Una legislazione europea per i lavoratori della platform economy

In collaborazione con The European Commission
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Di Naomi LloydFanny Gauret
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Mentre la Spagna approva un decreto che riconosce i rider come dipendenti a tutti gli effetti, ci chiediamo: ci vuole una legislazione a livello europeo? E incontriamo i fattorini di Barcellona, che non sono tutti contenti.

Se vi è capitato di usare un'app per ordinare la cena o prenotare un idraulico, avete fatto ricorso alla "platform economy", una delle più importanti fra le ultime trasformazioni nel mondo del lavoro. Attualmente il grande dibattito in Europa riguarda le condizioni lavorative.

Il lavoro sulle piattaforme digitali: la situazione

Il lavoro sulle piattaforme digitali, noto anche come "gig economy" è quintuplicato nell'ultimo decennio.

Si ha quando delle persone forniscono servizi specifici organizzati attraverso una piattaforma digitale che le connette con i clienti. Può trattarsi di un'app basata sulla geolocalizzazione, che assegna lavori come consegna di cibo a domicilio, servizi di trasporto tipo taxi, o servizi idraulici, o di piattaforme web che subappaltano lavori come traduzione o progettazione grafica.

Le piattaforme stanno creando nuove opportunità di lavoro, ma con condizioni lavorative non sempre accettabili e algoritmi che non garantiscono un trattamento equo.

L'Unione europea ha avviato una consultazione sui diritti dei lavoratori delle piattaforme, invitando sindacati e organizzazioni imprenditoriali a trovare un accordo. Se non ci riusciranno, la Commissione legifererà sulla questione entro la fine dell'anno.

La Spagna, paese pioniere dei diritti nella platform economy

Questo nuovo modello lavorativo ha messo in crisi i governi su come regolamentarlo. La Spagna è il primo paese dell'Unione europea ad aver approvato una legge che riconosce i rider come dipendenti, con tutte le protezioni sociali. con tutti i diritti annessi, come ferie, assenze per malattia o indennità di disoccupazione.

Per un giovane fattorino sudamericano che ha chiesto di restare anonimo, è un sollievo: "Quello che il governo propone a queste imprese - dice - è che ci garantiscano salario minimo, pensione, assicurazione, e un veicolo per poter lavorare correttamente. Perché noi lavoriamo fino a 12 ore al giorno per ricevere a volte meno del salario minimo".

Al momento questo giovane viene pagato a consegna, in base ai prezzi fissati dalla piattaforma. Poiché non può permettersi una moto, lavora in bicicletta, il che, sostiene, è un grosso svantaggio: "Non ho mai guadagnato 1.000 euro al mese. In bicicletta è molto difficile, perché bisogna lavorare molte ore, è estenuante. Se non ti connetti alla piattaforma, se sbagli qualcosa, se annulli molti ordini, ti cancellano l'account".

Salario minimo, assicurazione contro gli infortuni e un controllo sulla cancellazione degli account: sono alcune delle garanzie cui aspirano i ciclofattorini.

I "contro": meno ore e meno flessibilità

In Spagna esistono già piattaforme con un modello salariale. Ma Jordi, che lavora fra le 40 e le 50 ore alla settimana, preferisce rimanere indipendente: "Vedendo che cosa stanno facendo le aziende concorrenti con i dipendenti - commenta - penso che avrò un contratto di 15 o 20 ore, il che sarà negativo da un lato perché perderò la libertà e la flessibilità che ho oggi, e dall'altro perché le mie entrate diminuiranno drasticamente"

Lavorando in scooter per diverse piattaforme, Jordi guadagna un po' più del salario minimo spagnolo, intorno ai 1.100 euro lordi al mese. Per lui un miglioramento sarebbe la possibilità di fissare le proprie tariffe: "Abbiamo bisogno di maggiori protezioni - prosegue -, ma non con un contratto, che per esperienza sappiamo che ci renderà più precari anziché proteggerci come sostiene il governo".

