Várhelyi: "Per avere pace e prosperità durature l'Ue deve allargarsi"

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Di Sandor Zsiros
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The Global Conversation ha ospitato il Commissario Olivér Várhelyi per cercare di capire come procede il processo di allargamento in vista del vertice di Tirana sui Balcani occidentali

The Global Conversation ha ospitato Olivér Várhelyi, commissario europeo per il vicinato e l'allargamento, per cercare di capire come procede il processo di allargamento in vista del vertice europeo sui Balcani occidentali.

Perché in tempi così incerti, con la guerra in Ucraina e la crisi energetica, l'allargamento dei Balcani occidentali dovrebbe essere una priorità per l'Europa?

Uno dei pochi aspetti positivi di questa guerra, sempre che si possa dire così, è la necessità ancora più chiara di allargare l'Unione europea. Abbiamo visto che i tre Paesi più colpiti dalla guerra della Russia contro l'Ucraina hanno deciso immediatamente di presentare una domanda di adesione, perché vedono l'adesione all'Unione europea come l'unico strumento, come l'unica garanzia di pace, sicurezza e prosperità a lungo termine. Ormai è chiaro che se l'Europa vuole creare pace, sicurezza e prosperità a lungo termine, deve allargarsi. Perché se le regioni circostanti non fanno parte dell'Unione europea, è chiaro che le vulnerabilità di queste regioni non potranno che aumentare. Ed è per questo che credo che questa guerra abbia dimostrato anche all'Unione europea che è nel nostro interesse allargarsi nei Balcani occidentali e successivamente nei Paesi del Partenariato orientale.

Che cosa può aggiungere a questo processo il vertice europeo sui Balcani occidentali che si terrà a Tirana?

Penso che ci sia sempre un elemento molto importante che continuiamo a dimenticare, e cioè che dobbiamo tenere i partner dei Balcani occidentali pienamente coinvolti e inclusi nei nostri dibattiti. In questo modo possiamo parlare delle questioni che ci stanno a cuore. Questioni che rappresentano una sfida per entrambi. Ad esempio, l'energia. La crisi energetica in Europa non ha confini. C'è una crisi simile nei Balcani occidentali. Ci siamo dentro insieme, perché la pressione migratoria sulla rotta dei Balcani occidentali è anche una pressione sull'Europa. E potrei continuare all'infinito. Ma ci sono anche cose praticabili che possiamo fare con i Balcani occidentali, in modo da favorire la loro partecipazione a molte delle politiche europee. Per esempio, speriamo di firmare l'accordo sul roaming che porterà i Paesi dei Balcani occidentali nella nostra area di roam like at home, il che significa che gli europei che visitano i Balcani e gli abitanti dei Balcani che visitano l'Europa potranno usare i loro telefoni in roaming alle stesse tariffe in Europa.

Uno dei paesi candidati, la Serbia, non è allineato al regime di sanzioni dell'Europa contro la Russia. Può mantenere il suo status di candidato mantenendo questa linea sulle sanzioni?

Non credo che abbiano la possibilità di tenersi fuori dalle sanzioni. Quello che vediamo è che la Serbia si trova in una situazione particolare rispetto agli altri Paesi dei Balcani occidentali. Non dimentichiamo che la Serbia deve ancora concludere il dialogo Belgrado-Pristina per arrivare a un accordo sulle modalità della coesistenza. Ed è per questo che le vulnerabilità della Serbia sono molto più alte quando si tratta di esposizione alla Russia. Però non bisogna neanche dimenticare che la Serbia è un nostro alleato e dobbiamo trattarlo come tale. La Serbia ha votato con noi durante tutte le votazioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, condannando la Russia per gli atti compiuti in Ucraina. Per me, questo è un messaggio politico molto forte quando si parla di sanzioni. Certo, dovremo assistere a un allineamento graduale e progressivo, ma sono molto fiducioso che arriverà anche questo. Ma prima dobbiamo anche vedere come possiamo fornire garanzie di sicurezza e stabilità alla Serbia a lungo termine.

Lei ha parlato del dialogo Belgrado-Pristina per la normalizzazione delle relazioni. Quale potrebbe essere l'esito di questo dialogo?

Credo che tutti noi sappiamo quale potrebbe essere l'esito del dialogo. Il riconoscimento del Kosovo come Stato indipendente da parte della Serbia. Ma perché ciò avvenga, la strada è ancora lunga. Credo che dovrà essere messo in atto un accordo politico che fornisca sufficienti garanzie sia alla Serbia che al Kosovo. Un accordo che crei pace e sicurezza a lungo termine per entrambi.

Ultimamente sui giornali sono usciti diversi articoli su un piano franco-tedesco per trovare una soluzione a questo problema. Lei ha visto questo documento? Pensa che possa essere una strada percorribile?

Sì, l'ho letto. Penso che possa gettare le basi per un accordo a lungo termine. Ma ci sono anche altri elementi su cui dobbiamo lavorare. Prima però dobbiamo ristabilire fiducia nel dialogo. Per questo è stato importante raggiungere un accordo sulla questione delle targhe. E per questo è stato molto importante poter procedere almeno con l'attuazione degli accordi precedenti.

