Le verità di Livia Pomodoro, tra magistratura e teatro

Le verità di Livia Pomodoro, tra magistratura e teatro
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Di Diego Malcangi
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Magistrato, con una carriera che avrebbe esaltato chiunque, Livia Pomodoro dieci anni fa lasciò tutto per seguire il sogno di sua sorella. Un sogno suo, ora. E di successo. Le abbiamo chiesto di raccontarci il suo teatro, aperto e inclusivo.

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Parlando con Livia Pomodoro si ha l'impressione di dover raccontare una grande storia, che lei invece racconta come se fosse storia di tutti i giorni.

Magistrato celebre e celebrato per una vita smette, lascia, e si dedica al sogno del teatro. Che era quello di sua sorella Teresa, la cui vita si concludeva nell'agosto del 2008.

Il teatro No'hma era nato da appena quattro anni, nell'ex palazzina dell'acqua potabile, a Milano.

Scelta non casuale. Perché, in fondo, l'idea era quella di far fluire ovunque e per tutti il teatro, la parola, la finzione che poi è più vera di quello che crediamo vero.

Che cos'è la verità?

La verità non esiste. Esistono varie verità che noi convenzionalmente consideriamo il massimo dell'avvicinarsi a ciò che vogliamo esprimere come sicuramente non bugiardo. Veritiero, lo chiamiamo noi. Per esempio, io sostengo e ho sempre sostenuto che non esiste una verità in assoluto, in tribunale. Da un processo può venir fuori quella che si chiama la verità giudiziaria, cioè quella che può essere ed è oggetto dell'attenzione del giudice, fino al momento della sua sentenza, che sarà una attribuzione, il più possibile, di responsabilità veritiera rispetto ad un fatto accaduto. Ma nbon è la verità in assoluto.

Poi non credo proprio che nei mondi che noi frequentiamo ci siano verità assolute. A meno che non si parli di... è più facile parlare di fidelizzazioni assolute, che di verità.

Gliel'ho chiesto per cercare di capire meglio il suo passaggio dalla magistratura al teatro...

Come non esiste una verità in assoluto, non esiste una verità o una finzione che sia assoluta come quella del teatro. E d'altra parte, se ci pensa, il processo, nel suo svolgimento - lei ha assistito sicuramente a tanti processi in aula - è una drammatizzazione dell'esistente o di quello che è accaduto in epoca lontana e su cui si decide, si discute e così via.

Io ho fatto molti processi simulati: il processo simulato è una delle esemplificazioni più radicali e al tempo stesso più interessanti proprio di questo tema.

Io ho fatto il presidente proprio della vicaria, il tribunale dei nobili di alcuni secoli fa, per la vicenda del Principe di Venosa, che era un grande melologo e un grande madrigalista.

A un certo punto, istigato da un proconsolo che faceva la corte a sua moglie che era una bellissima donna, venne a conoscenza del fatto che la signora aveva una relazione con un altro. E allora decise di ammazzarla. Ma siccome non aveva il coraggio di ammazzarla personalmente la fece ammazzare dai sicari, andò dai sicari, che ammazzarono sia lei che l'amante, col quale lei quella notte si intratteneva. La cosa più eclatante di quella situazione fu che questo orrendo personaggio, straordinario madrigalista, si introdusse nella stanza degli amanti e squarciò il petto della donna. Come dire, firmò il delitto.

All'epoca esistevano le leggi per i nobili e quelle per la plebe. La legge per i nobili prevedeva che se il marito avesse trovato in flagranza di reato la moglie, poteva ammazzarla e non avrebbe avuto conseguenze. Lui evidentemente pensò di fare due cose: di attribuirsi il delitto e di attribuirselo quasi in flagranza, perché tanto non sarebbe stato giudicato.

Fu giudicato poi, ma lui scappò prima a Venosa, poi andò ad Este, è una storia molto avventurosa, e continuò a scrivere meravigliosi madrigali. I sicari invece furono arrestati, furono giudicati secondo la legge della plebe e vennero condannati a morte.

Ecco: questo è, metaforicamente, quello che si può dire della verità.

Il suo passaggio dalla magistratura al teatro è avvenuto per una verità di tipo diverso, quella legata alla memoria. Quella di sua sorella, in particolare.

