Perché le donne in Europa guadagnano in media il 15% in meno rispetto agli uomini?

In collaborazione con The European Commission
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Diritti d'autore euronews
Di Naomi LloydFanny Gauret
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In Real Economy scopriamo cosa si sta facendo per colmare il divario retributivo di genere

Se sei una donna che lavora in Europa, guadagni in media il 15% in meno rispetto a un uomo, spesso occupando lo stesso posto di lavoro. La pandemia ha mostrato quanto sono radicate queste disuguaglianze di genere, con le donne che si prendono cura (gratuitamente) dei figli e rischiano maggiormente di perdere il lavoro.

Per ogni euro che un uomo guadagna, in media, una donna guadagna 86 centesimi. Perché?

Le donne si assumono la maggior parte dei compiti legati ai figli e spesso riducono le ore di lavoro. Un terzo delle donne nell'Unione europea lavora part-time, rispetto all'8% degli uomini. Questo complica l'evoluzione della loro carriera.

Ci sono anche più donne in settori pagati meno, come l'assistenza alle persone e l'istruzione. Ai vertici, le donne guadagnano quasi un quarto (il 23%) in meno rispetto agli uomini. E in Europa, solo il 10% degli amministratori delegati delle grandi aziende sono donne. Tutto questo contribuisce a un divario pensionistico del 30%.

Il Pilastro europeo dei diritti sociali stabilisce la necessità della parità di genere. Per colmare il divario retributivo, la Commissione europea sta introducendo la trasparenza salariale. Le aziende saranno legalmente obbligate a pubblicare gli stipendi dei dipendenti.

Il Pilastro dei diritti sociali vuole anche un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata, con il diritto a un congedo parentale equo e accordi di lavoro più flessibili. Questi elementi sono parte del diritto europeo. Gli Stati membri hanno fino al 2022 per trasporli nella legislazione nazionale.

Il caso della Germania

Uno dei freni per le donne sul posto di lavoro è il costante destreggiarsi tra lavoro e vita domestica. La nostra inviata Fanny Gauret si è recata in Germania, per vedere come alcune donne riescono a gestire quest'equilibrio.

Nonostante ci sia una donna alla guida da 15 anni, la Germania, in termini di uguaglianza di genere al lavoro, si posiziona alle spalle dei suoi vicini europei, che hanno un tasso di disoccupazione femminile simile. A Berlino, due donne ci raccontano la loro esperienza.

Nadine Epplen è avvocato e rappresenta le donne che hanno un impiego principale nel settore alberghiero o nella ristorazione: "Il problema è che, anche se i contratti di lavoro sono fatti sulla base di 40 ore settimanali, il datore può distribuire le ore a suo piacimento", ci spiega la donna. "E, naturalmente, le donne che hanno figli non possono garantire la loro disponibilità. Vedo casi di licenziamento e retrocessione, perché le donne non sono così flessibili".

La pandemia accentua i problemi legati alla divisione dei compiti familiari. Come Nadine, quasi il 50% delle donne tedesche lavora a tempo parziale, per occuparsi della propria famiglia, molto di più della media europea. "Ho due figli e devo anche occuparmi di loro perché non abbiamo parenti a Berlino", racconta l'avvocato. "Preferirei lavorare a tempo pieno, ma questo non è compatibile, perché gli orari dell'asilo e della scuola non sempre coincidono con i miei orari di lavoro".

Trovare l'equilibrio tra vita lavorativa e vita famigliare

Per migliorare la rappresentanza delle donne sul mercato del lavoro, la Germania, come gli altri Paesi europei, deve mettere in atto entro il 2022 la direttiva sull'equilibrio lavoro-famiglia, che prevede anche un migliore accesso ai congedi parentali e più flessibilità al lavoro.

E secondo l'economista Katharina Wrohlich, questo significa una migliore tassazione e più facili opportunità di carriera per entrambi i genitori. "In Germania, osserviamo che c'è una nuova norma prevalente: si è passati da un modello di famiglia dove un solo genitore lavora a un modello dove sono uno e mezzo a lavorare", dichiara Wrohlich. "La Germania deve ancora fare molto per migliorare l'accesso e la qualità dell'assistenza all'infanzia, anche in termini di orari di apertura".

Un ambito in cui la Germania ha fatto da apripista in materia di uguaglianza, è il numero di donne membri del consiglio di amministrazione delle imprese quotate in borsa, con il 36% di partecipazione femminile. Per avvicinarsi alla parità di genere in quest'ambito, il Paese è in fase di imposizione delle quote.

Incontriamo alle porte di Berlino Hiltrud Werner, unica donna del cda di Volkswagen. "Anche chi è contro le quote, vede che il processo progredisce", spiega ai nostri microfoni la manager. "Penso che ci aiuterà a non trascurare persone con alte qualifiche solo a causa dei pregiudizi".

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Hiltrud Werner, membro del cda di VolkswagenEuronews

La strada verso gli obiettivi di carriera che si era prefissata non è sempre stata in discesa: "Sono scelte che hanno sempre un prezzo. Ho dovuto trovare dei compromessi ed è per questo che è importante sapere cosa si vuole".

La speranza è che in futuro le donne non debbano fare gli stessi compromessi, per arrivare in alto.

A che punto sono i Paesi dell'Unione europea quando si tratta di "rompere il soffitto di cristallo"?

Ai ritmi attuali, la Germania non annullerà il divario retributivo di genere fino al prossimo secolo e in Francia ci potrebbero volere più di 1000 anni.

Alcuni Paesi sono pronti per la parità di retribuzione in questo decennio, il Belgio è uno di questi. Incontriamo Esther Lynch, vice segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (CES): "Quello che vogliamo è una migliore legislazione sulla parità di retribuzione, per un lavoro di pari valore. Per fare un esempio, stavo parlando con un sindacato proprio la settimana scorsa e mi hanno detto che il responsabile acquisti era pagato il 30% in più del responsabile risorse umane. E quando si guardava il contenuto di quel lavoro, la quantità di competenze richieste, la quantità di formazione che la persona doveva avere, la responsabilità, non c'era differenza. Ma naturalmente, il responsabile delle risorse umane era una donna e quello acquisti era un uomo".

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Esther Lynch, vice segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (CES)Euronews

Come vede questa direttiva sulla trasparenza salariale?

"Troppo spesso il divario retributivo riguarda il lavoro svolto dalle donne e questo viene visto come una giustificazione per una retribuzione inferiore. Una delle cose principali che vogliamo in questa direttiva è la disposizione che metterà fine al segreto salariale. E questa è una misura davvero importante, perché troppe donne lavorano accanto a colleghi, spesso per decenni e presumono di avere lo stesso stipendio. Poi si scopre per caso che, nonostante faccia lo stesso lavoro, in realtà viene pagato molto di più. Un altro aspetto importante è che la direttiva deve vietare le clausole di segretezza salariale nei contratti di lavoro".

Il Belgio è uno dei Paesi in Europa all'avanguardia nel colmare il divario salariale. Perché?

"Quello che osservo qui in Belgio - e che non vedo in molti altri posti - è la quantità di lavoratori che sono in un sindacato. Quindi ci sono persone che, quando sollevano questioni, quando si lamentano, non saranno prese di mira, vittimizzate e spostate, sbattute fuori perché creano problemi. E penso che una delle cose che questa direttiva deve garantire è di non presumere che solo perché le persone hanno informazioni, le useranno".

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