Quando potrebbe entrare in vigore l'abolizione del regime dei visti Schengen per i cittadini del Kosovo?

Abbiamo grandi speranze che ciò avvenga già quest'anno. Sappiamo che il lavoro in seno al Consiglio è in fase avanzata, credo che la presidenza ceca abbia trovato un modo per farlo. Sostanzialmente ci aspettiamo una decisione nel giro di un mese. Spero che non ci siano sorprese dell'ultimo minuto e che si possa finalmente fornire questo strumento anche al Kosovo, l'ultimo Paese o entità della regione che ancora non ne gode.

Parliamo un attimo della Bosnia-Erzegovina, dove il separatismo è un pericolo reale. Lei ha appena incontrato Milorad Dodik, il leader dei serbi di Bosnia. Pensa che sia un partner affidabile per un percorso europeo della Bosnia?

Penso di sì. Naturalmente la politica è sempre anche una questione di personalità, ma non solo. La visita è stata una sorpresa anche per me, perché ho visto che - sulla base di un risultato elettorale molto chiaro, con chiare maggioranze sia nella federazione che a livello statale e anche nella Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, e con la nostra proposta al Consiglio di concedere lo status di candidato alla Bosnia-Erzegovina - le cose hanno iniziato a cambiare. E sembra anche, ma spetterà alle autorità bosniache dircelo, che possiamo aspettarci ancora di più entro la fine dell'anno. Se tutto andrà bene, assisteremo a una rapida ripresa del funzionamento delle nuove istituzioni. Credo che questa sia una notizia molto positiva. In questo bisogna riconoscere anche il contributo del presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina.

Le ong mettono regolarmente in guardia dal cosiddetto regresso democratico in Serbia. Come vede la situazione dello Stato di diritto?

Credo che siamo riusciti a cambiare radicalmente non solo la percezione, ma anche l'approccio del governo in materia di Stato di diritto. Sono state realizzate le riforme più importanti, come il referendum sul sistema giudiziario, un'importante modifica della Costituzione in relazione al sistema giudiziario, il programma per la libertà dei media. Naturalmente questo significa che il lavoro deve continuare. E ormai credo sia chiaro anche alle autorità serbe che i progressi complessivi nei negoziati di adesione, basati sulla nuova metodologia, sono sempre subordinati ai progressi compiuti nel settore dello Stato di diritto. Quindi credo che la nostra offerta sia molto chiara. Siamo pronti a procedere più rapidamente, grazie alla nuova metodologia. Ma per questo abbiamo bisogno che anche i Paesi candidati siano più veloci. Quindi, se la Serbia si muoverà più velocemente nell'area dello Stato di diritto, dovremmo essere in grado di muoverci più velocemente con loro anche nei negoziati di adesione.

A proposito di democrazia e Stato di diritto nei Balcani occidentali, lei è stato criticato da parte dei deputati del Parlamento europeo. Sostanzialmente dicono che state cercando di sminuire le preoccupazioni relative allo Stato di diritto in Paesi come la Serbia. Cosa risponde a queste accuse?

Innanzitutto, è stata la mia proposta a mettere in primo piano la questione dello Stato di diritto. La nuova metodologia è stata proposta per essere adottata dal Consiglio già nel febbraio 2020. Quindi, in pratica, nel primo trimestre di vita di questa Commissione. Significa che questo, come ho spiegato nel caso della Serbia, è l'altro parametro di riferimento in termini di progressi complessivi nei negoziati di adesione. Quindi accusarmi di sminuire lo Stato di diritto, come posso dire? Sembra più un gioco politico che una critica reale e fondata.

Quindi lei si considera un attore neutrale nel processo di allargamento.

Perché non dovrei vedermi così? Altrimenti non farei questo lavoro.

Parliamo della Macedonia del Nord. Si tratta di un Paese che può essere considerato un esempio di come il processo di allargamento possa restare bloccato per anni. Hanno aspettato 17 anni per i negoziati. Ora che i negoziati sono pronti a partire sono bloccati dalla Bulgaria. Quali sono le prospettive che questi dibattiti nazionalistici con i vicini possano essere superate nei Balcani occidentali?

Cosa intende per dibattiti nazionalistici?

In sostanza, il motivo per cui i bulgari bloccano i negoziati si basa sull'accettazione della lingua bulgara come lingua minoritaria e della minoranza bulgara come risorsa per la costruzione della nazione.

Credo che la questione sia più complessa. Prima di tutto, è molto chiaro che nei criteri di Copenaghen c'è anche la necessità di rispettare i diritti delle persone appartenenti alle minoranze. Nel caso della Macedonia del Nord e della Bulgaria, la questione è presente da tempo. L'altro criterio politico previsto dai criteri di Copenaghen è quello delle relazioni di buon vicinato. Questo è sempre stato un criterio. E non dimentichiamo che qualsiasi allargamento richiede il sostegno unanime di tutti gli Stati membri, perché non si tratta di una questione di politica estera. Non si tratta solo di buone relazioni o di cooperazione allo sviluppo. È molto di più. È una questione fondamentale. Si tratta di accogliere nuovi membri nelle nostre strutture. Si tratta anche della politica interna dell'Unione europea. Ed è per questo che queste questioni devono essere sempre prese in considerazione. Sono molto felice che, insieme alla presidenza francese, siamo riusciti a mettere sul tavolo un quadro politico e giuridico attraverso il quale noi e i due Paesi saremo in grado di gestire la questione e superare tutte le difficoltà. Inutile dire che nei Balcani questo tipo di questioni sono ricorrenti.

