Più detenzione e sovraccarico in Italia? Rischi e problemi del nuovo patto europeo sulla migrazione

I commissari Schinas (sinistra) e Johansson (destra) durante la presentazione del Patto europeo per la migrazione e l'asilo
I commissari Schinas (sinistra) e Johansson (destra) durante la presentazione del Patto europeo per la migrazione e l'asilo Diritti d'autore STEPHANIE LECOCQ/AFP
Di Lillo Montalto Monella
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Per l'Italia le cose potrebbero andare peggio di adesso, con un aumento della pressione burocratica ai confini. Diversi esperti europei riflettono sui punti deboli del nuovo patto migranti UE che prevede solidarietà obbligatoria tra Stati membri.

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A poche ore dalla presentazione del nuovo Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo, diversi esperti di politiche migratorie europee avvertono che il nuovo piano potrebbe aumentare invece che alleviare la pressione sull'Italia, erodendo le garanzie di rispetto dei diritti umani dei migranti. Non solo: molti paesi potrebbero giocare al ribasso, accettando le forme più "convenienti" di solidarietà obbligatoria, mettendo in crisi l'intero meccanismo.

Ma andiamo con ordine.

Presentato in pompa magna dal commissario per gli Affari interni, Ylva Johansson; dal vicepresidente della Commissione, Margaritis Schinas, e dalla Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, il documento programmatico espone le linee guida che orienteranno il lavoro della Commissione in tema di migrazioni nel prossimo quinquennio.

Non ha ancora forza di legge e dovrà ottenere il via libera dal Consiglio europeo e dal Parlamento.

Le due grandi novità del piano sono:

  • controlli approfonditi, biometrici e obbligatori alle frontiere (identità, salute e sicurezza, i tre parametri) della durata massima di 3/5 giorni. Verranno effettuati nei paesi di ingresso come l'Italia, sia sul territorio nazionale che in strutture di frontiera simili a zone franche. La decisione (protezione internazionale o rimpatrio) dovrà essere presa entro 12 settimane;
  • un meccanismo di solidarietà obbligatorio e in due forme: accettazione del ricollocamento di migranti dai paesi di frontiera, oppure i cosiddetti "rimpatri sponsorizzati". In questo caso, gli Stati membri più restii ad accogliere persone sul proprio territorio dovranno aiutare gli altri paesi UE a facilitare i rimpatri. Inizialmente i migranti resteranno nel Paese di primo ingresso, ma se entro 8 mesi i governi sponsor non saranno riusciti a organizzare il loro rientro in patria, dovranno trasferirli sul proprio territorio in attesa della chiusura della procedura di ritorno.

I problemi irrisolti

Una questione di fiducia. Secondo Thomas Gammeltoft-Hansen, professore in diritto dei rifugiati e delle migrazioni all'Università di Copenhagen, "la grande sfida del nuovo patto migratorio è quella di presentare qualcosa di veramente nuovo, ma allo stesso tempo non del tutto irrealistico dal punto di vista politico. La questione generale, come si può vedere dalle parole usate, è quella della fiducia tra Stati membri. Se le procedure e le registrazioni alle frontiere avranno successo, ci saranno meno richiedenti asilo in movimento da un paese all'altro, ma non c'è alcuna garanzia che il piano funzioni".

"Perché il piano funzioni, si scommette sul fatto che tutti gli Stati membri saranno in grado di fare la propria parte, all'altezza delle proprie responsabilità. Gli Stati in prima linea [tra cui l'Italia, n.d.R.] dovranno assumere un ruolo più importante nell'accoglienza iniziale. Gli altri Stati membri lo assumeranno in termini di trasferimento successivo dei richiedenti asilo, o di assunzione di responsabilità per il rimpatrio di coloro che sono stati respinti. Ma basteranno pochi Stati che non rispettano i loro impegni per far entrare in crisi l'intero sistema".

