La modella, la ndrangheta e gli assassini: l'ultima indagine di Jan Kuciak

La modella, la ndrangheta e gli assassini: l'ultima indagine di Jan Kuciak
Diritti d'autore Candele in memoria del giornalista ucciso assieme alla sua ragazza. In primo piano la foto del premier Fico e la scritta "assassino". REUTERS/Radovan Stoklasa
Di Euronews
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Ecco a cosa stava lavorando il giornalista ucciso in Slovacchia

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Il seguente articolo è stato scritto ed editato da: Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP), Czech Center for Investigative Journalism (CCIJ), the Investigative Reporting Project Italy (IRPI) e Ján Kuciak (Aktuality.sk).

Sette italiani tra cui tre membri della famiglia Vadalà sono stati arrestati per l'omicidio del reporter slovacco Jan Kuciak. Si tratta dell'imprenditore Antonio Vadalà, calabrese da anni trasferito in Slovacchia, del fratello Bruno e del cugino Pietro Catroppa.

Prima di essere ammazzato a colpi di pistola nella sua casa, Kuciak stava collaborando con l'Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP), il Centro Ceco per il Giornalismo Investigativo (CCIJ) e l'Investigative Reporting Project Italy (IRPI).

La ndrangheta "detiene una posizione dominante nel mercato della cocaina in Europa ed è attiva anche in molti altri settori criminali, tra cui il traffico d'armi, le frodi, le manipolazioni di appalti pubblici, corruzione, intimidazione, estorsione e criminalità ambientale", secondo la valutazione Europol Threat Assessment of Italian Organized Crime, pubblicata nel giugno 2013.

Kuciak e i suoi colleghi non avevano ancora terminato la storia: l'OCCRP e Aktuality.sk non l'avevano pertanto ancora pubblicata. Al momento dell'uccisione, il reporter stava raccogliendo documenti su uomini considerati estremamente pericolosi dalla polizia italiana.

Ma dopo l'omicidio, sono trapelate delle informazioni sull'oggetto dell'inchiesta. OCCRP e Aktuality.sk stanno ora pubblicando la storia incompiuta di Kuciak per ridurre al minimo i rischi anche per gli altri giornalisti che vi stavano lavorando.

Repubblica ha tradotto tutto l'ultimo articolo, rimasto incompiuto, di Jan Kuciak.

L'indagine che potrebbe aver portato all'esecuzione

Kuciak e i suoi colleghi hanno iniziato la loro indagine esaminando l'assunzione di Maria Troskova come assistente di Fico. Fico assunse l'ex modella (chiamata "l'assistente sexy" dai media slovacchi) nonostante la sua relativa mancanza di esperienza politica. Il suo ufficio stampa si è rifiutato di rilasciare indicazioni sulla sua mansione, sul suo ruolo nell'esecutivo oppure se avesse ottenuto il nulla osta di sicurezza.

Ma mentre stava analizzando questa pista, il team di reporter si è imbattuto in un'altra storia dalla portata ancora più grande. Come risulta, la Troskova era partner commerciale di Antonino Vadalà che possiede in Slovacchia una rete di aziende agricole nell'est del paese.

Quando aveva circa 25 anni, la Troskova si è unita a Vadalà come co-fondatrice e co-proprietaria di un'azienda slovacca denominata GIA Management collegata ad un ampio spettro di attività, tra cui gli immobili, l'edilizia, il packaging e la fotografia. Ha lasciato l'azienda dopo poco meno di un anno.

Assistente di un uomo molto potente

Troskova è entrata nel mondo degli affari come assistentedi Pavol Rusko, un ex politico e un tempo co-proprietario della stazione TV Markiza. Rusko è finito nei guai di recente quando è stato arrestato perché avrebbe, secondo le accuse, assoldato un assassino per uccidere il suo partner in affari di fine anni '90.

Troskova era alla GIA Management quando ha incontrato Viliam Jasan, un ex membro del parlamento slovacco del partito al governo, i socialdemocratici dello Smer-SD. La stessa formazione politica a cui fa capo il dipartimento di Sicurezza.

