Dalla Libia all'Iran: il festival di Ginevra fa luce sulle violazioni dei diritti umani

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Di Frédéric Ponsard
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"After a Revolution", documentario sulla ricostruzione della Libia del produttore cinematografico italiano Giovanni Buccomino, ha ottenuto il premio principale della 20esima edizione

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Il Festival Internazionale del Cinema e Forum sui Diritti Umani ha riunito a Ginevra artisti, attivisti e appassionati per dieci giorni di film, incontri e dibattiti. "After a Revolution", documentario sulla ricostruzione della Libia del produttore cinematografico italiano Giovanni Buccomino, ha ottenuto il premio principale della 20esima edizione. Il Gran Premio per la fiction è stato assegnato a due film, "Freda" dell'haitiana Gessica Généus e "Vera sogna il mare" della kosovara Kaltrina Krasniqi.

Quest'ultimo racconta la storia di una vedova che prova a liberarsi dalle catene del patriarcato e che è costretta a fare delle scelte in una società corrotta. La pellicola ha vinto anche il Premio della giuria giovanile. "Quando fai un film naturalmente pensi al pubblico, e alle persone di una certa generazione che potrebbero capire i problemi di cui parli - dice Krasniqui - ma ricevere un premio dai giovani ha significato molto per me: significa che questa storia colpisce anche le generazioni più giovani".

La giuria dei giovani ha premiato anche "Invisible Demons", documentario di Rahul Jain già presentato a Cannes che mostra i devastanti effetti dell'inquinamento e del cambiamento climatico sugli abitanti di Nuova Delhi. "Invisible Demons per me è la sensazione di trovarsi in cima a un caterpillar gigante chiamato civiltà capitalistica, un ottovolante che non si ferma mai - dice Jain -. Questa sensazione scaturisce dalla paura di trovarsi in una posizione e avere la sensazione che non ci sia altro modo di andare avanti se non questo. È qualcosa di infinito e implacabile".

Nella categoria dei grandi reportage il premio è andato a "White Torture", diretto dall'avvocato e attivista Narges Mohammadi, attualmente detenuta in Iran.Il film denuncia le conseguenze psicologiche spesso irreparabili delle torture subite dai prigionieri. L'attivista e premio Nobel per la pace 2003 Shirin Ebadi, amica e collega della regista, è l'ambasciatrice del film.

"Per me questo film rappresenta la repressione dei prigionieri di coscienza e dei prigionieri politici in Iran - dice Ebadi -. Ma allo stesso tempo rappresenta la resistenza, perché la repressione continua, ma anche la resistenza del popolo continua". Una selezione dei titoli in concorso sarà disponibile on demand, ma solo in Svizzera, fino al 20 marzo.

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