Con la Borsa in mente e l’Italia nel cuore – le strategie di Kedrion, il gigante italiano del plasma

Produzione di plasma-derivati
Produzione di plasma-derivati Diritti d'autore Kedrion - fotogramma da video
Di Diego Malcangi
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Nuovi centri di raccolta del plasma e occhi sempre più attenti al mercato USA per Kedrion, storica azienda bio-farmaceutica. Intervista al presidente, Paolo Marcucci, che prevede uno sbarco in Borsa in un futuro relativamente breve e un ruolo sempre attivo per sé. E l'azienda resta italiana

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Era appena finita un’estate di ripresa e di guerra, uno di quei periodi in cui le aziende che hanno potuto mantenere basi solide si guardano intorno in cerca di buone occasioni o di buoni ripari, uno di quei periodi in cui a volte l’Italia perde qualche gioiello di famiglia.

E arrivava anche la notizia della cessione del gruppo Kedrion a un fondo d’investimento, Permira. L’azienda della famiglia Marcucci veniva divorata da un fondo globale da 60 miliardi e c’era qualche ragione per temere che anche questa volta la storia sarebbe finita tra Amsterdam e Lussemburgo, o magari più a Ovest, con progressive delocalizzazioni verso Est.

Ma non è andata così: l’operazione ha consentito al gruppo di avere la liquidità necessaria per acquisire un’azienda britannica e consolidarsi sul mercato statunitense, con riverberi fino in Cina. E nello stesso tempo di mantenere sede e stabilimento principale in Italia, grazie alla permanenza dei soci italiani con un consistente 40% del nuovo gruppo.

Da gennaio ci sarà un nuovo AD, ma Paolo Marcucci, il figlio del fondatore, resterà come presidente, e avverte: conta di avere un ruolo attivo anche in futuro, e pensa allo sbarco in Borsa.

Abbiamo parlato con lui delle prospettive del gruppo e del particolare mercato dei plasma-derivati, ma anche delle difficoltà, delle delusioni, della tormentata vicenda delle fasi iniziali della pandemia, quando si sperava in una terapia al plasma. Che poi è arrivata, sì ma anche no. E c’è chi è rimasto triturato dalle polemiche di quel periodo. Pensiamo al dottor De Donno. 

Nell’intervista, che vi proponiamo nel video in versione integrale (e in sintesi parziale nella trascrizione), abbiamo cercato di capire la ratio di quella cessione al fondo Permira, il ruolo della famiglia Marcucci nel nuovo gruppo (il quinto al mondo per dimensione), e anche - nella parte non trascritta - l’importanza dei plasma-derivati in particolare per le malattie rare, gli investimenti e le strategie pubbliche necessarie.

“Ritenevamo che BPL fosse il nostro partner ideale - spiega Marcucci -: aveva una grossa quota di mercato negli Stati Uniti e aveva una propria produzione che poteva essere ampliata con una maggiore disponibilità di plasma. Noi avevamo una quota di mercato più limitata negli Stati Uniti e avevamo quantità di plasma significative. L’unione di queste due forze ci ha permesso di creare un gruppo più solido, con due vantaggi ulteriori: uno è che BPL aveva in corso, e ha completato, la registrazione di un prodotto importante come l’albumina nel mercato cinese – che è il primo mercato per crescita del consumo di albumina – e noi eravamo più indietro. E poi BPL ha la registrazione di un farmaco orfano che ci dà la possibilità di creare, insieme a un farmaco che noi produciamo in Canada, accesso al mercato americano in un segmento dei farmaci orfani che è molto importante.”

Ma l'azienda resta italiana?

_“Il controllo è passato al fondo Permira. Gli azionisti italiani hanno tutti venduto e hanno tutti reivestito. Gli azionisti originari di Kedrion erano la famiglia Marcucci con il 51%, poi CDP Equity che aveva circa il 25%, e poi c’era un fondo italiano, FSI, che aveva circa il 24%.
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Tutti noi abbiamo venduto al fondo, che ha creato le condizioni per cui si potesse procedere all’acquisto di BPL, e l’ha finanziato; e poi abbiamo reinvestito, quindi noi tre italiani abbiamo mantenuto poco meno del 40% del capitale della nuova industria, e abbiamo ottenuto di mantenere la sede della holding e la sede della società di controllo operativa in Italia, a lungo termine, senza una scadenza; e naturalmente siamo ben rappresentati nel CdA, oltre ad avere la posizione di chairman nella mia persona, che andrà nel lungo periodo. L’azienda quindi continuerà ad essere sviluppata dall’Italia. Guardiamo al mercato statunitense, che per Kedrion rappresentava il 40% del totale e per BPL il 90%, e ora vale quasi il 70% del mercato per la nuova Kedrion. Pensiamo di poter continuare a crescere negli USA, mantenendo la base operativa in Italia, oltre ai siti di produzione italiani ed europei rafforzati.”

Avete appena annunciato l’acquisizione di altri cinque centri di raccolta del plasma nella Repubblica ceca, mentre in Ungheria, dove avete uno stabilimento, avete fatto un accordo con un’azienda francese. Quindi sviluppate nello stesso tempo anche in Europa.

“Negli Stati Uniti abbiamo anche una consistente raccolta di plasma. Questa operazione ci ha dato la forza di ritornare a raccogliere plasma in Europa acquisendo una società che era in vendita in Repubblica Ceca - si chiama Unica – questa società gestisce cinque centri di raccolta plasma, ma noi riteniamo che questo possa essere il primo passaggio per poter consolidare la nostra presenza nel mercato della raccolta. In Ungheria abbiamo fatto un accordo di contro lavorazione con la francese LFB, perché aveva bisogno di più prodotto da mettere sul mercato, e quindi ci ha chiesto di lavorare plasma francese in Ungheria. In realtà noi in Ungheria avviene la fase iniziale, poi lo finiamo in Italia, e poi lo rimandiamo in Francia”

Di Kedrion s’era parlato, in termini anche piuttosto polemici, nella prima fase della pandemia, quando avevate ricevuto dal governo il mandato di avviare la sperimentazione sui plasma derivati per il Covid. In mezzo c’era il dottor De Donno, ci furono diverse polemiche. Poi che se n’è fatto, com’è finita quella sperimentazione?

