Rohingya in Bangladesh: come migliorare le condizioni nei campi profughi

In collaborazione con The European Commission
Rohingya in Bangladesh: come migliorare le condizioni nei campi profughi
Diritti d'autore 
Di Monica Pinna
Condividi questo articolo
Condividi questo articoloClose Button
Copia e incolla il codice embed del video qui sotto:Copy to clipboardCopied

A un anno dalla violenta repressione militare in Myanmar siamo andati nel sud del Bangladesh dove circa un milione di Rohingya vive accanto alla popolazione locale

PUBBLICITÀ

A un anno dalla violenta repressione dell'esercito del Myanmar la nostra inviata Monica Pinna è andata a vedere se i rifugiati Rohingya, ospitati nei campi profughi del Bangladesh meridionale, sono riusciti a integrarsi con la comunità locale.

E' passato poco piú di un anno da quando le forze armate del Myanmar hanno dato il via all'operazione chiamata di "pulizia anti-insurrezione" dopo alcuni attacchi a posti di polizia da parte dei miliziani dell'Arakan Rohingya Salvation Army, un gruppo di insorti appartenenti alla comunità musulmana birmana.

L'operazione, che per l'Onu aveva tutte le caratteristiche di un vero e proprio genocidio, ha portato alla distruzione di interi villaggi Rohingya che sono stati dati alle fiamme sia dai soldati che dai guerriglieri.  La conseguenza è stata che la popolazione, presa tra due fuochi, ha cercato di mettersi in salvo attraverso mille difficoltà varcando il confine con il vicino Bangladesh.

La situazione attuale

Secondo gli ultimi dati, diffusi da un pool internazionale di esperti sarebbero oltre 24mila i Rohingya uccisi in Myanmar dall'inizio della campagna militare.

Siamo andati a Domdomia, un villaggio che ospita circa 750 famiglie nel distretto bengalese di Cox Bazaar. Di queste soltanto 200 sono originarie del Bangladesh, le altre sono Rohingya.

Domdomia è ormai un mix di case di mattoni, quelle dei residenti, e di capanne, quelle dei Rohingya.

Tutto intorno al villaggio, il campo di Jadimura è cresciuto fino a 13mila occupanti. Le due comunità, quella bengalese e quella dei Rohingya, imparando a collaborare, sono riuscite a migliorare le reciproche condizioni di vita.

Necessità comuni

Con l'aiuto della Ong francese Solidarités International e i finanziamenti del dipartimento per gli Aiuti Umanitari delle Nazioni Unite, è stato possibile realizzare dei progetti che servivano a entrambe le comunità. Un esempio palese sono i centri di distribuzione dell'acqua. 

"Ci siamo accorti che c'era un crescente bisogno di acqua e abbiamo chiesto aiuto per installare qui una cisterna" ci ha spiegato Badsa Mia un cittadino bengalese che possiede dei terreni a Domdomia "Funziona da 6 mesi e la usano circa 200 famiglie, tra comunità bengalese e Rohingya".

La famiglia di Badsa ha messo a disposizione una porzione del proprio terreno per ospitare la cisterna e il punto di distribuzione. Ai rifugiati come Moriam ha cambiato la vita.

"Quando sono arrivata, l'anno scorso" - ci dice - "per raggiungere la fonte dovevamo risalire una montagna. C'era il rischio di essere attaccati da elefanti selvatici e serpenti. Per andare e tornare ci voleva almeno un'ora e mezza di cammino e facevo il percorso 2 o 3 volte al giorno. Adesso è tutto molto piú semplice, il centro di distribuzione dell'acqua è in fondo alla strada".

La casa di Moriam si trova su un terreno privato dove un'altra settantina di famiglie Rohingya hanno trovato rifugio. Hamida, la proprietaria,  oggi riceve un affitto simbolico. "Quando sono arrivati stavo male per loro" - racconta Hamida - "Così ho deciso di ospitarli sulla mia terra. L'ho fatto perchè era la cosa giusta".

Iniziative per lo sviluppo

La Ong francese ha organizzato anche 'il Comitato per lo Sviluppo del Villaggio'. Si tratta di un gruppo composto da membri eletti delle comunità bengalese e Rohingya. In riunioni bimestrali  discutono delle reciproche necessità. I membri del Comitato ci hanno raccontato che in ogni incontro sono state trovate soluzioni concrete ai problemi più disparati.

...

Il Comitato di Sviluppo del Villaggio è una delle stategie di coesione messe in atto per rendere concreta l'aggregazione sociale tra le due comunità che, in questo modo, possono lavorare assieme per risolvere i problemi prima che diventino troppo grandi e possono inoltre identificare le necessità umanitarie cosí da poterne parlare anche con le Ong.

Un altro progetto è quello chiamato "soldi in cambio di lavoro" . Si tratta di un modo per creare un piccolo entroito economico per i rifugiati e per i locali. In questa parte del campo di Jadimura entrambe le comunità lavorano insieme per bonificare il terreno, costruire sentieri e ponti di bamboo. Ogni lavoratore riceve un minimo di 5 dollari al giorno di stipendio.

PUBBLICITÀ

Per l'Unione Europea il lavoro in condizioni di coesione sociale è fondamentale. L'unica possibilità che hanno i Rohignyas è quella di integrarsi con la popolazione locale dal momento che non hanno un altro posto dove andare.

Pierre Prakash, un membro della protezione civile umanitaria dell'Unione Europea, ci ha spiegato che in alcune zone la popolazione di rifugiati è il doppio di quella locale. Dal momento che questa situazione si è protratta nel tempo, è quindi molto importante che i programmi di aiuti umanitari siano indirizzati a entrambe le comunità cosí da non creare divisioni, risentimento e tensioni.

Diritti umani

In Bangladesh gli aiuti umanitari sono riusciti a coprire le necessità essenziali dei Rohingya ai quali, peró, vengono ancora negati i diritti umani fondamentali. Intanto l'Onu ha dichiarato che i vertici militari del Myanmar dovranno rispondere di genocidio.

Condividi questo articolo