Covid-19, così la pandemia ha cambiato le tossicodipendenze

Olympia, Washington: un centro per la distribuzione di farmaci sostitutivi durante l'epidemia di Coronavirus
Olympia, Washington: un centro per la distribuzione di farmaci sostitutivi durante l'epidemia di Coronavirus Diritti d'autore Ted S. Warren/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.
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Di Audrey Tilve
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La nostra inchiesta. Cala il consumo di stimolanti, ma cresce quello di oppioidi. E, dopo il lockdown, i servizi si ritrovano sempre più sommersi da richieste d'aiuto

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La portata del fenomeno è ben nota: quasi il 30% degli europei ha già fatto uso di droghe illecite e il 16% dei giovani adulti lo ha fatto negli ultimi 12 mesi, secondo i dati dell'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT).

Molto più incerto è riuscire a capire cosa sia successo dopo l'esplosione della pandemia da coronavirus: perché i dati disponibili sono pochi e frammentari, istantanee molto localizzate nel tempo, quasi tutte risalenti al periodo del lockdown. 

L'uso di droghe è diminuito da quando è comparso il virus? Secondo le sintesi dell'OEDT e del suo equivalente francese, il confinamento in casa, con tutte le sue conseguenze (mobilità ridotta, scarsità di offerta e di opportunità) avrebbero segnato la tendenza verso un declino dell'uso "ricreativo" di droghe come cocaina o MDMA, ma non necessariamente della cannabis e degli oppioidi.

Ad essere segnato da una decisa tendenza è stato invece il periodo del post-confinamento: durante il quale, i servizi per le dipendenze sarebbero stati letteralmente invasi da richieste di supporto e assistenza. 

Un "maremoto" nei servizi

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Il professor Benjamin RollandEuronews

Il professor Benjamin Rolland non aveva mai assistito a un così grande afflusso di nuovi pazienti. Professore di psichiatria e tossicologia, responsabile dei servizi ospedalieri universitari di Lione, Rolland ha visto arrivare nei suoi reparti circa il 50% di nuovi utenti, dopo il lockdown, a fronte di una curva incrementale che generalmente si aggira sul 15-25% annuo.

"Stavamo uscendo da un periodo di stress che avrebbe potuto portare gli utenti ad aumentare il loro consumo di sostanze". spiega. "Questi nuovi utenti, molto spesso, prima del lockdown non arrivavano a soddisfare pienamente i criteri clinici per la dipendenza - continua - ma lo stress e l'isolamento hanno 'scompensato' il loro rapporto con le sostanze, portandoli a riconoscere di avere bisogno d'aiuto. Inoltre, queste richieste di assistenza erano spesso anche richieste di presenza e rassicurazione, un modo per rinnovare i contatti".

"20 anni di droga, 25 anni di tutto il resto".

Léo (nome di fantasia, per preservarne la privacy) è stato curato dai servizi di tossicologia di Lione all'inizio del lockdown. Con le prime droghe consumate all'età di 13 anni, oggi - all'età di 38 - ha alle spalle una vita vissuta a tu per tu con la dipendenza. .

"Prima la cannabis, poi altre cose, un po' di tutto, anfetamine, cocaina, ma soprattutto eroina" ricorda. "Ci sono stati pochissimi periodi in cui ho smesso, e anche allora conservavo qualche tipo di dipendenza. »

A Léo, questo non ha impedito di lavorare. per 10 anni è stato anche impiegato per una nota compagnia, prima di iniziare seriamente a sprofondare.

"Speravo in un piccolo aumento, una promozione: quell'anno era andato bene. Mi è stato detto che non l'avrei ottenuto. E allora ho capito che in quell'azienda non sarei mai evoluto. »

Leo sprofonda così, gradualmente, in un esaurimento nervoso. Arrivano i ricoveri al pronto soccorso, poi in un reparto psichiatrico, prima di accettare di sottoporsi alla terapia di sostituzione degli oppioidi (OST). Che ha seguito rigorosamente, nonostante le complicazioni della pandemia. "All'inizio, quando andavo in ospedale per i miei appuntamenti, avevo paura di prendere il virus, ed ero ancora debole", dice Leo.

