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Imparare a seguire la corrente: strategie di adattamento e sopravvivenza dell’industria ittica

Imparare a seguire la corrente: strategie di adattamento e sopravvivenza dell’industria ittica
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Mentre i pesci si adattano a nuovi habitat, come cambia l’industria ittica?

Melanie Brown pesca salmone sockeye nella baia di Bristol da quarant’anni. Quest’area, dove l’anno scorso sono stati catturati sessanta milioni di esemplari, è conosciuta come uno degli habitat naturali più ricchi di questa pregiatissima varietà di salmone dal colore rosso intenso. Ma nel 2019, durante l’estate più calda mai registrata in Alaska, Melanie e i suoi colleghi pescatori hanno assistito impotenti a una scena devastante: salmoni senza vita trascinati a valle dalla corrente prima di aver deposto le uova. Non erano sopravvissuti a un innalzamento improvviso della temperatura. “Fra tre anni, scopriremo quali sono stati gli effetti dell’ondata di caldo straordinario su quella generazione di sockeye”, annuncia Brown.

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“La scorsa estate, il caldo anomalo ha costretto i salmoni a raggrupparsi al di fuori del distretto fluviale dove solitamente pesco, in attesa che la temperatura dell’acqua scendesse”, racconta Brown illustrando la situazione in Alaska. “A un certo punto, però, non potendo più aspettare, si sono riversati nei punti del fiume dove l’acqua è più profonda e più fresca. Di conseguenza, chi ha reti da posta fisse come me, ha avuto meno opportunità di catturare questi pesci, che normalmente nuotano lungo la riva”, conclude Brown.


In tutto il mondo, pescatori e scienziati osservano la reazione degli stock ittici ai mutamenti del loro habitat, e si parla sempre di più delle conseguenze del cambiamento climatico sul mondo acquatico. Stabilire esattamente in che modo il clima sia responsabile per queste realtà è difficile, ma l’adattamento è diventato un tema essenziale di cui si discute sempre più frequentemente.

Quali sono gli effetti di riscaldamento e acidificazione delle acque sugli stock ittici?

Gli scienziati confermano che i pesci del nord est dell’Atlantico stanno migrando verso latitudini più elevate. Il riscaldamento dell’acqua li spinge a spostarsi in cerca di acque più fresche. I pescatori della costa meridionale della Gran Bretagna hanno difficoltà a pescare merluzzi che per riprodursi hanno bisogno di una temperatura dell’acqua fra gli 0 e i 6 ° C. “C’è stato un cambiamento nelle specie del Mare del Nord”, spiega Elizabeth Bourke, responsabile delle politiche della National Federation of Fishermen’s Organisations (NFFO).

Lo studio di ClimeFish, un progetto dell’Unione Europea, dimostra che il territorio del merluzzo si è ristretto, mentre specie come acciughe, sugarelli del Pacifico e sogliole si sono spostate verso le acque più calde del Mare del Nord, del Mar Baltico e della Scozia Occidentale. Negli ultimi trent’anni, secondo ClimeFish, nelle acque europee si è assistito alla redistribuzione di 19 specie commerciali dell’Atlantico.

“Le ondate di calore hanno avuto effetti in particolare sulle regioni tropicali, dove si è assistito a migrazioni dei pesci verso il nord dell’Atlantico e del Pacifico”, spiega il dottor Nieuwenhuis, direttore per il Nord Europa del Marine Stewardship Council (MSC). “Secondo le previsioni, in queste regioni ci sarà una riduzione del pescato fino al 40 percento entro il 2050”.

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Fonte: Copernicus Climate Change Service / Plymouth Marine Laboratory

“Bisogna capire le variabili ambientali essenziali che regolano la fisiologia di base della fauna ittica, come temperatura, pH e salinità, oltre alla disponibilità di cibo, per capire come il pesce selvaggio reagisce al cambiamento climatico, e quindi le conseguenze sul suo ciclo di vita e sulla sua crescita”, spiega la dottoressa Ana Queiros, scienziata senior del Plymouth Marine Laboratory. “Nei prossimi tre decenni, si prevede che le specie di pesci d’acqua fredda si muoveranno sempre più verso nord, in acque più profonde, […] lontano dalle aree in cui attualmente si concentrano le attività di pesca”, continua la dottoressa, che lavora con il Copernicus Climate Change Service (C3S) all’elaborazione di dati per la gestione dell’industria ittica.

Difficoltà di adattamento per la fauna ittica del nord

“È comprovato che le grandi specie che maturano lentamente, producono meno uova e prediligono un certo tipo di habitat tendono a essere più sensibili al cambiamento climatico”, dice il dottor Martin Lindegren, ricercatore senior presso l’Università Tecnica della Danimarca. “Perciò, generalizzando, molte delle specie più grandi e commercialmente più importanti sono da considerare più vulnerabili rispetto alle specie piccole, opportunistiche, che si adattano più facilmente, come sardine, acciughe o spratti”.

I pescatori della Gran Bretagna stanno assistendo a una riduzione di alcune specie. “I pesci maturano più lentamente nelle acque fredde”, dice la dottoressa Elizabeth Bourke, responsabile delle politiche della National Federation of Fishermen’s Organisations (NFFO). “Spesso, sembrano maturare da sei mesi a un anno più tardi, a seconda della specie. Questo aumenta la pressione sugli stock”, aggiunge Bourke. Questa tendenza si osserva in Alaska, dove i salmoni pescati sono sempre più piccoli. Eugene Anderson, pescatore da una vita, conferma: “Negli ultimi sette anni, il peso medio dei sockeye è passato da 3,5 kg a 2,3 kg. Questo fenomeno è avvenuto in concomitanza con l’aumento della temperatura della superficie del mare nel Golfo dell’Alaska”.