Meno garanzie per i migranti. Secondo Sergio Carrera,Senior Research Fellow del Center for European Policy Studies (CEPS), un think tank con sede a Bruxelles:"Le procedure accelerate sono problematiche dal punto di vista dei diritti umani. La rapidità delle procedure è sempre a spese dello Stato di diritto e dell'individuo. Molti di questi migranti arrivano già con un notevole bagaglio di angoscia e sofferenza. Una procedura rapida alle frontiere esterne sarà controproducente e aumenterà l'inefficienza sistematica in paesi come la Grecia, senza per forza essere garanzia di trasferimenti rapidi".

Come garantire la cessazione dei respingimenti illegali?Come abbiamo scritto qui, i respingimenti illegali di migranti prima ancora che possano avere accesso alle procedure d'asilo sono ormai all'ordine del giorno non solo in Grecia, ma anche in paesi come l'Ungheria, la Croazia e la Romania.

Alberto Horst Neidhardt, policy analyst per il think tank European Policy Centre di Bruxelles, indica che la questione fondamentale rimane aperta: "come assicurarsi che le persone riescano ad arrivare fino al punto in cui possono fare la richiesta d'asilo?" Secondo la proposta Ue, toccherebbe ai singoli stati prevedere meccanismi di monitoraggio indipendenti che garantiscano il rispetto delle procedure. "In passato, la Commissione è stata molto riluttante a indagare su questo genere di incidenti. Da un lato, ben venga l'intenzione di fare un passo avanti; dall'altro, dovrebbe avere il necessario peso politico e il desiderio di far render conto ai vari paesi delle loro azioni".

Rimpatri: si fanno i conti senza l'oste? Secondo Alberto Horst Neidhart, se da un lato gli Stati membri hanno il desiderio comune di aumentare i rimpatri, questi "sono sempre più facili a dirsi che a farsi. La cooperazione dei paesi terzi sarà essenziale per l'espansione e l'attuazione degli accordi di riammissione, e questo dipenderà dalla creazione di un vero partenariato tra pari a breve e a lungo termine".

Sovraccarico amministrativo in Paesi come Italia e Grecia. Carrera del CEPS aggiunge che più controlli iniziali, in capo ai paesi delle frontiere esterne della Ue - anche se supportati dall'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo - "vogliono dire inevitabilmente più detenzione: non è così facile espellere le persone o trasferire richiedenti asilo, rimarranno negli hotspot. Per questi Paesi di fatto aumenterà la responsabilità e il lavoro da fare".

Moltiplicazione dei luoghi di detenzione. Con questa riforma, l'approccio hotspot che ha portato a situazioni estreme come quella del campo di Moria, andato distrutto, potrebbe essere paradossalmente esarcerbato.

Secondo ASGI, l'associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, porterebbe ad "una moltiplicazione dei luoghi di detenzione formali e informali e l’azzeramento delle garanzie reali circa un’analisi completa e adeguata delle domande di asilo. Inoltre, tali procedure rischiano di esasperare ulteriormente la già drammatica situazione che vivono i migranti lungo i confini europei in Grecia, Italia, Ceuta e Melilla e in altri luoghi". Maria Nyman, segretario generale di Caritas Europa, condivide le stesse preoccupazioni.

Dublino non viene superato, non ancora. "Questo nuovo regolamento è destinato a sostituire l'attuale sistema di Dublino III, anche se scommetto che non lo chiameranno Dublino IV", afferma Gammeltoft-Hansen. "Ma se si guarda al testo della proposta, esso si basa ancora su un insieme di criteri fondamentali per determinare quale Stato membro è responsabile delle richieste di asilo. Un sistema che assomigia molto a quello che abbiamo oggi. La differenza sta nei meccanismi di solidarietà che entreranno in gioco solo a determinate condizioni".

