La complicatissima politica migratoria dell'Unione europea

Il tema migratorio sarà al centro del Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio
Il tema migratorio sarà al centro del Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio Diritti d'autore Salvatore Cavalli/Copyright 2022 The AP. All rights reserved
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Di Jorge LiboreiroVincenzo Genovese
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Muri alle frontiere, lotta all'immigrazione illegale e rimpatri saranno al centro del prossimo Consiglio europeo, che vede i 27 Stati membri divisi su molte questioni. Le barriere di confine restano la questione più divisiva

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Ci saranno i flussi migratori al centro del prossimo vertice tra i capi di Stato e di governo dell'Unione Europea: un ritorno in cima all'agenda politica dopo anni di summit dedicati alla pandemia, al Next GenerationEu o alle conseguenze della guerra in Ucraina.

Vecchio problema, vecchie soluzioni

L'aumento del 64% degli attraversamenti irregolari delle frontiere (circa 330mila nel 2022) e del 46% delle domande di asilo (quasi 924mila) sembrano preoccupare Bruxelles e le altre capitali europee. In più ci sono i dati, ai massimi storici, delle domande di asilo presentate da cittadini di Paesi tradizionalmente considerati "sicuri", come Turchia, Bangladesh, Marocco, Georgia, Egitto o Perù.

Le strategie dei vari Stati per contrastare il fenomeno non sembrano in realtà contemplare grosse innovazioni. L'Austria chiede di utilizzare fondi comunitari per finanziare un muro lungo il confine tra Bulgaria e Turchia. L'Italia spinge per un codice di condotta europeo che regoli l'attività delle navi di soccorso delle Ong nel Mediterraneo. La Danimarca cerca sostegno per istituire centri di accoglienza per richiedenti asilo al di fuori del territorio europeo.

Anche il Partito popolare europeo, il gruppo più numeroso del Parlamento, sembra aver adottato posizioni più rigide di un tempo sull'immigrazione. Il suo presidente, Manfred Weber, è favorevole alla costruzione di muri di confine finanziati a livello europeo.

"Dobbiamo essere realisti. A Ceuta e Melilla abbiamo da decenni una barriera al confine tra Marocco e Spagna", dice a Euronews. "Ce l'abbiamo sul confine greco-turco, sul confine bulgaro-turco. E dopo gli attacchi di Lukashenko contro la Polonia e la Lituania, anche lì faremo lo stesso. Ribadisco che nessuno vorrebbe muri, ma se necessario dobbiamo costruirli e la Commissione europea dovrebbe essere pronta a finanziarli".

Le richieste di asilo nell'Ue dal 2010 al 2022

Solidarietà impossibile

"La migrazione è una sfida europea che deve essere affrontata con una risposta europea", ha scritto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen in una lettera indirizzata ai leader prima del vertice.

La Commissione sta da un lato promuovendo un incremento dei rimpatri di migranti irregolari, dall'altro cerca sempre di far avanzare il suo Pact on Migration, il pacchetto di riforme della politica migratoria proposto nel settembre 2020 e ancora in fase di stallo per quanto riguarda i punti più significativi.

Quello su cui sembra veramente impossibile procedere riguarda la redistribuzione nell'Ue dei richiedenti asilo che entrano irregolarmente in uno dei Paesi di frontiera. In base al cosiddetto Regolamento Dublino, adottato per la prima volta nel 2013 e ancora vigente, un richiedente asilo può presentare la propria domanda solo nel Paese di primo ingresso

Questo sistema è stato ampiamente criticato sia da alcuni governi che dalle organizzazioni della società civile perché imporrebbe un onere sproporzionato agli Stati frontalieri dell'Ue, soprattutto quelli affacciati sul Mar Mediterraneo.

Ma ogni tentativo di modificare il regolamento stato finora vano. "L'attuale politica migratoria è intrappolata tra l'incudine e il martello", dice a Euronews Andrew Geddes, direttore del Migration Policy Centre presso l'Istituto universitario europeo. "I flussi migratori proseguono, mentre gli Stati membri faticano a concordare una serie di soluzioni efficaci e comuni".

Alcuni Stati, spiega l'esperto, semplicemente si limitano a rifiutare ogni programma che preveda il trasferimento di migranti in tutta l'Unione. Nel Pact on Migration si propone infattiun meccanismo di "solidarietà effettiva", che si attiverebbe nel caso un Paese dell'Ue si trovasse “sotto pressione o a rischio di esserlo” a causa di un alto numero di arrivi di migranti.

Gli altri Stati avrebbero allora tre possibilità a disposizione: accettare il ricollocamento sul proprio territorio di una quota di richiedenti asilo, prendere in carico il rimpatrio di una quota di persone a cui è stato negato l'asilo, o finanziare una serie di "misure operative" nel Paese sotto pressione, come centri di accoglienza e mezzi di trasporto.