Pensa che l'allargamento dei Balcani occidentali possa avvenire nell'attuale quadro giuridico dell'Unione Europea? Lei ha parlato di unanimità, per esempio, ma il Parlamento europeo la sta mettendo in discussione.

Il Parlamento europeo ha sempre ottimi consigli su come dovrebbe lavorare il Consiglio. Lascerei al Consiglio la decisione su quali sono le regole e le condizioni con cui lavorare. Di certo non darei suggerimenti al Consiglio su come lavorare. Non trovo realistico pensare che, su questioni importanti come l'allargamento, che richiede anche la ratifica della modifica dei trattati istitutivi, gli Stati membri rinuncino al diritto all'unanimità.

Il presidente Macron ha proposto la cosiddetta comunità politica europea, che sta diventando una realtà. Molti sostengono che questi Paesi non dovrebbero ottenere la piena adesione all'Unione europea, ma una sorta di cooperazione rafforzata. Cosa ne pensa?

Non mi risulta che il Presidente Macron abbia detto questo. Quello che ricordo è che, quando è stata fatta questa proposta, è stato detto molto chiaramente che non si tratta di un'alternativa all'adesione o all'allargamento. A mio avviso, e lo abbiamo già visto con il primo incontro, è molto importante mantenere i nostri vicini molto vicino a noi. Se il nostri vicini non sono i nostri alleati più stretti, come può l'Europa essere un attore globale?

In che modo questi Paesi possono mantenere il sostegno dei cittadini ad una prospettiva europea? In alcuni Paesi dei Balcani occidentali c'è un crescente scetticismo, la gente pensa che l'Europa sia semplicemente troppo lontana.

Non sono d'accordo, ma accetto l'affermazione di fondo della sua domanda. L'affermazione di fondo, a mio avviso, è che la gente non vede ancora quando e come avverrà tutto questo. E questo è un grave errore politico commesso dalla precedente Commissione. Perché, non dimentichiamolo, la precedente Commissione aveva iniziato dicendo no all'allargamento. In pratica l'Europa ha voltato le spalle ai Balcani occidentali e al suo vicinato. Non c'è quindi da stupirsi che questo abbia avuto un impatto. Non c'è da stupirsi che la gente se ne ricordi. Ma se si guarda al bilancio di questa commissione, si scopre che abbiamo fatto di tutto: in primo luogo per tirare fuori il tema dell'allargamento dal pantano in cui l'aveva lasciato la commissione precedente. In secondo luogo, per riportarlo in cima all'agenda politica. E terzo, non concentrarci solo sulla bolla istituzionale di Bruxelles - ovvero: quanti capitoli? Quali Paesi? Quali sono candidati? Quali no? - ma parlare della vera questione. E la vera questione è l'integrazione reale sul campo. Quando questi Paesi potranno raggiungere l'Europa in termini di sviluppo sociale ed economico? Quando i cittadini di questi Paesi potranno godere dello stesso livello di accesso ai mercati europei? E quando noi potremo godere dello stesso livello di accesso a questa regione? Per questo motivo, oltre alla nuova metodologia che ha ripristinato la credibilità dell'intera politica di allargamento, abbiamo presentato un piano economico e di investimenti solido e concreto per i Balcani occidentali che sta mobilitando 30 miliardi di euro, pari a un terzo del pil dell'intera regione. Con questo piano stiamo affrontando le principali strozzature: abbiamo bisogno di rotte commerciali. Abbiamo bisogno di autostrade e ferrovie. Abbiamo bisogno di un nuovo sistema energetico. Abbiamo bisogno di energia rinnovabile. Abbiamo bisogno di fonti alternative di gas ed elettricità. Abbiamo bisogno di nuovi sistemi educativi, in modo che le persone acquisiscano le giuste competenze per trovare lavoro. Grazie a tutto questo, dovremmo essere in grado di accelerare la creazione di crescita e posti di lavoro. Un altro elemento molto importante è che stiamo anche promuovendo la cooperazione regionale, in modo che i Paesi all'interno della regione, quando diventeranno Stati membri, garantiscanolo stesso identico trattamento garantito dai Paesi che fanno parte dell'Unione Europea. Attraverso la cooperazione regionale si può fare crescere il pil di un terzo. Quindi abbiamo un piano, che ora inizia a dare i suoi risultati. E' il caso del roaming, delle autostrade e dei nuovi progetti energetici in cui l'Europa sarà in prima linea.

Secondo lei quale potrebbe essere il prossimo Paese ad entrare nell'Unione europea? E quando?

Non mi occupo di previsioni di questo tipo. Spero che almeno un Paese concluda i negoziati di adesione entro la fine del mio mandato.

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