Guardi, io ho sempre pensato... io ho vissuto molto vicino a mia sorella perché eravamo sorelle gemelle, ma pur facendo mestieri diversi avevamo anche molte... ma anche molti momenti di scontro, come accade tra persone che si misurano con la loro intelligenza. E anche con la loro affettività, non esiste affettività senza scontro. E tutto ciò che di molliccio, di superficiale, c'è, è proprio non affettività vera - usando il termine di verità - non affettività reale. Perché l'affettività reale è anche scontro. Di opinioni, naturalmente. Però quando mia sorella è mancata , la ragione per la quale io ho deciso di continuare nella sua opera è stata perché secondo me mia sorella ha rappresentato e ha sognato un'utopia alla quale si è dedicata per tutta la vita: rendere l'arte disponibile a tutti, senza differenze di censo, senza differenze di alcun tipo, soprattutto economiche.

**Infatti questo di mia sorella è un teatro che è nato onlus, è nato senza che si pagasse il biglietto per entrare, ed è nato sulla disponibilità di chia ha creduto in mia sorella che era grandissima, una grande drammaturga, una grande attrice, una grande conoscitrice del teatro, e soprattutto una donna coltissima, e non ignorante come tutti quelli che circolano - ahimé - purtroppo oggi, facendoci credere quello che non è - il problema della verità: lo ritrova sempre, comunque, un filo rosso - e io ho pensato che una ...  far morire il suo meta-teatro, e far morire questo suo desiderio, che peraltro hanno coltivato tutti i grandi - Paolo Grassi aveva come sua dimensione quella di rendere il teatro accessibile a tutti, naturalmente nella sua dimensione in cui lui metteva in piedi il Piccolo Teatro e tutto quello che ha significato per la città di Milano nel dopoguerra -... ecco, a me è parso che non potesse andare così perenta un'idea così forte e significativa, e ho deciso, proprio nel giorno in cui lei è mancata, che avrei continuato.
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**E ho deciso con grandissima fatica, perché io di teatro non sapevo nulla. Adesso se qualcuno mi parla di teatro deve vedersela con me.   Ma, poiché sono una persona che ama apprendere e conoscere, e la mia regola è sempre stata quella di studiare e di informarmi, e di essere consapevole e umile fino al punto di pensare che intorno a me esiste tanto che io non conosco - e naturalmente il teatro è straordinario perché il teatro è tanto davvero che non si conosce - ecco, io mi sono applicata, e ho lavorato con grande determinazione, e il teatro è qui, tutti possono vederlo e possono vedere le dieci stagioni che abbiamo appena concluso, siamo all'undicesima stagione, il teatro è vivo e vegeto e io credo che sia soprattutto un esempio per le future generazioni.   Per quelle generazioni che pensano che tutto è dovuto e siccome è facile - come per esempio andare a teatro o non andarci, tanto non si paga il biglietto - ecco, questa è stata un'esperienza straordinaria, perché mi ha insegnato che il pubblico può essere educato.
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Il pubblico che viene in questo teatro viene per vedere la rappresentazione. E se proprio non può arrivare, i più educati addirittura telefonano per dire che non arrivano.  Se qualcuno oggi non telefona è perché col passar del tempo e con le modalità che nel tempo anche cambiano, anche di approccio al pubblico, si introduce quella forma di lassismo che poi giustifica che ci sia più o meno pubblico. Ma se pensiamo ai teatri tradizionali non posso certo dire di non avere successo.

Teatro nudo: perché?

**Il "teatro nudo" di mia sorella ha un grande significato: quel teatro nudo nasce da una sua performance molto importante, molto interessante, che si chiama "il teatro nudo in carcere di Teresa Pomodoro".   È un libretto che dovrebbe essere da qualche parte qui e che è un monologo scritto da mia sorella sulle sue esperienze nel carcere.
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**Esperienze molto forti perché entrare nel carcere - mia sorella lavorava anche con i detenuti del 41bis, ma lei non chiedeva a nessuno perché erano lì; lei li trattava da esseri umani che avevano una particolare condizione - e credo che questa sia stata una lezione bellissima, perché il teatro che lei ha portato nel carcere è il teatro che è privo di orpelli, quello magari che qualche volta fa anche arricciare il naso ai critici teatrali, abituati a valutare con un metro tutt'affatto borghese, ma è soprattutto un teatro dell'anima, un teatro che riesce a dare le emozioni, che riesce a suggerire un diverso modo di vivere.
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**Io all'epoca in cui mia sorella frequentava il carcere ero magistrato, prima presidente del tribunale per i minorenni e poi come sapete presidente del Tribunale.  io ero una figura notissima nel carcere, ma sono sempre stata rispettata soprattutto per merito di mia sorella.  Perché in carcere nessuno ha osato mai chiedere a mia sorella, che ha dato una lezione e una testimonianza di solidarietà che molti pregaioli non hanno neanche capito che cos'è, ha dato una dimostrazione di umanità che è servita a queste persone per capire che non c'è nulla da chiedere, anche ai potenti di turno, se non il ringraziamento per quella parte di umanità che hanno condiviso con chi si è sacrificato per loro ma ha creduto in quella loro parte di umanità.
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Il "teatro nudo" è il teatro che dà la voce appunto agli esclusi, a coloro che non sono all'interno della società e chissà se mai ci torneranno, a coloro che non hanno voce, a qualsiasi titolo e dovunque si trovino, non solo in carcere.  A me pare che dovendo fare un omaggio alla memoria di mia sorella non poteva essere altro che il "teatro nudo" come premio internazionale.