Jasan ha messo sotto contratto la Troskova come vice-assistente personale. Successivamente l'ha presentata al primo ministro e leader del partito, Robert Fico, che l'ha assunta a sua volta. Qui rientra in gioco Vadalà, molto più di un impresario emigrato nel Paese.

La "mamma" calabrese

Nel marzo 2017, i procuratori antimafia calabresi e l'unità anti-stupefacenti della Guardia di Finanza di Catanzaro hanno disposto diversi mandati d'arresto, frutto di lunghe indagini.

L'operazione “Gerry” (dal soprannome usato da uno dei criminali in un messaggio) si è concentrata sul traffico di cocaina dal Sud America all'Italia da parte di un cartello formato da cinque famiglie calabresi.

Nel corso dell'indagine, ancora in corso, Antonino Vadalà è stato nominato come potenziale nuovo broker del mercato della coca per il cartello al posto di altri sodali che sono stati arrestati.

Ma i suoi legami con il gruppo vanno molto più indietro nel tempo. Iniziano a Bova Marina, in provincia di Reggio Calabria, il paese natale di Vadalà e dell'intero clan. Lì ha vissuto molti anni prima di emigrare in Slovacchia con gli altri membri della famiglia.

La famiglia Vadalà, secondo quanto emerge dalle carte giudiziarie, è giudicata responsabile di almeno 25 omicidi e del controllo del traffico di cocaina, vantando legami diretti con i cartelli colombiani.

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Il boss si chiama Domenico Vadalà, Antonino non è noto per avere rapporti stretti con lui.

Risalirebbero tuttavia a 16 anni fa i primi legami tra lui e la ndrangheta rintracciati dalla polizia italiana, quando Antonino avrebbe aiutato un fuggitivo del clan Libri-Zindato a nascondersi.

Alcune intercettazioni della polizia risalenti al 2001 sui telefoni di Antonio Vadalà e il boss Libri-Zindato, Francesco Zindato restituiscono il piano dei due per coprire la fuga di un trafficante di droga- che poi si scoprirà essere anche un killer della ndrangheta - e nasconderlo a casa di Vadalà, a Bova Marina.

Fu emesso un mandato di cattura per l'arresto di Vadalà e di altre 12 persone, diversi i capi d'accusa: dal traffico di droga alla rapina, l'estorsione e la detenzione illegale di armi da fuoco.

Alcuni di essi furono arrestati e condannati per i loro crimini. Vadalà si trasferì in Slovacchia riuscendo a sfuggire all'arresto e restò un uomo libero.

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L'omicidio eccellente

Il fuggitivo che Vadalà aiutò si chiamava Domenico “Mico” Ventura, trafficante di droga. Doveva essere arrestato nell'ambito di un'operazione contro la ndrangheta prima di sparire nell'appartamento di Bova Marina.

Ventura diventò famoso un anno più tardi come protagonista di un video consegnato ai Carabinieri nel 2012. In esso lo si vede uccidere a sangue freddo un altro membro del clan in una casa di campagna.

L'arma scelta, la lupara, è tipicamente associata agli omicidi di mafia. Fu condannato all'ergastolo.

In un'altra intercettazione nell'ambito della stessa indagine, Zindato chiede a Vadalà di andare a Roma assieme a due uomini di fiducia del boss per "punire" (fisicamente") uno sconosciuto che aveva messo a rischio gli interessi del clan.

“Chiaramente, chi ha preso parte alla missione punitiva ordinata dal boss doveva essere fortemente affiliato al clan e perseguire gli stessi obiettivi", scrisse il giudice. Non si sa se Vadalà abbia effettivamente partecipato alla missione.

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I reporter stavano ancora raccogliendo informazioni su Vadalà - ma anche sul ruolo della Troskova e sui possibili legami tra lui e il gabinetto del Primo Ministro – quando Kuciak è stato ucciso.

L'avvocato di Vadalà non ha rilasciato commenti sulla vicenda quando è stato contattato dai giornalisti nel novembre scorso.

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