Pasta e spaghetti: la ricchezza del grano ucraino perduto

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Di Paolo Alberto Valenti
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Si chiamava Taganrog ed era "l'oro" di Russia e Ucraina. Mentre la guerra torna nelle regioni che si affacciano sul Mar Nero crescono nel mondo i timori di moderne carestie

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Le guerre non sono forière solo di lutti e distruzione ma anche di un codazzo nefasto di riduzione dei prodotti di ogni tipo e nel mondo della gobalizzazione (già terremotato dalla pandemia) i contraccolpi delle guerre possono cadere come bombe sull'economia dei paesi più esposti. Com'è noto Russia e Ucraina sono il granaio del mondo e l'Italia ha sempre importato da questi paesi non solo varietà di grano ma anche mais, semi oleosi, fertilizzanti. Nell'ultimo anno il grano tenero (adoperato per fare pane e dolci) è giunto dall'Ucraina in Italia nella quantità di 42 mila tonnellate e nella misura di 116 mila tonnellate dalla Russia. Un volume pari al 5% del totale delle importazioni italiane di questo tipo di grano. Il tradizionale legame fra Italia e produttori di grano dell'Europa dell'est ha fatto del Bel Paese il maggiore creatore di paste alimentari al mondo.

Il mitico grano Taganrog

La prima guerra mondiale in Russia e la lunga ricaduta della Rivoluzione d'ottobre ebbero fra le loro vittime eccellenti le sementi del grano Taganrog (in russo: Таганрог), il cui nome è quello di uno dei porti del Mar d'Azov, come quelli del Mar Nero nei quali nel XIX secolo approdavano i velieri genovesi e napoletani per caricare un grano di primissima qualità che possedeva naturalmente il 17% del glutine e il 20% di sostanze azotate, fattori che lo rendevano un autentico "oro" alimentare per l'epoca. Il Taganrog pretendeva poi una sapiente macinazione e da questa partiva la filiera della produzione di paste che sono alla base dell'alimentazione di tantissime popolazioni, non solo mediterranee. Se ben prodotta questa farina conservava i preziosi fermenti del germe del grano, un tempo così ricco di vitamine e in particolare delle vitamine B ed E, definita "la scintilla della vita".

La storia in una ciotola di pasta

È curioso: nel preparare o gustare un piatto di spaghetti non pensiamo quasi mai alla storia che nasconde e tanto meno alla scienza dell'alimentazione e dell'arte culinaria che ci hanno permesso di portare in tavola un alimento tanto completo e gustoso. Com'è noto la storia delle paste alimentari prodotte col grano duro ha molto a che vedere con l'Italia e con le due patrie delle paste asciutte cioé Genova e Napoli. Il Taganrog era naturalmente un prodotto prezioso, frutto delle fertilissime pianure russe ma poi veniva mescolato con semole italiane che aggiungevano sapore alla consistenza alimentare offerta dal grano perduto a causa della violenza della storia. Svanito l'autocono Taganrog - divorato da masse in guerra che non riuscivano a coltivare neanche più adeguatamente i campi - l'Unione Sovietica preferì puntare sui grani teneri relativamente più duttili e gli italiani dovettero arrangiarsi, almeno per un po'.

La filiera degli spaghetti

La scelta della migliore qualità del grano era solo la prima tappa di una storia imprenditoriale di livello come quella che in Liguria nell'Ottocento venne avviata dalla famiglia Agnesi (Pontedassio, Imperia) o da quelle della zona di Gragnano presso Napoli che sfoderarono produzioni di assoluta eccellenza. La pasta divenne una elaborazione sostanzialmente più raffinata delle pizze o delle focacce di cui si nutrivano da secoli le genti italiche, soprattutto nel Meridione. Il pane e la pizza avevano come difetto la deperibilità. La pasta no: dopo la sua produzione poteva essere conservata inalterata per mesi, forse per anni. Per questo soprattutto nell'Ottocento l'importazione del grano russo raggiunse nel Regno delle Due Sicilie dei record straordinari. Il clima e l'acqua leggermente gassata del sottosuolo campano furono gli altri ingredienti magici per l'eccellenza del prodotto. Le matassine degli spaghetti messe ad asciugare sulle strade di Napoli potevano contare sugli zefferi dei venti vesuviano e ponentino che alternandosi essiccavano alla perfezione la pasta.