"Abbiamo dovuto adattarci"

"Con il lockdown,  c'è stata una chiusura quasi totale dei servizi per le dipendenze" spiega il Professor Rolland. "Anche i nostri servizi ospedalieri sono stati ricondizionati per accogliere i pazienti Covid".

"Abbiamo dovuto adattarci, in particolare organizzando consulti telematici che si sono rivelati molto utili, in particolar modo per i pazienti parzialmente o totalmente stabilizzati che già conoscevamo bene. Il tasso di risposta e di partecipazione agli appuntamenti è stato molto più alto rispetto a quello di una consultazione tradizionale. Così abbiamo continuato su questa strada, ed è una lezione molto forte che ci è stata insegnata dalla crisi. Ovviamente rinnoviamo telefonicamente le prescrizioni farmacologiche solo per i pazienti stabilizzati, in accordo con la farmacia locale. Non ci dilettiamo a prescrivere metadone a chi non conosciamo" sottolinea. 

Niente più contagi tra gli utenti?

Per via di una serie di rituali molto diffusi, i consumatori di stupefacenti sono molto esposti al contagio da Covid 19. La condivisione di sigarette di cannabis, cannucce per la cocaina, attrezzature per la preparazione o la manipolazione di compresse di ecstasy sono tutti fattori di  rischio, soprattutto qualora l'assunzione di droga rappresenti un comportamento sociale, legato all'appartenenza a un gruppo. 

Ma anche su questo il Prof. Rolland frena: mancano infatti i dati per sostenere l'idea di un più alto tasso di contaminazione tra i consumatori di droga. "Ci aspettavamo, per esempio, un'ondata di casi di Covid negli ospedali psichiatrici, dal momento che dal 30 al 60% delle persone che soffrono di dipendenza hanno disturbi psichiatrici associati, e alla fine non è stato così. »

Un dispositivo fragile

D'altra parte, la crisi del coronavirus non ha fatto altro che confermare una realtà già ben nota nel settore: la dipendenza rimane il parente povero delle politiche sanitarie.

I Centri di cura delle dipendenze di prima istanza, erano già saturi per la maggior parte prima della crisi sanitaria, e l'afflusso di nuove richieste non ha potuto essere adeguatamente affrontato perché le risorse non sono commisurate alle esigenze", riassume Benjamin Rolland. Speriamo che Ségur de la santé porti dei miglioramenti, ma questo resta da vedere. »

Percorso a lungo termine

La sfida è tanto più importante in quanto la gestione dei pazienti con dipendenze è un'impresa a lungo termine. Per gli oppioidi, una delle dipendenze più difficili da eliminare, la remissione è misurata su un orizzonte temporale di 5-10 anni, con o senza trattamento di sostituzione. I tassi di progressione favorevoli in questo periodo sono compresi tra il 30% e il 40%.

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Ma uno stop completo non è necessariamente l'obiettivo finale. La cosa più importante è la resilienza e "il criterio funzionale - spiega Rolland - ovvero che la persona ritorni a una vita normale, che sia inserita, che lavori, che metta su famiglia, anche se c'è ancora un uso occasionale di oppioidi"

La lucida testimonianza di Léo rispecchia questo viaggio verso il ritiro a lungo termine, quasi sei mesi dopo l'inizio delle cure. "Quando si sottoporsi a un trattamento di sostituzione, ti fanno firmare dei documenti, accetti di essere monitorato e di sottoporti a controlli e i test. È normale, bisogna pensarci. Ti dicono di non aspettarti qualcosa che duri qualche mese. »

Quando gli si chiede se pensa di essere fuori pericolo, risponde: "Lo spero, ma è troppo presto per dirlo. "Così Leo continua il suo cammino, armato di una determinazione che non aveva avuto fino ad allora, saldamente ancorato alla sua nuova routine; follow-up psicologico ogni 10 giorni, follow-up infermieristico ogni 14 giorni, follow-up con il medico ogni mese, sedute di rilassamento anche per "accettare il male che c'è, senza giudicare, e vedere cosa ne facciamo".

Risorse addizionali per questo articolo • traduzione: Antonio Storto

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