Una situazione complessa, dovuta anche alla grande varietà dei profili di chi utilizza le piattaforme digitali per trovare clienti in settori come i trasporti, i servizi a domicilio e i servizi online.

Laura è una disegnatrice grafica. Dopo aver perso il lavoro a causa della crisi sanitaria, si è rivolta a una piattaforma che la mette in contatto con una vasta gamma di clienti. Spiega: "Ti iscrivi alla pagina, crei il tuo profilo, inserisci le tue tariffe, i tuoi orari, le tue disponibilità. Per me è stato un cambiamento positivo perché mi dà la libertà di poter decidere quante ore lavorare e dedicarmi ai progetti che mi piacciono davvero. Io credo che piattaforme come questa ti aiutino ad aprirti al mercato del lavoro".

Se da un lato sono necessarie maggiori protezioni sociali, il modello dell'orario di lavoro flessibile è apprezzato da molti e difeso dalle piattaforme digitali stesse. Secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro, queste piattaforme generano 3,8 miliardi di euro di entrate annuali in Europa (dati forniti direttamente dall'Ilo).

Trovare un modello sostenibile

Ma come assicurare il rispetto del diritto del lavoro e la qualità dei posti di lavoro generati? La Commissione europea ha lanciato una consultazione per migliorare la protezione dei lavoratori delle piattaforme digitali.

Da Bruxelles, il direttore generale all'occupazione, Joost Korte, spiega: "È un settore molto promettente, con molte dimensioni positive, come un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro, una maggiore flessibilità, la possibilità per persone che si trovano in circostanze difficili di accedere al mercato del lavoro, ma deve basarsi su un modello sostenibile, altrimenti arriveremo a soluzioni diverse nei diversi stati membri, e questo sarà negativo nel contesto del mercato unico".

Uma Rani, Ilo: "Il problema è quando sei autonomo di facciata ma dipendente di fatto"

Abbiamo incontrato Uma Rani, economista senior all'Organizzazione internazionale del lavoro, l'agenzia specializzata dell'Onu. Uma, cominciamo dalle consultazioni della Commissione europea. Che cosa ne pensa?

"Dobbiamo ricordarci che le piattaforme digitali funzionano al di là delle frontiere, quindi il quadro legislativo dell'Ue che uscirà entro la fine di quest'anno rappresenterebbe un ottimo passo avanti nel miglioramento della vita e delle condizioni di lavoro dei lavoratori e delle piattaforme".

Uno dei rider del nostro servizio dice di essere penalizzato dagli arlgoritmi se rifiuta dei lavori. È qualcosa che accade spesso?

"È un'esperienza che hanno molti lavoratori di queste piattaforme. Le piattaforme in effetti utilizzano pratiche di gestione algoritmica nell'assegnazione del lavoro, e ricompensano e monitorano l'intero processo. Se cominci a rifiutare lavori, se non riesci a tenere il passo, questo ti penalizza".

Ma abbiamo visto che non tutti i fattorini vogliono essere dipendenti, molti amano la flessibilità degli orari.

"Penso che la ragione per cui questo rider vuole lavorare per molte ore sia dovuta al processo di gamification insito in queste piattaforme, che offrono molti bonus e incentivi. Ma dopo un certo periodo, accade che la quantità di lavoro ricevuta diminuisca, e conseguentemente anche le entrate, ed è qui che entra in gioco la frustrazione".

Ma in molti settori c'è gente che sceglie di essere autonoma, qual è il problema con le piattaforme?

"Il problema sorge quando autonomo è uno status fasullo, quando sei dipendente ma ti viene chiesto di essere autonomo senza averne i vantaggi. Non ci sono regole, quindi le regole le fanno loro e decidono quale sia lo status del lavoratore, quale sia il prezzo di una corsa o di un'attività, ed è allora che diventa molto problematico".

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