Virus della rabbia ad Arezzo: quando il "salto di specie" avviene a casa

Virus della rabbia ad Arezzo: quando il "salto di specie" avviene a casa
Diritti d'autore SAM PANTHAKY/AFP or licensors
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Di Antonio Michele Storto
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Intervista a Sergio Pistoi, divulgatore e ricercatiore scientifico. "Questi eventi - spiega - sono destinati ad essere sempre più frequenti, se non si affrontano le cause a monte"

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La scorsa settimana, per qualche giorno, l'attenzione dei media italiani è stata tutta rivolta alla città di Arezzo, dove un gatto è risultato positivo a una forma molto rara di Lyssavirus, il virus della rabbia. Prima di morire di encefalite, l'animale - che si ritiene aver contratto la patologia da un pipistrello - è riuscito a mordere la sua padrona e il veterinario che lo ha visitato, i quali si trovano ora entrambi sotto osservazione.

Nonostante le misure precauzionali adottate dalla città - dove a tutti i proprietari di cani e gatti è ordinato di tenere al guinzaglio i propri animali, monitorandone eventuali sintomi e comportamenti aggressivi - secondo gli esperti, il rischio di un'epidemia resta al momento molto contenuto.

A sbalordire, semmai, è l'estrema rarità del ceppo appena rinvenuto, il cosiddetto West caucasian bat Lyssavirus: individuato soltanto un'altra volta prima d'ora (nel 2002), il virus era portato da un pipistrello caucasico, come lo stesso nome suggerisce. Per questo, una squadra di ricercatori dell'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie - centro italiano di riferimento per la rabbia - è ora ad Arezzo per verificare la presenza e l'eventuale estensione di un'epidemia tra la popolazione locale dei pipistrelli.

Sia come sia, la certezza è che ad Arezzo si è appena verificato un altro spillover, ovvero il salto di un patogeno da una specie all'altra e cioé lo stesso fenomeno dal quale, nella città cinese di Wuhan, si è originata la pandemia di Coronavirus tuttora in corso. Un fenomeno che, secondo l'Oms e la maggior parte della comunità scientifica, continuerà a verificarsi sempre più spesso nel prossimo futuro, a meno che le autorità statali e sovranazionali non comincino a correre ai ripari.

Ne abbiamo parlato con **Sergio Pistoi, ** giornalista, ricercatore in biologia molecolare e divulgatore scientifico, già collaboratore di Scientific American e Reuters Health, oltre che di innumerevoli testate italiane; che nel Belpaese è divenuto famoso al grande pubblico soprattutto grazie a Rock Science, progetto di divulgazione scientifica multimediale e dal taglio ironico, rivolto soprattutto ai più giovani. E che proprio ad Arezzo, dopo una lunga parentesi accademica e lavorativa tra Torino e Parigi, attualmente risiede.

EN: Pistoi, da mesi parecchi esponenti della comunità scientifica mettevano in guardia l'opinione pubblica circa il rischio che quanto accaduto a Wuhan potesse replicarsi a catena in altre parti del mondo: siamo di fronte all'avverarsi di una profezia in tempo zero?

SP: "Dipende da quale punto di vista si guarda questa vicenda. Se è un'epidemia che si teme, allora il rischio è molto contenuto, perché la Rabbia è una patologia pressoché debellata in Italia: l'ultimo caso, per quanto riguarda la trasmissione animale, risale al 2013; mentre per un contagio umano si deve tornare indietro fino al 1968. Il rischio semmai è proprio che il nostro paese perda la qualifica di territorio "rabies free".

Quando abiti in una città dove non succede mai niente e ti ritrovi nel teatro di uno #spillover , almeno un video su IG lo devi fare. Pare che arriveranno esperti a studiare i pipistrelli nel sottopasso del fiume Castro. Come nel libro di Quammen. Però ad Arezzo. #arezzo #gattini #rabbia #pipistrelli #lyssavirus Ambulatorio Veterinario Giotto

Publiée par Sergio Pistoi sur Mercredi 1 juillet 2020

Resta però il fatto che ci troviamo di fronte a uno spillover, proprio mentre le più alte autorità scientifiche internazionali non fanno che allertarci sul rischio che questo tipo di fenomeni si intensifichi...

