Lavoro domestico: la lunga marcia verso dignità e diritti

Lavoro domestico: la lunga marcia verso dignità e diritti
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Di Andrea Bolitho Agenzie:  Diego Giuliani
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Qualche progresso, ma tanta strada ancora da fare: i traguardi finora raggiunti sono a macchia da leopardo. La nostra inchiesta da Roma a Hong Kong

Invisibili ma fondamentali, i lavoratori domestici percepiscono spesso basse remunerazioni, sono costretti a turni lunghi e soffrono di scarse tutele. La politica ha a lungo bollato come impraticabile l’introduzione di un salario minimo e sostenuto che la categoria non si prestasse alla sindacalizzazione. Nel 2011, l’ILO l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ha però adottato la Convenzione sulle lavoratrici e i lavoratori domestici. E da allora qualcosa ha cominciato a cambiare.

L’Italia e il riconoscimento del lavoro domestico

Nel 2013 primo paese dell’Unione Europea a ratificare la Convenzione sui lavoratori domestici, l’Italia è stata pioniera anche nella creazione di sindacati dedicati alla loro tutela.

Indicativa del bisogno di una rappresentanza sindacale di categoria è la testimonianza che a Roma abbiamo raccolto da Sara Gomez, esponente della Filcams-Cgil. “Mi sono trovata a incontrare delle lavoratrici – ci racconta – che una volta presa la tessera del sindacato si sono messe a piangere, perché si sono finalmente sentite parte di qualcosa. E questo dà loro forza”.

I sindacati di categoria lamentano un ritardo ancora importante nel riconoscimento di diritti e tutele. A incarnare luci e ombre della situazione, un colloquio a cui assistiamo a Roma, in una sede della FILCAMS, la Federazione dei Lavoratori di Turismo, Commercio e servizi. Sara Gomez sta ricevendo due collaboratrici domestiche, che lamentano uno scarso rispetto dei loro diritti, ma che la ringraziano perché grazie a lei sono riuscite a percepire i sussidi di disoccupazione.

Sempre a Roma incontriamo Evelyn Villalta: arrivata in Italia dal Guatemala 17 anni fa, da allora ha sempre lavorato presso la stessa famiglia. Un infortunio al piede che potrebbe condurla all’invalidità l’ha però indotta a rivolgersi ai sindacati e ad avviare le pratiche per ottenere il pensionamento anticipato.

“Io sono una persona molto attiva – ci dice -. Una persona a cui piace muoversi, lavorare. E non solo per guadagnare, ma perché mi piace veramente lavorare. Quando però ho saputo che il mio infortunio potrebbe portarmi a un’invalidità ho avuto l’impressione che la mia vita stesse finendo”, conclude con le lacrime agli occhi.

Sostegno e consulenza anche per i datori di lavoro: il caso di “Domina”

Domina è l’associazione nazionale che in Italia assiste e tutela i datori nella gestione contrattuale e amministrativa del lavoro domestico: un prezioso aiuto per le famiglie e per la concertazione con i lavoratori, che al momento costituisce però una rarità su scala europea. Se l’Italia incarna una delle poche eccezioni, ciò è in gran parte dovuto alla radicata tradizione del lavoro domestico.

A parlarcene è Massimo De Luca, consulente legale di “Domina”. “Il lavoro più grande che stiamo svolgendo in questo momento storico – ci dice -, è creare la cultura del lavoro domestico anche in Italia. L’Italia è stata il primo paese dell’Unione Europea a firmare la Convenzione ILO, ma questo è stato possibile anche grazie al lavoro fatto da noi, insieme ai sindacati. È stato possibile perché l’Italia sono anni che lavora nel settore del lavoro domestico. Per rendere cioè il lavoro domestico un vero lavoro dignitoso per il lavoratore e accessibile per il datore di lavoro”.

Poco diffuso, ma praticabile. Il salario minimo dei lavoratori domestici nel mondo

Da Ginevra, le cifre dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro informano che il salario minimo è riconosciuto a poco più della metà dei lavoratori domestici al mondo. L’esperienza di diversi paesi europei conferma tuttavia che estendere tutele e diritti dei lavoratori domestici è possibile.

La Svizzera e il suo sistema “alla francese” per incentivare il pagamento dei contributi

La Svizzera ha adottato un sistema simile a quello francese che incentiva il pagamento dei contributi mediante dei cosiddetti “chéques services”.

