Progetto Sherpa, il soccorso sulle Alpi ha nuovi alleati

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Vespe, falchi, asini. Ma non si tratta degli animali che conosciamo, sono i nomi di robot in grado di salvare la vita di persone in pericolo sulle Alpi.

Siamo sulle Alpi, precisamente in Valle d’Aosta e parliamo di vespe, di falchi, di asini … ma non si tratta di animali, bensì di robot utilizzati per il soccorso delle persone.

Tecnologie sviluppate in un progetto europeo che si chiama Sherpa , sviluppato da 20 partner (7 Università, due società e una associazione) impegnati nello studio del sistema cognitivo e della robotica.

Il coordinatore del “Progetto Sherpa” è il Professor Lorenzo Marconi dell’Università di Bologna, che ci fa conoscere il suo team di collaboratori:

“Lei è Foresta dall’Università di Brema, lui è Jonathan dall’Università di Napoli, lui è Michele dall’Università di Bologna in Italia … se la vespa si schianta è colpa sua”.

Un gruppo eterogeneo che si è dato appuntamento sulle Alpi italiane, come spiega il Professor Patrick Doherty, direttore presso l’Università svedese di Linköping di “The Artificial Intelligence and Integrated Computer Systems Division (AIICS)”: “L’idea è sviluppare sistemi, sistemi robotici per assistere le squadre di soccorso, non solo sulle Alpi, ovunque in Europa”.

Il professor Doherty e la sua squadra di ricercatori vegliano sulle “api”, si tratta di due piccoli elicotteri in grado di trasportare fino a 30 chili di carico, siano essi scanners, telecamere termiche o più semplicemete viveri e acqua.

Anche i modellini di aeroplano sono stati elaborati dal progetto. Una tecnologia che viene testata in condizioni di vento forte.

Le squadre di sicurezza, i professionisti del Soccorso Alpino seguono da molto vicino l’evoluzione del progetto. Adriano Favre, Direttore del Soccorso Alpino della Valle d’Aosta spiega:

“Uno dei problemi più grandi da affrontare sono le ricerche di escursionisti o di cercatori di funghi, di tutte quelle categorie di persone che si perdono nella natura e che richiedono un grande impegno di mezzi e uomini. L’opportunità di intervenire con mezzi di supporto è di grande aiuto. La possibilità di non dovere fermare le ricerche durante la notte o in condizione di scarsa visibilità ad esempio gli elicotteri non possono alzarsi in volo, un drone invece può farlo”.

Un drone oppure i piccoli elicotteri progettati in Giappone già una quindicina di anni fa per l’utililizzo in agricoltura. Sono pilotati a distanza ma hanno raggiunto ormai una grande auotonomia, come spiega il professor Doherty:

“Questi sistemi non sono direttamente guidati dalle persone. Viene prima definito l’obiettivo, di fatto noi decidiamo la zona su cui concentrarsi, diciamo. Quest’area è di nostro interesse”, premiamo un bottone e automaticamente il sistema genera la scannerizzazione del perimetro che abbiamo indicato”.

Un sistema che si rivela molto prezioso in caso, per esempio, di incidente aereo come quello accaduto al volo Germanwings che si è verificato in un luogo di difficile accesso.

L’automatizzazione di questa attività ha tuttavia dei limiti, che i ricercatori non intendono oltrepassare, come spiega il professor Lorenzo Marconi:

“La nostra intenzione non è quella di sostiture l’uomo, il personale di salvataggio, ma di aiutarlo con la tecnologia. Il sistema Sherpa mette al centro l’uomo, il personale di soccorso, che noi chiamiamo “il genio impegnato”, è un genio perché la sua esperienza non può essere replicata dalle macchine”.

Il “progetto Sherpa” lavora anche su robot terrestri destinati al rifornimento di carburante dei droni. In un prossimo futuro i soccorritori potranno contare su nuovi efficenti compagni d’intervento.

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