mangiatore di spaghetti
Pulcinellamangiatore di spaghetti

Una storia di impastatori

L'Ottocento, stagione del cavalier progresso e della borghesia trionfante, tiene a battesimo la nascita delle macchine, il momento in cui venivano architettate le prime rudimentali impastatrici in cui la forza motrice era ancora quella dell'uomo, le mani, ma anche i piedi come avveniva a Napoli. Si racconta che Ferdinando II di Borbone rimanesse sconcertato dopo una visita ai pastifici napoletani dalla visione di quei metodi primitivi e avesse affidato a un celebre ingegnere del tempo, Cesare Spadaccini, l'incarico di progettare una macchina impastatrice che evitasse l'uso dei piedi dei napoletani. Spadaccini però si ispirò a quello che aveva visto e ideò un "uomo di bronzo", quasi un antenato dei moderni robot, che con movimenti regolari pigiava l'impasto. L'innovazione ebbe vita breve perché Ferdinando si rifiutò di stanziare ingenti somme per la sua diffusione. Per tutto il secolo si continuò a impastare con i piedi e a mangiare con le mani come testimoniato anche in tanti film. Tuttavia visto che i vari tipi di condimento resero sempre più difficoltoso l'uso delle mani per portare le paste asciutte alla bocca entrò in campo di nuovo re Ferdinando che minacciò il suo ciambellano, Gennaro Spadaccini di licenziamento se non avesse rapidamente inventato uno strumento idoneo a portare i maccheroni alla bocca. Fu cosi`che il buon Gennaro, dopo giorni d'angoscia e notti insonni, presentò al re la forchetta a 4 punte con la quale l'intera corte delle Due Sicilie poté finalmente gustare la pasta condita senza perdere la dignità davanti ai commensali.

Tanta acqua al fuoco: la cottura

Ci vollero però secoli di esperienza culinaria, culminata nell'odierna scienza dell'alimentazione, per scoprire il modo migliore per cuocere e condire la pasta anche se alcuni sostengono che pure in Italia non si adottano sempre quei sistemi di cottura che sprigionano il meglio da questo alimento. Quali sono allora le regole d'oro dei raffinati intenditori? Eccole: tanta acqua al fuoco, dieci volte il peso della pasta, buttata la pasta si attendono due minuti di cottura, quindi si spegne il fuoco, si copre la pentola col coperchio ed un asciugatoio da cucina e si attende il tempo restante di cottura, dai 5 ai 10 minuti in generale.

Per fare della pasta un alimento completo il modo migliore per condirla è quello dell'olio extravergine e del formaggio, secondo il famoso detto del "cacio sui maccheroni" in quanto proprio il cacio contiene due amminoacidi, la lisina e la metionina, di cui la pasta è priva. Bisogna però ricordare che il condimento più sfizioso che contemplava anche il formaggio (in seconda battuta) lo inventarono i lazzaroni napoletani che alla fine del Settecento scoprirono quanto era buona la pasta "ca' pummarola 'n coppa". Il sugo di pomodoro con le sue ulteriori qualità antiossidanti diventava col suo colore e sapore il padrone degli spaghetti appena scolati. Il basilico genovese divenne in Riviera una ulteriore raffinatezza mediterranea.

La vera origine degli spaghetti

Sembra che questo piatto magico (che Lord Byron nel "Don Juan" inserisce fra gli alimenti afrodisiaci come le ostriche, le uova e il vino) voglia conservare per sempre il suo mistero. Si credette un tempo che fosse stato Marco Polo a far conoscere agli italiani un tipo di spaghetti preparati in Cina, ma documenti inconfutabili che sono stati conservati dalla famiglia Agnesi dimostrano che nel 1279 (tredici anni prima che l'autore de Il Milione tornasse dal suo favoloso oriente) il notaio genovese Ugolino Scarpa annotando i beni lasciati in eredità da un certo Ponzio Bastone, citava una "bariscella cum macaronis" (zuppiera con maccheroni, Archivio di Stato di Genova registro secondo, foglio 51) e un altro documento notarile ligure del 1363 elenca fra gli oggetti lasciati ad altri eredi una "àcaza lasagnaria", cioè un mestolo bucherellato per scolare la pasta. Era nato l'antenato degli scolapasta.

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