I Bektashi: culto mistico albanese, ponte tra Occidente e Oriente

I Bektashi: culto mistico albanese, ponte tra Occidente e Oriente
Diritti d'autore Marco Carlone, Simone Peyronel
Di Euronews
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Viaggio in Albania alla scoperta della comunità religiosa che si fonda sui principi di tolleranza, rispetto e libertà

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Il derviscio ci riceve e avverte che dovremo attendere: “Sua Santità oggi ha avuto delle visite non programmate e il nostro capo spirituale accoglie chiunque si rivolga alla teqqe”. Ci troviamo a Tirana, nel quartier generale (Kryegjyshata, ovvero Corte del Grande Padre Supremo) dell’ordine musulmano Sufi dei Bektashi, una comunità religiosa mistica presente in Albania da secoli. Sua Santità è il Dedebaba (letteralmente, Grande Padre) Baba Mondi, al secolo Edmond Brahimaj. La teqqe è il luogo sacro dei Bektashi, una sorta di cittadella che racchiude cappelle di preghiera ed altre strutture, tra cui la dimora del Baba; a differenza delle moschee, la teqqe non ha minareti e uomini e donne non si ritrovano in aree separate.

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La teqqe di TiranaMarco Carlone, Simone Peyronel

Mentre aspettiamo, il derviscio ci accompagna in un piccolo museo dedicato alla storia dell’ordine dei Bektashi e ai Dedebaba succedutisi nei secoli. Quindi, ci apre le porte della dimora di Baba Mondi e in una sala di arazzi e dipinti religiosi ci offre caffè turco e rakija – entrambi dal sapore molto forte.

Il clero Bektashi consta gerarchicamente di tre figure: il Dedebaba, capo spirituale supremo dell’ordine, i Baba, capi delle varie teqqe, “eletti” direttamente dalla comunità, e i dervisci, che studiano per diventare Baba o semplicemente coadiuvano il Baba nelle cerimonie religiose. La comunità dei credenti si divide invece tra ashik e muhib - entrambi i termini significano “amante”. I primi provengono da famiglie Bektashi, i secondi hanno passato il nasib, un rituale di iniziazione simile al battesimo, che dà loro anche accesso, se lo vogliono, al percorso clericale.

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Un particolare della teqqe di TiranaMarco Carlone, Simone Peyronel

Baba Mondi si presenta in compagnia del fotografo ufficiale della comunità religiosa e, dopo le foto di rito, passiamo nella sala dei colloqui. L’attuale Dedebaba è una figura interessante e chiacchierata, riconosciuta a livello internazionale. Nel 2014 la visita storica di Papa Francesco in Albania vide anche l’incontro dei due leader spirituali e l’apprezzamento del Papa per l’incredibile coesistenza interreligiosa e la tolleranza tipiche del contesto albanese. Prima ancora, Baba Mondi aveva incontrato ad Assisi Papa Giovanni Paolo II in occasione della beatificazione di Madre Teresa.

Nel gennaio 2015, assieme ai capi delle altre tre comunità religiose albanesi, Baba Mondi partecipò a una marcia di solidarietà a Parigi in seguito all’attentato a Charlie Hebdo. Nell’autunno 2017, infine, al quartier generale dell’Onu di New York è stato insignito del premio Global Peace Icon dell’ONG “We care for humanity”. Motivazione: la sua “capacità unica di infondere l’anima di amore immenso e umiltà”. È la tolleranza uno dei cardini del credo Bektashi, e Baba Mondi non manca mai di ribadirlo.

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Baba MondiMarco Carlone, Simone Peyronel

“Prima di tutto, essere Bektashi significa essere umano. Chi non è umano, non può essere Bektashi”, esordisce il Dedebaba. “Abbiamo sempre fondato la nostra comunità su pace, amore e rispetto reciproco”.

Tolleranza, rispetto, libertà e senso di responsabilità personale: queste le idee di fondo di tale credo mistico. I Bektashi possono bere alcool (“rivela il vero carattere dell’uomo”, spiega il derviscio), non osservano le cinque preghiere giornaliere, non impongono il velo alle donne: “noi rispettiamo la donna e proprio per rispetto nei suoi confronti non vogliamo che porti il velo”, afferma Baba Sadik, il capo della suggestiva teqqe di Melçan, presso Korçë.

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Baba SadikMarco Carlone, Simone Peyronel

Anche a Melçan veniamo accolti da un derviscio, che si premura di sottolineare l’umiltà del capo di questa teqqe, sorta sulla cima di una collina da cui la vista sulla campagna albanese è davvero magnifica. “Il Baba non ama parlare di se stesso, ma dovete sapere che ha operato innumerevoli miracoli nella nostra comunità”, afferma con gli occhi lucidi. “Quanti miracoli ha compiuto Padre Pio? Forse quattro, cinque. Baba Sadik qui ha già fatto nascere oltre cinquecento bambini da famiglie che non ne avevano, è grande il suo spirito”. Miracoli e guarigioni impreviste sono al centro del misticismo Bektashi e spiegano l’autorevolezza incontrastata di cui godono i Baba presso le comunità di fedeli.