Il contributo di ogni Paese sarebbe calcolato in base al Prodotto interno lordo e alla popolazione, e sarebbe obbligatorio per tutti i 27 membri dell'Ue. Proprio per questo, è difficile che il meccanismo venga accolto: Paesi come quelli del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia) sono fortemente contrari a ogni tipo di ricollocamento obbligatorio.

Dall'altra parte, Stati come Germania, Francia, Italia o Grecia ritengono che il meccanismo sia troppo "morbido", lasciando a disposzione dei Paesi due opzioni che non comportano l'effettiva redistribuzione delle persone.

Nel frattempo un meccanismo di ricollocazione volontaria istituito con il supporto di 19 Paesi dell'Ue più Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein ha finora portato a 435 ricollocamenti effettivi su una quota di 8mila previsti su base annuale. Un piccolo passo avanti, ma sicuramente non abbastanza per accontentare i Paesi che si sentono più esposti all'incidenza dei flussi.

No cooperazione senza rimpatri

Anche per questo l'Unione Europea sembra intenzionata ad utilizzare le sue politiche nei confronti dei Paesi terzi come una sorta di leva negoziale nella questione migratoria

Al momento i Paesi dell'Ue non riescono a rimpatriare la gran parte degli stranieri che si trovano irregolarmente sui propri territori. A fronte di oltre 342mila decisioni di rimpatrio emesse nel 2021, circa 80mila soggetti coinvolti sono effettivamente tornati nel Paese d'origine: meno di un quarto del totale. E il trend sembra simile nel 2022: nel terzo trimestre, ad esempio, meno di 32mila rimpatri effettivi su quasi 110mila decisioni di allontanamento.

Diversi governi vorrebbero invocare l'articolo 25a del codice dei visti dell'Ue per introdurre misure restrittive nei confronti dei Paesi "non collaborativi". La presidente della Commissione Von der Leyen nella sua lettera parla invece di progetti congiunti per combattere il traffico di esseri umani e di una cooperazione per accelerare i ritorni e frenare le partenze.

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Simbolo di questa tendenza sono i fondi destinati al supporto della Guardia costiera libica, incaricata di combattere i trafficanti di esseri umani e impedire le partenze dalle proprie coste verso l'Europa. A Tripoli è appena stata consegnata la prima di cinque motovedette finanziate dall'Unione Europea nell'ambito del progetto Sibmill, dedicato al controllo della migrazione in Libia. Per il Nord Africa in totale sono stanziati 800 milioni di euro fino al 2024, ha spiegato il commissario europeo all'Allargamento e al Vicinato Olivér Várhelyi.

Ma per molti esperti l'esternalizzazione della politica di asilo ignora le ragioni fondamentali che guidano i flussi migratori, come le difficoltà economiche, la discriminazione e il cambiamento climatico, e può portare a violazioni dei diritti umani e detenzioni illegali al di fuori dell'Ue, come già avviene in modo conclamato in Libia.

"Bloccare barche e trafficanti può avere conseguenze, può portare alla morte di più persone. E non affronta le cause molto più profonde alla base delle partenze", afferma Andrew Geddes.

Timori reali e paure "politiche"

"Non ci sono bacchette magiche a portata di mano per la controversa questione della condivisione delle responsabilità", spiega a Euronews Alberto-Horst Neidhardt, esperto del tema presso l'European Policy Centre (Epc). "Per troppo tempo il dibattito sulle migrazioni è stato privato di nuove energie e ossigeno vitale, condizionato da interessi nazionali e agende politiche a breve termine".

La perenne mancanza di consenso su come affrontare internamente la migrazione "rischia di tradursi in un'attenzione sproporzionata al rimpatrio e alla riammissione", aggiunge l'esperto.

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Il dibattito a Bruxelles sembra infatti focalizzarsi molto sulla dimensione esterna del tema: il controllo delle frontiere, i rimpatri dei migranti irregolari, i rapporti tra l'Ue e i numerosi Paesi di origine e i sempre più numerosi tentativi di prevenzione degli arrivi.

Critiche arrivano anche da parte dell'ala sinistra del Parlamento europeo."Sono un'eurodeputata della parte orientale della Germania. Ho vissuto tutta la mia giovinezza dietro un muro. Finanziare le recinzioni con fondi europei non è solo un brutto ricordo per me, ma anche un passo indietro per l'Europa", spiega a Euronews Cornelia Ernst, della Linke tedesca.

Ma sembra che l'aria a livello europeo tiri esattamente in quella direzione, con anche la presidenza di turno dell'Unione retta dal governo svedese, molto rigido sul tema migratorio.

"Il processo decisionale condizionato dal panico alimenta un approccio basato su paure infondate piuttosto che su bisogni, interessi, considerazioni sulle risorse o sugli obblighi giuridici", scrive Catherine Woollard, direttrice del Consiglio europeo per i rifugiati, sostenendo che l'allarmismo venga in realtà provocato artificialmente dagli esponenti governativi per fini politici. Una dinamica destinata a riproporsi nel prossimo vertice, e ancor di più con l'avvicinarsi delle elezioni europee.

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