Intervista: salvò vite nel Mediterraneo, pompiere spagnolo volontario rischia il processo in Italia

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Di Marta Rodriguez MartinezLillo Montalto Monella
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Abbiamo intervistato il vigile del fuoco spagnolo, imbarcatosi sulla nave della Ong tedesca Jugend Rettet, sotto indagine dalla procura di Trapani per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. "Abbiamo seguito sempre le indicazioni di Roma", dice a Euronews.

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Miguel Roldán, vigile del fuoco del comune di Siviglia, è sotto indagine dalla procura di Trapani per aver partecipato, come volontario, ad una missione di salvataggio di fronte alle coste libiche. Le accuse non sono ancora state depositate ma potrebbe venirgli contestato il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

La particolarità dell'indagine è che, stando a quanto riportava Repubblica nel 2017, le accuse dei sostituti procuratori Tarondo e Sgarella "coinvolgerebbero non le Ong come tali, ma le persone fisiche" a bordo delle navi. Volontari come Miguel Roldán, appunto, che rischiano ora il processo e di doversi sobbarcare spese legali che non possono permettersi.

Roldán decise di imbarcarsi sulla Iuventa, nave della Ong tedesca Jugend Rettet, a Malta, per "dare un contributo nel campo in cui è più esperto", ovvero il salvataggio di persone".

Euronews lo ha intervistato: dopo aver ricevuto un avviso di garanzia, aspetta la conclusione delle indagini e che la procura di Trapani formalizzi le accuse. Al momento, le uniche informazioni disponibili sono quelle già pubblicate sugli organi di stampa. Il vigile del fuoco dice di essere "davanti ad una voragine", da superare "con inquietudine", e si domanda "quale illecito avrebbe commesso insieme ai suoi 10 compagni".

Tutte le operazioni concordate con Roma

"Eravamo in alto mare di fronte alle Libia, ma senza mai entrare in acque libiche, siamo sempre rimasti in acque internazionali e sempre in contatto con il MRCC di Roma", il centro di coordinamento delle operazioni di salvataggio della Guardia Costiera", indica il pompiere. "Se [da Roma] ci avessero negato il permesso di effettuare un'operazione, sarebbe stata automaticamente annullata".

Secondo Roldán, questo protocollo ha già portato al verificarsi di tragedie in mare. "Abbiamo visto persone morire davanti a noi per colpa della chiamata che dovevamo fare a Roma", racconta. "Eravamo una nave di salvataggio, le persone che abbiamo preso a bordo sono state poi affidate a navi più grande che le avrebbero portate in porto".

Testimonia che durante la sua missione sono state salvate e aiutate circa 5mila persone.

Gli avvisi di garanzia sono stati inviati a diverse persone, tra cui alcuni italiani e un sacerdote eritreo. Il sostituto procuratore Tarondo non ha voluto rilasciare alcun commento a Euronews. Uno dei legali degli indagati, Alessandro Gamberini, già difensore della Ong Open Arms, ha fatto sapere alla nostra emittente che gli atti non sono ancora stati depositati e c'è un incidente probatorio in corso. "Non si può dire ancora quanti di loro, e chi, nello specifico, andranno a processo".

Le accuse

Secondo la procura di Trapani, scrive Annalisa Camilli su Internazionale, nel settembre del 2016 e nel giugno del 2017, durante alcune operazioni di soccorso dei migranti al largo della Libia, c’erano stati dei contatti “tra coloro che scortavano gli immigrati fino alla Iuventa e i membri dell’equipaggio della nave”. Anche se hanno agito solo per ragioni umanitarie e senza fini di lucro, riconosce la procura, gli operatori si sarebbero avvicinati troppo alle coste libiche e avrebbero avuto contatti con i trafficanti per delle “consegne pattuite” di migranti.

L'Ong tedesca è in bancarotta

La nave Iuventa, che batte bandiera olandese, è stata sequestrata dalle autorità italiane per la stessa ipotesi di reato, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. La Cassazione ne ha confermato il fermo. Da allora rimane ancorata nel porto di Trapani. La situazione, spiega il pompiere spagnolo, ha reso difficile la situazione finanziaria della Ong tedesca.

"L'organizzazione ne è stata un po' colpita, è in bancarotta e non può sostenere i costi del processo".

Roldán afferma che, collettivamente, le parcelle degli avvocati per un eventuale processo ammontano a 150mila euro. Per questo motivo è stata lanciata una raccolta fondi. Il pompiere andaluso racconta la sua storia anche per cercare di ottenere l'appoggio finanziario di cui avrebbe bisogno in caso di processo.

Criminalizzazione dell'aiuto umanitario

Roldán teme di dover affrontare il carcere e che la situazione in cui si trova possa scoraggiare altri volontari ad impegnarsi per salvare vite nel Mediterraneo.

"Sono consapevole che la soluzione non sono le Ong, è assolutamente chiaro, è solo una toppa sul buco. Bisogna andare oltre, più in alto: finché i governi europei non troveranno una soluzione, le Ong fanno un ottimo lavoro nel Mediterraneo e salvano molte vite", spiega.

Dice di non aver mai vissuto la stessa situazione durante i suoi anni di servizio come vigile del fuoco. "[Nel Mediterraneo] è una morte continua, senza controllo", lamenta. "Con il tempo, ricorderemo questi anni e diremo: madre mia, che barbarie abbiamo vissuto nel Mediterraneo, ma abbiamo guardato dall'altra parte senza fare nulla".

Roldán non è il primo spagnolo ad affrontare questo tipo di processo. Tre pompieri di Siviglia sono stati accusati di traffico di esseri umani a Lesbo. Due di loro sono colleghi di Roldán: gli hanno consigliato di mantenere la calma e cercare quanto più sostegno possibile.

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