Il premio internazionale quest'anno si è aperto con una compagnia israeliana: è stato uno spettacolo molto forte...

Uno spettacolo molto forte.  Si chiama BPolar e naturalmente è una storia di bipolarismo, individuale ma anche collettivo.  Perché secondo me racconta un modo di essere del popolo di Israele. È stata un'esperienza bellissima, io sono molto grata a questi attori.  Per la prima volta davvero li ho abbracciati, sperando di riaverli ancora in teatro da me.

Che tipo di pubblico c'era?

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Il pubblico che viene sempre a teatro da me: ci sono state 550 persone la prima sera e altre 500, o poco più, la sera dopo.

Come vi finanziate?

**Noi abbiamo una serie di sponsor tradizionali, che sono anche le aziende, non è vero che non ci sono i mecenati, non sono le istituzioni pubbliche, possono essere le fondazioni, le banche, dipende, ma soprattutto abbiamo una credibilità crescente...  ah, debbo dirle anche un'altra cosa: i nostri spettacoli, soprattutto quelli del premio internazionale, sono tutti in streaming, quindi possono essere visti in tutto il mondo: dalla Groenlandia, come è accaduto per i nostri  Inouit che sono venuti qui l'anno scorso, e che sono una piccola enclave antropologicamente forse ormai quasi sconosciuta, che vive in Groenliandia, al Polo artico, sotto una sorta di protettorato danese, e sono loro che hanno detto desolati 'ma nei nostri villaggi nessuno vedrà mai questo spettacolo', e ho detto 'ma come? Lo facciamo in streaming, e così lo vedranno tutti'. 
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E adesso tutti i nostri spettacoli, salvo quelli un po' meno importanti, ma direi tutti, sono tutti in streaming.  Vengono visti in tutto il mondo e quindi... Noi abbiamo una grande credibilità, anche perché il premio internazionale ha un parterre di giuria assolutamente straordinario.

Vuole dirci qualche nome?

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**Certo. Tadashi Suzuki, teatro giapponese , Lev Dodin, San Pietroburgo, Eugenio Barba, Danimarca, abbiamo Livatinos del teatro greco, Oskaras Koršunovas, lituano, quest'anno tra l'altro essendo mancato Nekrosius, qualche giorno fa nel ricordarlo abbiamo anche ricordato che qualche anno fa avevamo premiato uno spettacolo lituano della sua scuola, Dream spill, uno spettacolo bellissimo, straordinariamente bello, tratto dal Sogni di Strindberg, e quest'anno abbiamo dato una menzione speciale a uno spettacolo molto audace di una giovane artista, sempre cresciuta in questo mondo di Nekrosius, "Trans, trans, trance".  Come vede, qui passa il meglio degli spettacoli di tutto il mondo. 
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**Ma soprattutto io sono particolarmente orgogliosa perché questo premio consente non solo di vedere ma anche di rendere noti questi attori, queste performance, che tra l'altro mi risulta che se vengono in anteprima in Italia, o a Milano, da me, poi hanno degli ingaggi in tutta Europa e nel mondo.  Questo mi rende particolarmente fiera, e soprattutto credo che sia un vero servizio alla società.   Gli studenti di teatro contemporaneo sono tanti, i ragazzotti e le ragazzotte che sperano di diventare tutti Eleonora Duse o non so chi, sono veramente tanti. Ma loro devono apprendere che il teatro è fatica.  Il teatro è un apprendimento continuo, umile come ho detto prima, ma soprattutto fatto di regole.  Quello che mi ha colpito molto di questi giovani israeliani è stata la regola applicata alla loro compagnia.  Sono forti, proprio perché sono capaci di comprendere la regola e di renderla propria.
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**È la loro vita che è regola. Per questo mi sono piaciuti tanto.   Ma devo dire che può essere un'esperienza...   C'erano molti ragazzi.  Molti ragazzi, anche del Piccolo, sono venuti a vedere lo spettacolo, e molto spesso vengono qui anche dal Politecnico, e insomma ci sono molti giovani.
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Certo, i giovani oggi sono distratti dalle tante attrazioni più o meno significative che hanno in giro, ma noi abbiamo anche qualche elemento per convincerli ad entrare in teatro. E una volta che ci entrano poi non ne escono più.

