Von der Leyen: "indispensabile la solidarietà globale"

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Diritti d'autore FRANCOIS WALSCHAERTS/
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Di Paolo Alberto Valenti
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La globalizzazione non ama il virus e per tornare alla normalità bisogna che la pandemia sia debellata non solo in Europa ma in tutto il mondo. Lo sostiene la presidente della Commissione europea che sa bene quanto nuove crepe nel sistema sanitario possano essere fatali

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Sembrerebbe raccogliere l'invito di Papa Francesco l'Unione Europea che aderisce all'alleanza per vaccini COVID-19 COVAX nell'intento di fornire l'accesso al futuro vaccino ai paesi che non potrebbero permetterselo. Il Papa insiste sempre sulla necessità di non lasciare indietro nessuno e paradossalmente la globalizzazione - che qualche danno comunque lo ha fatto - adesso non potrà in alcun modo essere ristabilita senza che la pandemia venga globalmente debellata.

Un contributo da 400 milioni

La Commissione europea ha annunciato che contribuirà con 400 milioni di euro (478 milioni di dollari) per sostenere il programma e la Presidente della Commissione lo ha chiarito bene :"Questo contributo aiuterà ad acquistare e fornire dosi di vaccino per i paesi a basso e medio reddito - ha detto Ursula von der Leyen - parallelamente, continuiamo a negoziare con le aziende farmaceutiche per acquistare dosi di vaccini per conto degli Stati membri dell'UE. Perché una cosa è chiara: non saremo al sicuro finché tutti, qui in Europa o nel resto del mondo, non saranno al sicuro. Abbiamo bisogno di solidarietà globale". 

La mossa per quanto umanitaria ha una sua precisa logica di mercato: con la globalizzazione non si scappa: o tutti vivi o tutti morti. O meglio: il mantenimento di zone no-vax sparse nel pianeta potrebbe far riaccendere la pandemia all'improvviso magari pure con un virus ancora più letale. Il Coronavirus ha dimostrato di saper operare molto bene al di là della Grande Muraglia, al di là di qualunque barriera e dei respingimenti perché lui vola in business class e va in crociera, paradossalmente (in modo forse epidemiologicamente curioso) si è diffuso prima nel mondo altamente industrializzato e solo dopo nel terzo mondo.

Il caso USA e l'analisi della OMS

Fanno testo gli Stati Uniti che hanno raggiunto i 6 milioni di casi e rimangono il paese più colpito al mondo dalla pandemia in termini assoluti, con quasi un quarto delle infezioni globali e quasi 200 mila decessi da Covid-19.

Grazie a un sondaggio l'Organizzazione Mondiale della Sanità indica che il 90% dei paesi colpiti accusa gravi ricadute nella tenuta dei suoi servizi sanitari. Forse con un eufemismo il direttore generale dell'OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha parlato di `` crepe nei nostri sistemi sanitari' ''.

Ripensare l'insieme dei servizi sanitari

L'indagine ha rilevato che i servizi di assistenza di routine sono stati tra i più colpiti, con il 70% dei paesi che hanno segnalato distonie, interruzioni col montare dell'epidemia e la necessità di milioni di diagnosi e del trattamento per migliaia di pazienti, decine di migliaia. La ricaduta ha riguardato anche le patologie correlate e le patologie non correlate che si è fatto fatica a continuare a trattare come le infermità cardiovascolari e i tumori. Nell'inchiesta quasi un quarto dei paesi che hanno risposto hanno segnalato interruzioni dei servizi di emergenza oppure una congestione particolarmente grave per non parlare della tragedia correlata sul dove sistemare le montagne di cadaveri che si sono accatastate in tanti paesi.

Una fragilità globale

L'emergenza sanitaria ha inoltre svelato la fragilità dell'insieme dell'ecosistema sociale e finanziario globale in termini tali che una stima effettiva dei problemi e delle ricadute è ancora lungi dal poter essere configurata in modo approssimativo.

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