"In realtà, gli spillover si verificano in continuazione, in natura. Spillover è un termine che, in maniera molto efficace, descrive il traboccare di un virus fuori da una specie e all'interno di un'altra. Tutta l'esistenza dei patogeni trascorre nel tentativo di passare da un ospite all'altro, perché è da questo che dipende la loro sopravvivenza. I virus in particolare sono dei "parassiti obbligati": nel momento in cui non hanno più un organismo ospite a disposizione sono destinati a morire. Per questo, si evolvono per cercarne sempre di nuovi, siano questi animali, vegetali o perfino batteri: se ci si mette nell'ottica di un virus, uccidere l'ospite o danneggiarlo gravemente non è mai una buona strategia. Il serbatoio ideale di un virus è una specie che abbia una popolazione molto estesa sul territorio, che non presenti grosse difficoltà di trasmissione da un individuo all'altro e che soprattutto non subisca grandi danni".

E perché, allora, questo fenomeno oggi allarma così tanto?

"Perché se un virus trova, ad esempio, la sua collocazione naturale tra i pipistrelli, ciò implica che, di fatto, non era destinato a passare all'uomo, che per millenni con i pipistrelli non ha condiviso lo stesso habitat. Se lo spillover avvenisse nel territorio naturale dei pipistrelli - ovvero nelle foreste o nella giungla, com'è avvenuto per millenni fin dall'inizio della vita sulla terra - il patogeno passerebbe magari a un'altra specie animale, o lo spillover cadrebbe magari nel vuoto. Se però i pipistrelli finiscono per colonizzare alcuni passaggi sotterranei, come accade ad Arezzo; o stipati in un mercato di animali esotici come a Wuhan, allora il rischio è che a un certo punto, tramite un passaggio intermedio, l'agente venga trasmesso all'uomo. Per questo, la tematica ecologista ritorna in continuazione quando si parla di epidemie di origine zoonotica: queste ultime, infatti, divengono via via più frequenti man mano che esseri umani ed animali selvatici si ritrovano a vivere in condizioni di eccessiva promiscuità ad esempio per via del disboscamento o del contrabbando di specie esotiche".

Ad Arezzo i rischi concreti quali sono in questo momento?

"Diciamo prima di tutto che, seppur contenuti, i rischi non sono inesistenti. La rabbia, a differenza del Covid, è una malattia che conosciamo da centinaia di anni e per la quale abbiamo un sistema di sorveglianza attiva. Il pericolo è legato in primo luogo all'eventualità che il vaccino abitualmente usato non funzioni su questo ceppo, che finora era considerato più che raro. Bisogna poi vedere quanto esteso si rivelerà il serbatoio di questo virus: il rischio, in altre parole, è che se decine di volpi fossero, ad esempio, già infettate sul territorio, queste possano poi mordere gli escursionisti o i residenti, o magari i loro cani".

Finora però si è parlato soprattutto di pipistrelli, riguardo alla specie che ad Arezzo potrebbe aver trasmesso la malattia al gatto in seguito deceduto: viene da chiedersi come sia possibile per un pipistrello riuscire a mordere un gatto domestico...

"Questa è una bella domanda, ma bisognerebbe chiederlo ai proprietari del gatto. Per prima cosa, comunque, bisogna tenere a mente che i pipistrelli sono una specie molto piû mordace di quanto si tenda a immaginare, anche se difficilmente si avvicinano a uomini o altri animali. Quello che accade di solito, in questi casi, è che nello stadio finale della rabbia, quando si verifica la paralisi muscolare, il pipistrello possa cadere da un albero, magari nel giardino dove vive il gatto; il quale si avvicinerà per curiosare o magari per predare l'animale, e verrà morso".

In conclusione, ragionando forse per assurdo: se anche dalle nostre parti è così facile il verificarsi di uno spillover, dobbiamo aspettarci in futuro che una pandemia possa partire anche dall'Italia?

"Beh, il futuro nessuno lo conosce, ma ad oggi questa eventualità non può essere scartata a priori. Certo, al momento gli occhi del mondo sono tutti puntati sul sud-est asiatico, perché in quella regione sono venute a sovrapporsi una serie di contigenze - come  il disboscamento, l'estrema promiscuità con specie selvatiche o esotiche, la presenza di metropoli molto sviluppate contigue ad aree selvatiche e numerosi collegamenti con il resto del pianeta - che ne fanno un possibile serbatoio di virus ad alto potenziale pandemico"

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