É come chiedere al bullo della scuola di accompagnare un bambino a casa. Come sottolinea Judith Sunderland di Human Rights Watch, "in base a questo schema, i paesi che rifiutano di condividere la responsabilità per i migranti e i richiedenti asilo saranno chiamati a deportare le persone che non hanno diritto di rimanere, a seguito delle (ingiuste) procedure accelerate alla frontiera. È come chiedere al bullo della scuola di accompagnare un bambino a casa". Secondo il suo collega, Philippe Dam, "affidare i rimpatri a quei paesi che rifiutano la solidarietà è insulto al principio stesso della solidarietà. C'è un serio rischio di arbitrarietà e di erosione dei meccanismi minimi di salvaguardia".

Un gioco al ribasso. Horst Neidhart ritiene che la Commissione dovrà fornire incentivi e stabilire meccanismi chiari per garantire che non si materializzi "una corsa al ribasso, in cui gli Stati membri desiderino contribuire solamente con i rimpatri [invece che con l'accoglienza]. Resta inoltre da vedere come funzionerà nella pratica".

Due giorni prima che il Patto fosse svelato, il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha ribadito la sua opposizione ad ogni ridistribuzione di migranti. "Non funziona così, bensì proteggendo meglio le frontiere esterne, combattendo insieme contro i trafficanti e inviando sui territori aiuti".

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Secondo Alberto Horst Neidhardt, la sfida sarà creare consenso intorno a questa nuova idea presentata oggi. "Il Patto è una proposta elaborata e completa, in cantiere da molto tempo. Ma solleva due domande. In primo luogo, nel pacchetto c'è davvero tutto ciò di cui l'Europa ha bisogno? In secondo luogo, gli Stati membri che in passato si sono opposti al cambiamento si troveranno ora d'accordo con la Commissione?"

Jeff Crisp, esperto in politiche migratorie, scrive che, "in altre parole, viene ribadito il sostegno continuo all'intercettazione, al rimpatrio e alla detenzione in Libia"

Cosa succede ora

Ora inizia la fase negoziale all'eurocamera e al Consiglio europeo, che riunisce i capi di governo della Ue.

Sarà importante capire quale approccio alle votazioni verrà adottato. "In passato, al Consiglio si è applicata la logica dell'unanimità, completamente illegale perché i trattati indicano le necessità di avere una maggioranza qualificata. Non c'è bisogno di avere il via libera da Ungheria, Polonia o Repubblica Ceca", indica Carrera.

Il dibattito andrà ben oltre la presidenza di turno del Consiglio, che è tedesca. Berlino ha più volte espresso la necessità di un meccanismo di ricollocamenti obbligatori.

Poi la presidenza toccherà a Portogallo e Slovenia. Secondo Carrera, le trattative potrebbero durare come minimo un anno, ed estendersi lungo due o tre presidenze del Consiglio europeo.

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Fino ad oggi, programmi di riforma troppo ambiziosi non hanno raccolto il consenso necessario per essere approvati e talvolta neanche sono stati discussi.

Dimitris Tosidis/AP
Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in visita al nuovo campo temporaneo di Kara Tepe sull'isola di Lesbo. Atene chiede che queste strutture siano cogestiteDimitris Tosidis/AP

Il tema è divisivo anche all'interno della stessa Commissione europea: si pensi che il vicepresidente della Commissione e commissario greco allo "stile di vita europeo", Margaritis Schinas, è membro del partito popolare europeo (lo stesso di Orbán, per capirci), mentre Ylva Johansson è una convinta socialdemocratica.

Johansson, politica di lungo corso (eletta a 24 anni nel Parlamento svedese, un record nel 1988), insiste nel voler cambiare il discorso sulle migrazioni passando da un vocabolario emergenziale ad uno basato sulla normalità.

Durante la sua conferenza stampa, Johansson ha citato due cifre: nel 2018, sono stati 2.4 milioni gli immigrati arrivati nell'Unione Europea in maniera regolare, a fronte di quasi 150mila di arrivi irregolari nello stesso anno. Ancor meno (128mila) nel 2019.

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