“Noi non abbiamo ricevuto un esplicito mandato dal governo per sviluppare delle cose. Il governo ha chiesto a tutta l’industria farmaceutica, e in particolare a quella biologica, cosa si potesse fare.

Noi ci siamo fatti avanti con due progetti: uno era quello di cercare di utilizzare il plasma convalescente trasfondendolo, e questo aveva bisogno di un sistema di inattivazione, quindi di essere sicuri che in quel plasma convalescente non ci fossero altri virus attivi. Noi avevamo un sistema in licenza che permetteva di fare questa pulizia, di raffinare il plasma nei centri trasfusionali. Quindi abbiamo messo immediatamente a disposizione i reagenti e i diagnostici che servivano a questo fine e abbiamo cominciato a costruire cultura e a conoscere questo virus. La seconda cosa che abbiamo fatto è stato proporre – come hanno fatto anche altre aziende internazionali - la produzione di una immunoglobulina a partire da plasma iper-immune, cioè ricco di anticorpi anti-Covid, e abbiamo proposto un modo alternativo alla grandissima industria. Perché ritenevamo fin dall’inizio che non ci sarebbe stato moltissimo plasma convalescente da lavorare.

Poi abbiamo anche capito che non tutto il plasma convalescente era anti-Covid, ci dovevano essere delle caratteristiche particolari. Per cui ci siamo decisi a lanciare un programma non con le aziende più grandi, che si erano consorziate, ma una cosa strategicamente più piccola ma più efficace secondo noi – e sarebbe stato così - con un’azienda israeliana che ha un impianto molto più piccolo per la produzione di plasma-derivati, ed è approvata dalla FDA per la produzione di immunoglobuline specifiche. Questo ci ha permesso di arrivare abbastanza rapidamente alla sperimentazione clinica di un prodotto, negli ospedali israeliani, e ad avere un certo successo in Israele.

Purtroppo c’è sempre qualcuno che – si parla di plasma, o si parla di pharma – tende a speculare. E fa molta notizia dire che c’è un’azienda che specula sulla malattia e in particolare sul plasma che è oggetto di donazione.

Quindi purtroppo anche il povero dottor De Donno è finito in questo tritacarne di una situazione che ci ha portato poi a ritardare moltissimo i tempi dello sviluppo, perché non ci permetteva – la pressione mediatica e la politica che è molto sensibile, e poi stavano arrivando i vaccini e quindi il supporto al nostro progetto è venuto meno – noi avevamo bisogno di una modifica a una normativa perché ci avrebbe permesso di esportare il plasma in Israele. E invece abbiamo dovuto fornire plasma non italiano ma sostanzialmente americano. Il progetto l’abbiamo portato in fondo, abbiamo completato un primo ciclo di prove cliniche con un certo successo, pubblicheremo uno studio a questo punto non utilizzato a fini registrativi commerciali, ma pubblicheremo uno studio nei prossimi mesi.

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Il prodotto non l’abbiamo portato in registrazione perché oggi, oggettivamente, i vaccini sono un modo più efficace. E quindi non c’è una prospettiva commerciale per un prodotto come una gamma-globulina anti-Covid, nella realtà. C’era in quel momento, sarebbe stato molto importante averla perché non c’era alternative terapeutiche e i vaccini erano in vista ma poi sono arrivati dopo un anno. Quindi c’era una finestra in cui sarebbe stato molto utile avere un prodotto del genere, soprattutto per alcuni casi. Il prodotto funziona, ma va utilizzato molto presto sul paziente. Il prodotto ci sarebbe stato, c’è stato, ma commercialmente il confronto con il vaccino… Non è un prodotto che possa competere con i 15 miliardi di dosi dei vaccini. Non saremmo stati – né noi, né tutta l’industria messa insieme - in grado di fornire quei volumi, e soprattutto non avremmo potuto avere tutto quel plasma convalescente”

Arriva un nuovo Amministratore Delegato: Lei, dopo 25 anni spesi nell'azienda, penserà ad altro? Che farà? E quali sono le prospettive?

“L’azienda secondo noi rimarrà comunque legata a noi e alla famiglia, noi continueremo a essere legati non solo per la proprietà delle azioni che abbiamo ma anche perché c’è una legacy, c’è un’emozione che ci lega, e credo che leghi anche l’azienda a noi. Io da presidente prevedo di dare il mio contributo per tutto quello che è possibile fare. Sono disponibile a lavorare a supporto, a mettere a disposizione le mie conoscenze, i contatti, le relazioni. Ma abbiamo un nuovo Amministratore che è un uomo di grande esperienza, di grande conoscenza del settore, che viene per mettere insieme queste aziende e per fargli fare il prossimo passo. Quello che io ho fatto negli ultimi 25 anni chiediamo a lui di farlo nei prossimi cinque, o nei prossimi relativamente pochi anni. Con l’idea di portare poi l’azienda verso un’uscita – in particolare noi pensiamo alla Borsa – che possa permettere all’azienda di continuare a camminare nel lungo termine. Perché noi crediamo che ci sia spazio all’interno del settore, e che ci sia uno spazio anche all’interno dell’Europa, e un mercato ancora da sviluppare. Io mi sento di far parte di quest’azienda come presidente certo, ma anche come contributore nel futuro”.

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