"Non sono stato pagato": la lotta per lo stipendio dei lavoratori Zara dopo la chiusura della fabbrica

"Non sono stato pagato": la lotta per lo stipendio dei lavoratori Zara dopo la chiusura della fabbrica
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Di Alice Cuddy
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Turchia, luglio 2016: i lavoratori che producevano gli abiti per alcuni dei più grandi marchi di moda europei scoprono che il loro capo si è dato alla macchia insieme ai loro stipendi. E decidono di passare all'azione

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Ricordate i messaggi d'aiuto trovati all'interno dei vestiti della catena Zara, "Ho fatto io questo capo d'abbigliamento che stai comprando, ma non sono stato pagato per farlo"? 

Tutto inizia nell'estate del 2016. Hikmet Cingöz e i suoi colleghi sono impiegati in una fabbrica di abbigliamento in Turchia. Producono vestiti per alcuni dei brand europei più famosi nel settore della moda. 

Un giorno, pensando sia come tutti gli altri, si recano al lavoro ma realizzano di punto in bianco che il lavoro non c'è più.

"Abbiamo trovato le porte aperte e l'edificio vuoto", ricorda Cingöz, 47enne padre di due figli anch'essi impiegati nella fabbrica (nel settore riparazioni).  

Nei mesi precedenti alla chiusura della fabbrica **Bravo Tekstil **e alla scomparsa del suo proprietario, Cingöz e i suoi colleghi non hanno ricevuto lo stipendio. 

"Quando abbiamo chiesto il corrispettivo degli ultimi tre mesi, ci è stato detto che l'azienda stava attraversando un brutto periodo ma avremmo dovuto avere pazienza e presto tutto si sarebbe messo a posto", racconta a euronews.

La fabbrica sfornava vestiti per i giganti della moda spagnola Zara e Mango e la britannica **Next. **Molti lavoratori si sono detti fiduciosi, in un primo tempo, circa le buone intenzioni del loro datore di lavoro, certi che i problemi finanziari si sarebbero presto risolti.

La fabbrica invece chiude improvvisamente e 140 dipendenti vengono lasciati a casa, senza i tre mesi di stipendio arretrato e le indennità in caso di licenziamento. 

REUTERS/Susana Vera

Il "messaggio nella bottiglia" del precariato della moda

Dopo aver atteso una soluzione per quasi un anno e mezzo, Cingöz e decine di ex colleghi decidono di portare all'attenzione del mondo intero la loro difficile situazione. 

Si attrezzano per infilare la loro richiesta di aiuto negli abiti venduti nei negozi Zara a Istanbul e passano all'azione nel novembre 2017. Quel messaggio di aiuto fa il giro del pianeta.

Contiene anche un link alla petizione online a sostegno dei lavoratori che, al momento di scrivere, naviga a quota 300mila firme.

Bego Demir, rappresentante dell'alleanza internazionale per i diritti dei lavoratori* Clean Clothes Campaign*, ha aiutato i lavoratori licenziati nella campagna di guerriglia marketing.

E' stata presa di mira Zara in quanto il marchio rappresentava la maggior parte degli ordini della fabbrica. 

Demir sostiene di aver avuto l'idea di far sapere ai consumatori che cosa fosse accaduto dopo i ripetuti e vani sforzi per fare pressione sui marchi, spingendoli a prendere delle contromisure. 

"I lavoratori hanno bisogno di questi soldi per pagare il loro affitto e i loro mutui", dice a euronews.

Come gli altri lavoratori licenziati, anche Çingöz fatica ad arrivare a fine mese dopo la chiusura dell'impianto. Ci ha messo quattro mesi a trovare un nuovo lavoro. Nel frattempo ha dovuto garantire un tetto sulla testa per la propria famiglia e le spese per l'istruzione della figlia.  

Çingöz sottolinea che nei quattro anni passati a Bravo Teksti, pagato mensilmente 348 euro, ha dato tutto per l'azienda. 

"Ho lavorato ogni giorno", confida, aggiungendo di essersi trovato spesso a fare straordinari per poter mantenere la famiglia. "Il mio stipendio non bastava". 

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Un altro ex lavoratore non ha potuto sposarsi a causa dei debiti e vive in una casa piagata dall'umidità ma che "non può permettersi di riparare", riferisce Demir.

REUTERS/Susana Vera

Fondo di solidarietà tra brand: la risposta di Zara

Un portavoce della società madre di Zara, Inditex, ha dichiarato ad euronews di aver "adempito a tutti i suoi obblighi contrattuali con Bravo Tekstil, ma il proprietario della fabbrica è scomparso in modo fraudolento".

Il portavoce ha fatto sapere che Inditex si è "impegnata a trovare una soluzione rapida per tutti coloro che sono stati coinvolti nella vicenda" e ha lavorato con altri brand per sviluppare una proposta al fine di creare un "fondo di solidarietà" per i lavoratori interessati così da coprire i salari non pagati, le ferie inutilizzate, il preavviso e le indennità di licenziamento.

Ha aggiunto che l'azienda sta lavorando con il sindacato globale* IndustriALL* per cercare di raggiungere un accordo con i lavoratori. IndustriALL, tuttavia, ha affermato di non avere "alcun coinvolgimento diretto" nel fondo di solidarietà.

Mentre la soluzione sembra ancora lontana, secondo Demir della campagna* Clean Clothes *i marchi di moda devono impegnarsi di più per aiutare i lavoratori. 

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"Accettano la loro responsabilità ma si rifiutano di pagare i lavoratori. Dovrebbero incontrarli e pagarli", spiega. Nel frattempo, Cingöz esorta i consumatori ad aiutare i dipendenti licenziati a ricevere ciò che loro spetta.

"Non sto dicendo che dovrebbero smettere di fare acquisti lì [da Zara], perché ci sono ancora tanti lavoratori che cercano di prendersi cura delle proprie famiglie. Sto solo chiedendo di fare pressione su Zara per farci riavere i nostri soldi", conclude.

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