La febbre del pianeta non spaventa l’Ucraina

La febbre del pianeta non spaventa l’Ucraina
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Di Sergio Cantone
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Gli scettici ucraini non sono pronti a uno drastico taglio delle emissioni di Co2.

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Da Kiev a Parigi con l’idea di una missione già compiuta. La delegazione ucraina partecipa alla conferenza Cop 21, prevista per i primi di dicembre, con l’idea di non dover far troppi sforzi per ridurre le emissioni di Co2.

La tentazione del contributo minimo deriva da due fattori, il primo è di ordine sociale: il cambio climatico non è un problema prioritario per gli ucraini, alle prese con ben altri grattacapi.
La seconda ragione è invece legata alla contingenza delle cifre che, nero su bianco, mostrano un crollo verticale della produzione industriale, e delle conseguenti emissioni di ossido di carbonio, dal 1990 a oggi. Senza pressioni da parte delle lobby ecologiste interne, pressoché inesistenti, con un tessuto industriale da ristrutturare e un Pil depresso, il governo di Kiev pensa di potersi acconterare di obbiettivi che poco si discostano dalle emissioni attuali, se non addiritura permettersi di sprigionare ben più gas di adesso. Per intenderci, l’Ucraina nel 1990, quando ancora era parte dell’Urss, emetteva 929 milioni di tonnellate di ossido di carbonio. Attualmente, proprio a causa dello smantellamento dell’economia di piano sovietica negli anni novanta, emette 557 milioni di tonnellate di Co2, all’incirca il 40 per cento in meno del 1990, anno inteso dalla comunità internazionale come il 100 per cento delle carbo-emanazioni.

Ora, il governo Ucraino propone alla comunità internazionale un livello di emissioni per il 2030 pari al 60 per cento del 1990. “Ma il 60 per cento dei valori del 1990 è quello che già emettete oggi!” ribatte l’Undp, l’agenzia Onu incaricata dei negoziati sul cambio climatico, chiedendo una maggior applicazione nella lotta contro il riscaldamento globale. Un alto funzionario del ministero dell’ecologia ucraino controbatte che un impegno del 60 per cento è in realtà già un grande sforzo perché “oggi l’Ucraina ha un tessuto industriale completamente destrutturato dalla scarsa competitività post-socialista e soprattutto dalle distruzioni causate dalla guerra nel Donbass, tradizionale bacino carbo-siderurgico ucraino”.

Insomma, secondo le autorità di Kiev il calcolo sulla quantità di emissioni a quindici anni non si può fare contando sul gracile Prodotto interno lordo attuale, ma su di un Pil con una crescita ben superiore al 5 per cento, parametro calcolato dall’Undp. Perché è evidente che più Pil significa più ossido di carbonio, un’economia florida consuma di più.

Lo sforzo sembra enorme per gli Ucraini, alle prese con l’efficienza energetica, le vecchie case dell’epoca sovietica sono mal isolate, mentre le industrie sono quasi tutte ad alta intensità energetica. Una politica di risparmio nell’abuso di idrocarburi è comunque parte essenziale di un programma ambizioso, teso a ridurre la dipendenza dell’Ucraina dal gas russo.

Il consumo di gas è infatti sproporzionato rispetto alle dimensioni reali dell’economia ucraina. Secondo i calcoli delle Ong l’Ucraina dovrebbe spendere in ristrutturazioni ecologiche ben 75 miliardi di euro da qui al 2030. “Sembra una cifra enorme, ma è solo il 4 pento in più di quanto si spenderebbe in quindici anni mantenendo l’attuale livello di consumo di idrocarburi” afferma Maria Storchilo, del Centro ecologico nazionale ucraino, una Ong finanziata anche dalla Ue. Basandosi sulle stesse cifre, secondo USAid, l’agenzia governativa Usa per la cooperazione internazionale, basterebbe concentrarsi sulle energie rinnovabili, la ristrutturazione degli edifici privi di isolamento termico e termovalorizzare i rifuti.

Ma è difficile imporre ristrutturazioni ecologiche a un sistema economico a base oligarchica con un alto grado di permeabilità tra interessi economici particolari, pubblica amministrazione e organi dello stato.

I principali attori istituzionali mondiali, in primis l’Unione europea, hanno offerto all’Ucraina varie soluzioni finanziarie, ma le amministrazioni precedenti non sembravano garantire un uso responsabile dei finanziamenti ricevuti. E sì, il rischio corruzione fece saltare ben più di un progetto. Anche per questo l’esecutivo ucraino attuale afferma che occorre creare al più presto un mercato nazionale delle quote di emissione, un Ets a livello Ucraino, per la distribuzione delle quote di emissioni tra i principali soggetti locali sotto stretta sorveglianza governativa. Peraltro l’accordo d’associazione con l’Ue ne prevede l’entrata in vigore nel 2016.

Però Maria Storchilo ricorda con una certa amarezza cosa successe quando il Giappone acquistò nel 2009 quote di emissioni di Co2 dall’Ucraina per un valore di 470 milioni di euro: “il 30 per cento di quella cifra era destinato alla realizzazione di vari progetti eco-energetici, ma alla fine il poco che si fece risultò essere di pessima qualità”. Inoltre non c’è modo si sapere che fine abbiano fatto quei soldi.

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