“I vantaggi per i lavoratori si esplicano soprattutto nella forma di prestazioni sociali – ci spiega la responsabile, Anne Babel -. Qualunque sia il loro paese d’origine e qualunque sia la loro situazione in Svizzera, potranno accedere alla pensione di reversibilità, agli assegni familiari, alle indennità di maternità, a quelle di disoccupazione – eccetto, in questo caso, le persone in posizione irregolare – e poi ancora al congedo per maternità e all’assicurazione per gli incidenti sul lavoro, previsti dal sistema degli cheques services”.

L’applicazione di questo sistema è però in Svizzera ancora limitato. A beneficiarne sono appena un terzo dei lavoratori domestici. Cifre che non scoraggiano tuttavia Anne Babel. “Resto convinta che da parte di un certo numero di datori di lavoro ci sia davvero la volontà di essere in regola, di rispettare la legge e di offrire le prestazioni sociali – dice -. Il nostro sistema permette inoltre di garantire maggiore trasparenza: interveniamo per spiegare quali sono i diritti e i doveri e, soprattutto, prestiamo grande attenzione ai livelli di remunerazione: non assistiamo in alcun modo coloro che non rispettano i minimi salariali”.

Formazioni qualificanti e soprusi: Hong Kong a due velocità

Su Hong Kong ha spesso sventolato negli scorsi anni la “bandiera nera” del lavoro domestico. Abusi e sfruttamento hanno guadagnato anche le cronache dei giornali. Per migliorare la situazione il governo ha destinato dei fondi alla creazione di un centro di formazione, volto a professionalizzare l’attività dei lavoratori domestici e consentire loro di aspirare a migliori retribuzioni.

Mary Wong fa parte della squadra di formatori del centro, lo “Hong Kong Confederation of Trades Union Training Centre”.
“Sono molte le persone che qui impiegano dei lavoratori domestici – racconta -. Spesso si rivolgono a loro per prendersi cura dei neonati o di persone anziane che hanno bisogno di cure specifiche e di particolari attenzioni. È richiesta loro una grande professionalità, perché altrimenti rischiano di provocare dei seri incidenti”.

Sui banchi si impara a prendersi cura dei neonati, ma anche a svolgere le principali mansioni domestiche e a fare le pulizie in modo ecologico. Uno specifico centro per l’impiego avrà poi il compito di collocare il personale formato.

Fiona Leung ha lasciato un impiego in banca, per costruirsi qui un nuovo avvenire. “Una volta che avrò terminato la formazione – ci dice -, quando avrò un po’ d’esperienza, potrò trovare un lavoro come collaboratrice domestica. Spero soprattutto di potermi occupare dei neonati, perché si tratta di una professione che a Hong Kong offre molte prospettive. Mi auguro quindi di pote fare carriera in questo settore”.

“Nessun rispetto, nessun orario”: la denuncia del personale migrante

Servizi di questo genere sono però riservati ai soli cittadini di Hong Kong. I lavoratori domestici che vengono da altri paesi sono spesso ancora costretti a sottostare a condizioni degradanti e antichi costumi, come quello di risiedere presso il datore di lavoro. Un’abitudine che secondo molti si presta a molteplici abusi.

“Quando tornano a casa, ci chiamano anche solo per aprire la porta – ci racconta Shielle Estrada, una lavoratrice domestica immigrata -. Se poi vogliono prendere un thè o bere qualcosa, vengono a bussarci senza il minimo riguardo per l’ora. Si rivolgono a noi in qualsiasi momento e dobbiamo essere pronti a servirli 24 ore su 24”.

Se i momenti liberi si passano in strada è spesso anche per mancanza di spazi e di privacy. Alcuni lavoratori domestici sostengono addirittura di essere costretti a dormire in cucina o nella vasca da bagno. Altri lamentano una totale assenza di orari.

“Faccio le pulizie, lavo la macchina dei padroni, vado a fare la spesa, cucino, lavo i panni, stiro. E tutto questo per 18 ore al giorno – ci racconta Diana, una collaboratrice domestica filippina -. Oltre, ovviamente, a servire loro i tre pasti al giorno. Visto che poi non vogliono uscire, stanno sempre a casa. E mi costringono a fare prova di grande pazienza con loro”.

Nel panorama mondiale Hong Kong è tutt’altro che un caso limite. Il riconoscimento di diritti e dignità al lavoro domestico ha davanti a sé ancora una lunga strada. Da percorrere al ritmo di un cambio di mentalità.

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