Web tax Ue, Boccia: "L’Europa ha gravissime responsabilità, colpa delle lobbies"

Web tax Ue, Boccia: "L’Europa ha gravissime responsabilità, colpa delle lobbies"
Di Sabrina Pisu
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Ai microfoni di euronews Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, punta il dito contro l'Europa condizionata dalle lobbies

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“L’Europa ha gravissime responsabilità sulla mancata armonizzatione del regime fiscale a livello europeo per i grandi gruppi dell’economia digitale”: così Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, dice a euronews in occasione del consiglio europeo del 15 settembre a Tallinn dove Italia, Francia, Spagna e Germania mettono sul tavolo la questione di una tassazione digitale comune nell’Unione Europea. “Non ho grande fiducia rispetto alla volontà di Juncker di trovare una soluzione”, dice ancora Boccia che denuncia le pressioni delle lobbies che hanno impedito fino a ora di arrivare a un’imposta comune.

Il prossimo Econfin prova a tassare l’economia digitale, il tema della grande evasione fiscale a livello europeo dei giganti del web arriva sul tavolo dei leader europei con un certo ritardo e molte perdite economiche. Come mai?

“Si tratta della più grande voragine fiscale della storia europea del capitalismo. L’Europa ha gravissime responsabilità. In Italia il dibattito è aperto dal 2012-2013, quando abbiamo posto il tema del superamento del concetto semplicemente folle, ancora oggetto di confronto, della cosiddetta non stabile organizzazione. Le multinazionali del web si nascondono dietro il concetto di non stabile organizzazione che è figlio dell’era pre-internet, poteva aver senso nel 1992 ma non nel 2017. È folle consentire ai colossi della rete di decidere dove pagare le imposte e a quali condizioni al tempo del digitale, anche con un solo dipendente che fatturi 100 milioni, 1 miliardo, 10 miliardi, le imposte almeno indirette devono essere pagate nel luogo in cui avviene il consumo e l’erogazione dei servizi o il commercio dei beni”.

Questa è una battaglia che lei ha fatto nel Parlamento italiano con l’introduzione della cosiddetta web tax, poi cancellata, cosa stabiliva?

“È una battaglia che abbiamo fatta con cognizione di causa. Io non l’ho mai chiamata web tax anche se mi è stata assegnata la paternità di questa definizione. La norma che avevamo fatto nel 2013 e che fu poi cancellata, secondo me un grave errore politico del governo Renzi, di fatto presupponeva il superamento del concetto di non stabile organizzazione e imponeva il pagamento delle imposte nel luogo in cui avveniva l’erogazione del servizio o la prestazione. Cinque anni dopo, finalmente, ‘ben svegliata principessa Europa’ mi viene da dire, se ne discute. Sono contento che ne parlino i francesi, anche perché avevamo avuto un confronto quando c’era stato il presidente Hollande e li avevo visti un po’ timidi, tanto è vero che l’amministrazione fiscale francese ha perso alcune partite. In Italia Google ha dichiarato di essere stabile organizazzione, in Francia ha dichiarato di non essere stabile organizzazione. Questo comportamento diverso da parte della stessa azienda, un’azienda così importante, in due importanti Paesi europei dà l’idea di quanto l’Europa sia diventata sul piano fiscale un colabrodo”.

Lei è fiducioso che si possa arrivare a un’imposta unica europea?

“Non ho grande fiducia rispetto alla volontà di Jean-Claude Juncker di trovare una soluzione, ma guardo con attenzione i passi che la commissione farà”.

Lei ha definito l’Europa “debole e condizionata dalle lobbies”. È per questo che non si è ancora arrivati ad armonizzare la legislazione?

“Parlo per esperienza personale, quando nel 2013 ho fatto varare la mia norma, tra l’altro all’unanimità dalla commissione bilancio del Parlamento Europeo, il giorno dopo mi sono saltati addosso nell’ordine: Beppe Grillo, l’allora ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, la Camera di commercio italo-americana e dei fantomatici portavoce della commissione europea di allora. Ho sentito dire alla commissaria alle politiche fiscali di allora che era una cosa fuori dal tempo. Sono stati in tanti negli anni a fiancheggiare i giganti del web che più prendevano tempo, nel senso che più tiravano la palla in tribuna, chiededendo ai Paesi di riflettere ancora, e più mettevano da parte risorse ingenti sui conti offshore. Ci sono aziende in questo momento che hanno liquidità superiore agli Stati. Amazon da sola vale più della Borsa di Milano. Bisogna pensare alla capitalizzazione di Borsa, pensando a Milano, ma posso fare anche l’esempio di Parigi. A Milano bisogna pensare a Eni, Enel, Finmeccanica, tutte le quotate, tirare la riga e forse si ha il valore teorico di Amazon. Nella storia del capitalismo tutto questo non era mai successo. Non è mai successo al tempo delle “Sette Sorelle”, stiamo vivendo una rivoluzione epocale, secondo me più dirompente di quella vissuta con i telai, l’energia a vapore, l’energia elettrica o i computer degli anni Sessanta. Quando c’è una rivoluzione del capitalismo c’è una masssimizzazione conseguente dei profitti e spetta alla politica regolare i fenomeni, con il digitale la politica sia nazionale che europea non è stata all’altezza. L’Europa, rispetto agli Stati Uniti e alla Cina, rischia di essere un vaso di coccio, noi ci siamo trasformati negli ultimi anni in un popolo di consumatori e rischiamo, se non interveniamo regolando il fenomeno e garantendo equità fiscale, di diventare tutti allegramente più poveri, nel senso che ognuno vive meglio di prima, abbiamo tutti più cose e servizi, ma il valore aggiunto non resta negli Stati dove la base imponibile si crea”.

Ci fornisce qualche dato?

“In Italia, dalle analisi fatte alla Camera dei deputati, in questo momento c’è una base imponibile erosa superiore ai trenta miliardi di euro e aumenta ogni anno di più perché aumentano ogni anno di più le attività che passano attraverso il digitale. Io ormai non distinguo più tra l’economia reale e quella digitale, tutta l’economia oggi è digitale. Quando abbiamo iniziato a fare queste valutazioni l’impatto del digitale sull’economia era del 2%, poi è passato al 6%, l’anno scorso era del 22%, nel giro di cinque anni il 100% dell’economia sarà digitale. Viviamo in un tempo in cui i dati valgono più del cemento ed è oggettivamente inaccettabile che i leader dei principali Paesi europei non si pongano questo tema come la priorità delle priorità. Ogni volta che c’è da discutere di stabile organizzazione e di fisco, c’è chi arrossiche e c’è chi cambia strada e decide di non affrontare il problema”.

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