La sorprendente inversione a U della Danimarca sulla politica di difesa comune dell'Unione

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La guerra in Ucraina sta spingendo il Paese nordico a riconsiderare una clausola di opt-out che risale ai primi anni '90

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L'invasione russa dell'Ucraina sta spingendo l'Unione europea ad abbandonare i vecchi tabù sulla difesa dei propri territori

Il governo danese, guidato dalla premier Mette Frederiksen, ha annunciato l'indizione di un referendum per riconsiderare la trentennale clausola di opt-out che finora ha tenuto la Danimarca fuori dalla politica di difesa comune dell'Unoione europea.

Il referendum si terrà il 1 giugno prossimo: Frederiksen ha anche detto che il governo aumenterà la spesa per la difesa, onde soddisfare l'obiettivo del 2% del prodotto interno lordo della Nato entro il 2033, rispetto all'attuale 1,44%. 

L'ultima volta che il Paese ha superato la soglia del 2% è stato nel 1989.

"L'inutile e brutale attacco di Putin all'Ucraina ha annunciato una nuova era in Europa, una nuova realtà", ha detto la signora Frederiksen in una conferenza stampa a Copenhagen.

"La lotta dell'Ucraina non è solo dell'Ucraina, è una prova di forza per tutto ciò in cui crediamo, i nostri valori, la democrazia, i diritti umani, la pace e la libertà".

Un documento firmato dai Socialdemocratici di Frederiksen insieme ad altri quattro partiti parla di una "nuova situazione di sicurezza" che deve essere affrontata "con i nostri alleati nella Nato e nell'Unione europea". 

Oltre ai cambiamenti nella politica di difesa del Paese, i partiti toccano il tema della pesante dipendenza dell'Europa dal gas russo.

Una disposizione speciale

Per la Danimarca, l'inversione a U è epocale: la clausola di opt-out è stata introdotta per volere della Danimarca come parte dell'accordo di Edimburgo del 1992, un testo appositamente progettato per consentire al Paese di ratificare il trattato di Maastricht del 1991, che i cittadini danesi avevano respinto con il 50,7% dei voti contrari.

L'accordo proponeva disposizioni su misura che chiarivano la partecipazione della Danimarca in quattro nuovi campi in cui l'Unione aveva cominciato ad approfondire la sua integrazione: la cittadinanza, la giustizia e gli affari interni, l'unione monetaria (la Danimarca rifiutò l'euro e mantenne la corona nazionale) e la difesa.

Oggi, l'opt-out è ancora in vigore e si applica alla cosiddetta Politica di Difesa e Sicurezza Comune (CDSP), uno dei principali elementi della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) del blocco.

Di conseguenza, la Danimarca, che è membro della Nato, si estromette da tutte le decisioni di politica estera che hanno implicazioni di difesa: durante gli incontri personali dei ministri degli Esteri, il rappresentante danese di solito lascia la stanza quando si parla di difesa.

Tutti gli altri 26 Stati membri si impegnano pienamente nella CDSP: in pratica, questo significa che il Paese nordico partecipa all'azione collettiva relativa, per esempio, alle sanzioni economiche, come è stato il caso contro la Russia, ma rimane fuori quando si tratta di dispiegamenti militari, come l'operazione IRINI, creata per far rispettare l'embargo delle Nazioni Unite sulle armi alla Libia.

Più di 5.000 membri del personale militare e civile dell'Unione europea sono attualmente schierati in missioni CDSP in tutta Europa, Africa e Asia, la maggior parte delle quali si concentrano sulla gestione delle crisi. 

Un totale di 37 operazioni sono state lanciate dal 2003, e quasi la metà di esse sono ancora in corso.

Se i cittadini danesi voteranno per abrogare la clausola di opt-out, il Paese sarà immerso nella politica di difesa comune e le truppe danesi saranno schierate in tutto il mondo sotto un comando centralizzato.

Un "campanello d'allarme"

Finora, si è considerato la CDSP un "progetto tecnico", incentrato sulla cooperazione industriale e sugli appalti piuttosto che sulla costruzione di un vero e proprio Esercito dell'Unione: un obiettivo ancora considerato divisivo e remoto, dice Bruno Lété, senior fellow del German Marshall Fund degli Stati Uniti.

"Gli europei hanno fatto un cattivo lavoro pensando alla propria difesa - dice Lété a Euronews - nella risposta militare alla guerra in Ucraina, l'Europa si è unita alla risposta. 

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Gli Stati Uniti sono stati chiaramente il motore, gli europei si stanno rendendo conto che questa situazione non è più sostenibile".

Ma la guerra in Ucraina, con i suoi orrori che si dipanano proprio alle porte dell'Unione, è servita come un "campanello d'allarme" per il blocco, portando a una "nuova dinamica", dice Lété: una dinamica in cui le capitali, da Berlino a Copenhagen, ripensano le loro strategie di difesa e diventano più consapevoli dell'ambiente geopolitico che le circonda.

"È ancora presto per dire come si svilupperà questo risveglio: alcuni Stati membri daranno la priorità alle strutture della Nato, altri sosterranno che l'Unione dovrebbe essere in grado di condurre le proprie missioni militari, se necessario", dice il ricercatore, notando che la Nato continuerà ad aggiungere valore.

"I prossimi anni saranno anni di instabilità permanente -  prevede Lété - continuerà a riunire gli europei".

La difesa dell'Unione abbatte i tabù

Per la prima volta in assoluto, il blocco sta finanziando l'acquisto di armi letali per i Paesi che sono sotto attacco, una decisione che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha descritto come un "momento spartiacque".

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Poiché i trattati dell'Unione impediscono al bilancio comune di finanziare imprese militari, si fornirà all'Ucraina un fondo di 500 milioni di euro nell'ambito di uno strumento fuori bilancio, noto come Fondo Europeo per la Pace.

Nel frattempo, la Germania ha drasticamente invertito la sua politica del secondo dopoguerra, che impediva al Paese di inviare armi letali nelle zone di conflitto, e sta equipaggiando il governo di Kiev con 1.000 armi anticarro e 500 missili Stinger antiaerei.

Anche la Finlandia e la Svezia, due Paesi tradizionalmente non allineati, stanno consegnando armi per aiutare l'Esercito ucraino a resistere all'invasione russa. 

Inoltre, la Svizzera, uno Stato non membro dell'Unione, sta abbandonando la sua sacrosanta neutralità per schiaffeggiare il Cremlino con dolorose sanzioni.

"La sicurezza e la difesa europee si sono evolute più negli ultimi sei giorni che negli ultimi due decenni", ha detto Ursula von der Leyen al Parlamento europeo la scorsa settimana, riflettendo sugli eventi che hanno seguito l'attacco russo del 24 febbraio.

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