L’aumento della temperatura è invece una buona notizia per altre specie. Il pesce serra e altre specie esotiche hanno trovato nuovi habitat nell’area nord occidentale del Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico. I pescherecci inglesi faticano a trovare sogliole lungo la costa meridionale, ma sono arrivate le spigole, dice Bourke. Specie di acque più calde come la sogliola, il pesce tamburo e il pesce San Pietro stanno proliferando e potrebbero diventare una risorsa importante per l’Europa, secondo la dottoressa Queiros.

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Capire i cambiamenti degli stock ittici per sostenere l’industria peschiera

“Supportare l’adattamento dell’industria ittica significa capire se l’attività di pesca debba essere modificata in certe aree per permettere alla fauna ittica influenzata dal cambiamento climatico di restare sostenibile”, dice la dottoressa Queiros, oltre a “indicare dove i pesci potrebbero redistribuirsi per favorire l’attività di pesca in quelle aree”.

Fonte: Copernicus Marine Environment Monitoring Service

Fornire dati sul clima ai manager dell’industria ittica, alle autorità e ai piccoli pescatori sta diventando essenziale per favorire l’adattamento ed evitare lo sfruttamento eccessivo degli stock ittici. Il Copernicus Climate Change Service (C3S) collabora con il Plymouth Marine Laboratory per capire di quali dati i governi e l’industria ittica hanno bisogno. Assieme hanno elaborato una serie di indicatori degli effetti del clima sugli stock ittici per fare previsioni su come potrebbero cambiare crescita, ciclo di vita, distribuzione e produttività di determinate specie. Il connubio di dati relativi agli habitat e alle tendenze migratorie dei pesci aiutano a prevedere il comportamento degli stock a seguito del cambiamento climatico.

“Molte delle misure di adattamento sarebbero, o possono essere, molto simili a quelle applicate attualmente per rendere l’industria ittica più sostenibile, come la pianificazione di aree protette utilizzando proiezioni sul cambiamento climatico”, dice il dottor José Antonio Fernández, ricercatore senior per la gestione sostenibile dell’industria ittica di AZTI. “Questi approcci richiedono dati, e più se ne hanno a disposizione, meglio è”. Con il nuovo progetto SUSTUNABLE H2020, il dottor Fernández sta esplorando modi per ridurre il consumo di carburante nell’industria ittica. “Il progetto propone anche un approccio rivoluzionario: l’impiego delle imbarcazioni da pesca come piattaforme per la raccolta di dati oceanografici”.

www.sustanableproject.eu

Le comunità del settore ittico si stanno già dando da fare. I ricercatori italiani di ISPRA hanno raccolto informazioni dai pescatori del Mediterraneo sui movimenti dei pesci nel bacino, per trovare nuovi dati, ma anche per supportare le comunità nel processo di adattamento. In Spagna, CEPESCA sta integrando dati sul clima nei modelli di valutazione dell’industria peschiera per capire meglio la distribuzione delle specie. In Norvegia, l’applicazione Vake/Catch utilizzerà i dati satellitari di Copernicus e stilerà delle statistiche per aiutare l’industria a ottimizzare le quote e a capire il collegamento fra le temperature del mare, la presenza del pesce e le tendenze migratorie.

L’adattamento alla migrazione degli stock ittici avviene in varie forme. I merluzzi si sono spostati nel Mare del Nord e di conseguenza, alcune flotte costiere britanniche hanno cominciato a pescare crostacei. “Le flotte di pesca d’altura sono riuscite a seguire i pesci, ma i piccoli pescatori non hanno tante opzioni, dovendo affiancare la pesca ad altre attività meno redditizie, come il turismo”, dice Bourke. Perciò, secondo Seafish.org, non dipendere da un singolo stock di pesce o da una sola fonte di reddito è diventato essenziale per ridurre la vulnerabilità dell’industria ittica.

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Autorizzati a pescare: cosa e dove?

Nell’industria ittica molti segnalano con preoccupazione che se i pesci migrano, i permessi che restringono a determinate aree la cattura di una specie che potrebbe spostarsi altrove, diventerebbero un ostacolo all’adattamento. La pesca che contempla i cambiamenti della produttività e degli habitat della fauna ittica riuscirà a essere più redditizia in futuro, e, allo stesso tempo, mitigherà gli effetti del cambiamento climatico, spiegano i ricercatori dell’Università di Santa Barbara, in California. Concedere ai pescatori un ventaglio di opzioni li renderà più in grado di rimediare alle perdite, se uno dei loro stock dovesse rendere meno del previsto.

Il dottor Nieuwenhuis, direttore per il Nord Europa del Marine Stewardship Council (MSC), spiega: “Per continuare a essere sostenibili, le quote devono essere create sulla base di indicazioni specifiche e seguire il movimento degli stock ittici. Molte azioni, incluse quelle europee, hanno avuto difficoltà a concordare quote sostenibili per sgombri, aringhe, e melù che si sono spostate a nord”. Assegnare quote eque e flessibili ai Paesi, che vengano adattate alle migrazioni dei pesci spinte dal cambiamento climatico, potrebbe essere parte della risposta, secondo il dottor Martin Lindegren, ricercatore senior presso l’Università Tecnica della Danimarca. “Questo permetterebbe ai pescatori di esplorare nuove opportunità di pesca e nuovi mercati”. Anche la disponibilità di maggiori informazioni climatiche in tempo reale sarebbe di supporto all’adattamento. “È importante avere dati sui cambiamenti a breve termine che potrebbero avere conseguenze drammatiche e immediate. Si rende necessario un accesso rapido e diretto a sistemi che anticipino e forniscano previsioni su, ad esempio, ondate di calore, proliferazione di alghe tossiche o diffusione rapida di ipossia, cioè la carenza di ossigeno”.