Torniamo alla magistratura. Che cosa le manca di quella attività?

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Che cosa mi manca?  Assolutamente nulla. Non mi manca assolutamente nulla. Io ho fatto con grande coerenza, con grande dedizione il mio lavoro, ho avuto anche grandissime soddisfazioni perché... va bene, ho fatto anche una grandissima carriera, tenga conto che ho fatto una grandissima carriera al femminile, quando in magistratura non c'erano ancora le donne. Poi le donne sono diventate tante, le mie ex colleghe adesso sono tantissime, e io adesso sono particolarmente contenta di questo, ma non mi manca assolutamente l'amministrazione della giustizia.  Anzi: oggi capisco che qualche errore che ho fatto forse avrei potuto evitarlo.

È più lacerante la giustizia o il teatro?

**Lacerante? La giustizia è un mestiere usurante, soprattutto in alcune dimensioni.  Mi sembra abbastanza ridicolo di essere sempre indicata come il super-magistrato, il bravissimo magistrato...   Io ho vissuto la condizione del mio tempo.  Ho fatto il magistrato nel mio tempo, difficile, complicato, con le disponibilità, anche intellettuali, che avevo a disposizione, e credo di aver servito il mio Paese. 
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Certo, non credo di poter dire che non sia stato usurante. Il teatro non è usurante, perché il teatro è passione. Il teatro ogni giorno propone qualcosa che ti fa sentire la novità della vita, ti fa sentire sempre in campo.   Questo in tribunale non è possibile, perché anzi, il giudice serio è sempre quello che vede una fotografia non sfocata, ma sempre una fotografia.

_Ho detto 'lacerante' perché pensavo al singolo caso, Lei invece ha detto 'usurante', il che mi fa pensare che per un magistrato è la quantità di casi fondamentalmente che usura, perché si deve passare rapidamente da...  _

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**No, scusi se la interrompe ma è usurante davvero per quello che ha detto Lei.  Non lacerante, ma usurante. È usurante perché ogni storia è fatta di un uomo, di una persona, di una donna, di una famiglia, cui bisogna dare delle risposte, e qualche volta, anzi, assai spesso non sono le risposte che si aspettano loro ma sono le risposte che sono determinate dalle circostanze, da ciò che appare dagli atti giudiziari e così via.
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**Se devo dire la parte più faticosa e forse anche dolorosa in certe occasioni è stata quella del mio mestiere di giudice minorile. Il giudice ordinario... poi io ero presidente del Tribunale, quindi mi occupavo solo dei maxi-casi eccetera, è già forse un po' diverso.  È faticoso perché l'organizzazione è l'organizzazione, e io però sono, penso, una buona organizzatrice.
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Il problema vero è sempre lo staff: quando Lei ha uno staff buono e che funziona, riesce a fare molte cose utili. Quando invece lo staff non funziona, per tanti motivi, purtroppo si faranno sempre cose modeste, mediocri, eccetera.  Ma questo...  Il giudice non si sceglie il suo staff: ce l'ha lì, lo trova...

**Il teatro è diverso: io per questo sono sempre molto critica e molto... come devo dire... rompiscatole.   Perché nel teatro, forse gli altri non lo sentono come me, ma io sento che il teatro se è una passione deve fare in modo che chiunque se ne occupi a qualsiasi titolo se ne occupi non stancamente, come se facesse l'impiegato del catasto, ma se ne deve occupare nel modo... Ci deve mettere tutto se stesso.  perché la passione impone che l'uomo si metta a disposizione della sua passione.  Lo so, non è facile. Oggi il mondo non è fatto di uomini che si sacrificano per le loro passioni. Però stando in un posto come questo si capisce che non si può essere che così.
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Per quanto riguarda il tribunale gliel'ho detto, insomma: lo staff, gli impiegati, i magistrati da dirigere... Se ha delle persone che sono all'altezza del compito può fare grandi cose...

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_Può sviluppare anche la passione   _

Soprattutto il senso del dovere e la responsabilità del ruolo. Ciò che oggi manca complessivamente in Italia, a mio giudizio, poi magari mi sbaglio, è che nessuno si abitua più o viene più abituato alle sue responsabilità. Questo è veramente drammatico. Ma questo dappertutto. Vale per il teatro, come per la magistratura.  Vale per la vita.

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