Questo credo Sufi, come molti altri, non impone l’osservazione degli obblighi del credente musulmano. Storicamente, l’ordine ha origine nella penisola anatolica, dove si diffuse principalmente a partire dal XV secolo, legando le proprie sorti al potentissimo corpo imperiale ottomano dei giannizzeri. I giannizzeri (letteralmente, “nuovi uomini” o “nuovi soldati”) venivano arruolati dalle terre cristiane dominate dall’impero, ovvero le aree di frontiera balcaniche. Convertendosi all’islam, i giannizzeri sceglievano spesso di avvicinarsi al credo Bektashi. Proprio questa contaminazione di provenienze, culture e tradizioni gettò le basi del sincretismo caratterizzante tutt’oggi i Bektashi: battesimo, comunione, confessione sono riti noti a quest’ordine; il clero resta celibe; sulle tombe si accendono ceri e candele; oltre al Corano, anche Bibbia, Salmi e Torah sono considerati testi sacri; alcuni santi sono ugualmente venerati da cristiani e Bektashi, quali San Cosmas/Choban Baba o San Spiridione/Sari Salltik. Come afferma Baba Mondi, “i Bektashi sono sempre stati un ponte tra Oriente e Occidente”.

Anche la possibilità di consumare alcol pare essere un’eredità del periodo dei giannizzeri: tra Settecento e Ottocento sembra che fosse proprio l’ebbrezza alcolica a spingere i membri di questa milizia imperiale a ribellarsi, in azioni violente che portarono persino alla destituzione del Sultano Selim III nel 1808. L’influenza sugli affari imperiali esercitata dai giannizzeri spinse la Sublime Porta ad abolire l’ordine nel 1826 in favore dell’istituzione di un apparato militare moderno. Per i Bektashi fu l’inizio del declino: non erano più uno dei dodici ordini Sufi riconosciuti dall’autorità ottomana e il loro credo non era più efficacemente rappresentato da un organo sociale importante quali erano i giannizzeri.

Fu Atatürk, padre della Turchia moderna, a mettere al bando l’intero ordine Bektashi nel 1925: costretti a lasciare il paese, trovarono rifugio nella neonata Albania indipendente (1912) e a Tirana venne trasferita la sede ufficiale nel 1929, con il supporto del re albanese Zog I.

La seconda guerra mondiale pose però fine al periodo felice per i Bektashi. L’insediamento di Enver Hoxha nel 1944 e l’inizio della sua dittatura comunista portarono l’Albania nel 1967 a diventare per Costituzione il “primo stato ateo del mondo”: vennero vietate tutte le pratiche religiose, i testi, le icone, perseguitati i credenti e il clero. Stando alle memorie autobiografiche di Hoxha, nel 1949 persino Stalin durante un incontro gli sconsigliava tale approccio intransigente: “il problema dei credi religiosi va ben soppesato, trattato con grande cura, perché i sentimenti religiosi del popolo non devono venire offesi”.

“Durante il regime comunista tutte le religioni furono bandite. Anche il credo Bektashi seguì la stessa sorte”, spiega Baba Sadik, “così come vennero perseguitati e uccisi preti cattolici, pope ortodossi, imam, vennero perseguitati e uccisi anche dervisci e baba Bektashi”. Enver Hoxha, proveniente a sua volta da una famiglia di credo Bektashi, mise in piedi un sistema di almeno 31 lager (stando al report del 1991 di Amnesty International) in cui venivano torturati e piegati ai lavori forzati anche i membri degli ordini religiosi.

La libertà di culto in Albania è tornata in vigore nel 1990, ma da allora ancora un alto numero di persone si dichiara ateo. L’appartenenza religiosa è considerata secondaria in questo paese dall’identità spirituale da sempre così complessa e varia. Come scrisse Pashko Vasa, grande letterato del Risorgimento albanese (1825-1892), nel celebre Oh Albania (O moj Shqypni, 1878) “la fede degli albanesi è l’albanesità”.

Oggi in Albania si stima che almeno la metà dei musulmani segua il credo Bektashi, sebbene nel censimento del 2011 solo il 2.09% della popolazione vi si identificava. Al mondo, si parla di circa sette milioni di credenti Bektashi.

Il governo albanese riconosce l’ordine e lo supporta economicamente. Al contrario, nella vicina Macedonia (FYROM), i Bektashi non sono riconosciuti, ma assimilati alla Comunità Islamica di Macedonia (ICM): ciò ha permesso, a partire dal 2002, ai sunniti di usurpare e rendere “musulmana” l’antica teqqe Arabati Baba di Tetovo (1538). Con la trasformazione di una torre in minareto, da dove il muezzin ora intona l’adhān regolarmente, e la divisione del complesso in zona maschile e femminile, la teqqe è ora utilizzata come un’autentica moschea. Non avendo ottenuto aiuto dallo stato macedone, la comunità Bektashi di Macedonia ha invocato l’intervento della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo nel 2010 e nel 2012; nel 2013 ha presentato un memorandum sulla discriminazione religiosa e di genere verso le donne Bektashi di Macedonia alla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW) delle Nazioni Unite.

Marco Carlone, Simone Peyronel
La teqqe di VasthemiMarco Carlone, Simone Peyronel

Non possiamo lasciare Baba Mondi senza chiedergli quale sia la sua visione sul terrorismo a matrice islamica e la crescente ondata di islamofobia che sta montando in Europa. Il leader spirituale spiega che il credo Bektashi affida al singolo ogni responsabilità, non rimette a una fede o testo sacro gli atti individuali, pertanto non si possono considerare credenti le persone che commettono atti terroristici in nome di Dio. “Sappiamo bene che sono tre i principali nemici dell’umanità: in primis l’ignoranza, poi la povertà che spesso deriva dalla situazione politica, infine l’egoismo dell’uomo. Questi tre fattori possono essere combattuti e sconfitti solo con la collaborazione tra le persone”.

di Martina Napolitano e Simone Benazzo

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