizia della vittoria delle lionesi in prima pagina, abbiamo fatto un bel riquadro. Io non mi sveglio alla mattina pensando che devo fare un trattamento paritario dello sport maschile e femminile. A un certo punto, quello che dà visibilità allo sport femminile è la performance delle nostre squadre. Ci viene rimproverato di non aver messo in prima pagina la vittoria delle lionesi, ma chi ha trasmesso questa partita? Non lo ha fatto neanche il servizio pubblico!".

La lotta perché il sessismo non sia più la regola

Sforzo e determinazione cominciano a dare i propri frutti. La situazione sta migliorando su tutti i fronti, nonostante le molte barriere ancora esistenti, ad esempio, la differenza di remunerazione.

Claire Floret si batte da anni per un Tour de France femminile e l’ha ottenuto. L’evento tornerà nel 2022. Il suo progetto "Donnons des elles au vélo J-1" ha giocato la sua parte.

"Per noi è una vittoria", dichiara Claire. "Sappiamo che darà ossigeno al ciclismo femminile perché l’evento avrà talmente tanta visibilità che attirerà nuovi sponsor nelle squadre. Permetterà alle squadre di strutturarsi, di remunerare le cicliste. E’ un circolo virtuoso".

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Claire Floret si allena in casaEuronews

Il Progetto di Claire dal 2015 porta un numero sempre più alto di cicliste lungo le tappe del Tour de France, un giorno prima della competizione maschile. Neanche il lockdown impedisce loro di allenarsi assieme.

"L’idea è di democratizzare la pratica ciclistica", spiega Claire. "Vogliamo mostrare che qualunque sia il nostro profilo di sportive, abbiamo comunque il nostro posto in sella alla bici".

L’unione fa la differenza nella corsa alla parità. Sempre più atlete fanno squadra, indipendentemente dalla disciplina, per chiedere un terreno di gioco alla pari, dove il sessismo non sia più la regola.

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