Morto il medico di famiglia di Codogno. L'ultima intervista: "Lavoriamo senza guanti"

Morto il medico di famiglia di Codogno. L'ultima intervista: "Lavoriamo senza guanti"
Diritti d'autore RAI
Diritti d'autore RAI
Di Gioia Salvatori
Condividi questo articoloCommenti
Condividi questo articoloClose Button
Copia e incolla il codice embed del video qui sotto:Copy to clipboardCopied

"Non eravamo pronti. Ora facciamo un bagno d'umiltà", ci diceva Natali, medico di famiglia a Codogno. "Lavoro senza guanti, sono finiti". Oggi è arrivata la terribile notizia: il #coronavirus se l'è portato via.

PUBBLICITÀ

AGGIORNAMENTO 18/3: Il medico di famiglia di Codogno, Marcello Natali, è deceduto. A darne notizia la Federazione dei medici di Medicina generale (Fimmg), di cui era segretario a Lodi. Natali aveva 57 anni e non aveva particolari gravi patologie pregresse. Dopo il ricovero a Cremona, era stato trasferito a Milano e intubato in terapia intensiva per una grave polmonite bilaterale.

Mentre siamo al telefono con un rappresentante della Fimmg, anch'egli con il coronavirus ("ho avuto una doppia polmonite"), arriva la notizia della morte di un'altra collega di Lecco. "E' una guerra", ci dice. Paola Pedrini, segretaria regionale Fimmg, indica a Euronews che a Bergamo, "su poco più di 600 medici, più di 110 sono malati di Covid-19, una decina in rianimazione". 

"Da fine febbraio la situazione non è migiorata: è arrivata qualche mascherina e guanto, ma il kit completo è un'altra cosa. Le mascherine col filtro che dovrebbero durare mezza giornata ce le facciamo bastare una settimana intera". 

Avevamo intervistato Natali poche ore prima che facesse il suo primo tampone. L'esito sarebbe stato positivo. A Codogno e in un altro paese, Casale, 14 su 35 medici erano in quarantena o ricoverati alla data del 28 febbraio scorso, ci aveva detto Natali.

Questa di seguito è una delle ultime interviste che ha rilasciato.

Parlava mostrando la mascherina e il detergente per le mani, ma i guanti non li aveva. "Sono finiti".

Il lavoro per i medici che restano sul campo aumenta. Come ci si sente travolti dal coronavirus?

"Sicuramente noi non eravamo preparati ad affrontare una situazione del genere. Soprattutto quelli della nostra generazione, quella dell'era post antibiotica, cresciuta pensando che bastasse una pillola contro le malattie. Adesso stiamo facendo un bagno di umiltà che forse non fa male".

Non eravamo preparati al coronavirus: come medici dell'era post antibiotica, siamo cresciuti pensando che bastasse una pillola contro tutto
Marcello Natali
Medico di base a Codogno

Le direttive quotidianamente inviate ai medici di base ordinano, essenzialmente, di contenere il più possibile il contagio; se si intuisce, già al telefono, che il paziente è positivo, non incontrarlo: indirizzarlo al servizio di emergenza che lo porterà all'ospedale.

Il lavoro dei medici è molto cambiato, dentro la zona rossa?

"Abbiamo meno visite in studio per scelta, la gente è preoccupata ma tutto sommato reagisce in modo buono, si fanno vedere quando c'è davvero bisogno. Però l'ansia è sicuramente alta - spiega Natali".

Ansia, superlavoro: la vita di tutti è stravolta. Intanto non solo la macchina della sanità marcia veloce ma anche quella della giustizia con un'indagine sull'ospedale di Codogno e la gestione del paziente uno: un 38enne ad oggi malato.

Cosa ne pensa della teoria che il virus circolasse prima che si venisse a sapere del paziente 1?

"Può anche darsi ma io ho 4 studi della zona e non ho visto una crescita di polmoniti anomale. Però ho sentito una collega che lavora in un altro paese vicino Milano che, come quella di Castiglione D'Adda, ha notato un incremento di polmoniti (...) Noi abbiamo il grosso vantaggio che abbiamo la più alta percentuale di ultrasessantacinquenni vaccinati contro l'influenza qui nella zona del lodigiano, quindi se qualcuno si ammala siamo subito sospettosi".

Quali sono le ultime direttive del ministero?

"Sono sempre le stesse: cercare di contenere il più possibile il contagio, cercare di non vedere i pazienti che già dal colloquio al telefono si sospettano infetti".

In altri Paesi sono stati fatti meno test e c'è chi dice che è per questo che alla fine risultano meno casi...

"Può anche essere ma a livello epidemiologico se c'è un virus che fa passare la letalità dall'1 per mille al 3 per cento, i centri di epidemiologia se ne accorgono... Di certo un eccesso di test porta una serie di conferme, se vogliamo inutili, in pazienti che non sviluppano la malattia. Ma questa è materia di epidemiologia, non mia".

Condividi questo articoloCommenti

Notizie correlate

Codogno, un anno dopo: inaugurato il memoriale per le vittime del Covid

Convivere con il coronavirus in futuro? Una possibilità non remota

Coronavirus: in Italia l'allarmismo fa più danni dell'epidemia