Crisi politica in Tunisia: aumenteranno le partenze verso l’Italia?

Crisi politica in Tunisia: aumenteranno le partenze verso l’Italia?
Diritti d'autore Hassene Dridi/Copyright 2021 The Associated Press. All rights reserved
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Di Euronews
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Gli esperti sono cauti: “Troppo presto per dirlo, l’incremento degli sbarchi per adesso è ancora legato alla pandemia e alla crisi economica, lontani i livelli raggiunti durante la Primavera Araba”

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In seguito alla recente crisi politica in Tunisia, da diverse testate italiane ma anche dallo stesso Paese nordafricano si sono levate voci, così come i timori, di una possibile nuova ondata migratoria verso l’Italia.

Gli esperti dicono che è prematuro fare una valutazione, perché i dati risentono ancora degli effetti della pandemia e della crisi economica.

Francesco Piobicchi, operatore di Mediterranean Hope, che lavora direttamente a Lampedusa - principale porta di ingresso per arrivare in Europa - spiega che la situazione al momento è ben diversa da quanto accaduto all’epoca delle Primavere Arabe.

"Chiaramente non possiamo paragonare la situazione attuale a quanto accaduto nel 2011, non è come durante la Primavera Araba, quando il Paese era stato colpito da una rivoluzione che aveva spinto decine di migliaia di persone ad andarsene.

È uno scenario diverso, il Paese è stato colpito dalla pandemia e da una crisi politica all'interno di una crisi già esistente: in questo momento non possiamo dire quale sarà l'entità di ciò".

Numeri in aumento

Con 4307 sbarchi dalla Tunisia nel solo mese di luglio, rispetto agli 857 di giugno (stando ai dati forniti da Mediterranean Hope), il numero degli arrivi a Lampedusa è in aumento.

Il trend, tuttavia, non è nuovo: la Tunisia è il primo Paese per numero di arrivi dei suoi cittadini in Italia.

Degli oltre 30.000 sbarchi avvenuti nel 2021, in almeno oltre 7000 di questi si tratta di migranti di nazionalità tunisina.

Tra le novità, è stata osservata la presenza di intere famiglie e di minori non accompagnati, in aumento nell’ultimo periodo.

Di recente, sia l’Italia che l’Unione europa hanno detto di voler sostenere l’economia tunisina, con lo scopo di aiutare il Paese a controllare e ridurre i flussi migratori in arrivo in Italia.

Nel 2020, il governo Italiano ha promesso alla Tunisia 11 milioni di euro per fornire supporto e materiali alla guardia costiera tunisina, affinchè possa essere più efficiente nel controllo delle frontiere.

Majdi Karbai, parlamentare tunisino residente in italia, ci racconta che ad oggi non è chiaro come le risorse siano state effettivamente investite, visto che le partenze continuano.

"Voler risolvere il problema dal punto di vista securitario è sbagliato - dice il deputato - serve soprattutto che i politici abbiano una visione e che sostengano lo sviluppo economico".

La fase che sta attraversando la Tunisia oggi rappresenta un’opportunità che, se non sfruttata, può solo portare ad un ritorno della dittatura.

"A seconda di chi sarà nominato Presidente del Consiglio - aggiunge - la Tunisia può trovare un compromesso e migliorare i rapporti con l'Italia e l'Unione europea, di conseguenza essere più brava a gestire la crisi migratoria: se fallisce, il rischio è di andare verso una dittatura".

Ad oggi, gli Stati membri non sono ancora riusciti a trovare un compromesso sul tema.

"Chiaro è che non è stato ancora raggiunto un accordo e non c'è un accordo tra gli Stati membri quando si tratta di mostrare solidarietà nell'offrire sostegno ai Paesi in prima linea nella crisi migratoria - afferma Sara Prestianni, responsabile del programma di migrazione e asilo EuroMed Rights - l'unico accordo che ha stato raggiunto riguarda principalmente i rimpatri e l'esternalizzazione dei controlli alle frontiere".

La Tunisia è uno dei pochi Paesi nordafricani che ha sottoscritto accordi con l’Italia per favorire i rimpatri dei cosiddetti migranti economici, tuttavia per il governo italiano non basta.

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E mentre gli Stati membri continuano a sostenere la linea del blocco delle partenze, il ministro degli Interni Lamorgese è tornato a chiedere maggiore solidiarietà tra i Paesi, affinchè si impegnino concretamente a rendere il meccanismo della redistribuzione più efficiente.

L'emergenza continua

Da qualche settimana vige una sorta di politica di emergenza in Tunisia: il presidente Kais Saied deve ancora nominare un nuovo primo ministro e tracciare una chiara tabella di marcia per il futuro del Paese.

Nel frattempo, coloro che potrebbero contribuire a plasmare il futuro continuano ad andarsene.

Bilal è nato e cresciuto sulla costa tunisina, da dove ha tentato più di una volta la pericolosa traversata del Mar Mediterraneo.

"Sono partito 12 volte, a far data dal 2011, l'ultima è stato nel 2017, sono andato anche 2, 3 volte l'anno".

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Per lui le persone continuano a cercare vie d'uscita a causa della mancanza di opportunità in Tunisia, ma crede che la presa del potere del presidente Kais Saied non scatenerà un esodo di massa, anzi.

"Non è vero, è l'esatto contrario: le persone sono felici e pensano meno all'emigrazione clandestina, bravo Saied.

Non è un colpo di Stato, avrebbe dovuto farlo molto tempo fa per aiutare la gente, altrimenti tutti emigreranno: se non lo avesse fatto, il Paese sarebbe andato a fuoco e tutti se ne sarebbero andati, uomini, donne, bambini e anziani".

Le autorità tunisine hanno una spiegazione bizzarra riferita alle partenze: per Saied, i giovani vengono pagati per lasciare il Paese illegalmente, con l'obiettivo di danneggiare la Tunisia dall'interno e i suoi legami con l'Unione europea.

Questo 19enne ha invece una versione diversa: "Non c'è futuro qui in Tunisia", dice sconsolato.

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Spera di attraversare l'Italia quanto prima e poi arrivare in Svizzera, dove vorrebbe diventare un calciatore: cercherà di farlo intrufolandosi in uno dei camion o dei container in partenza.

"Pericoloso? No, un certo numero di ragazzi del mio quartiere è andato via in questo modo, non sono troppo preoccupato per il rischio".

Tuttavia, il rischio è rappresentato dalla morte: Mehdi ha perso un vicino di 20 anni che si era intrufolato in un container refrigerato: il suo corpo congelato è stato trovato quando la nave era ormai giunta in Italia.

Crisi su crisi

Ad El Jellaz, il più grande cimitero di Tunisi, gli addetti lavorano 24 ore su 24 per scavare nuove tombe.

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Hassan, uno dei becchini, dice che il cimitero esiste da 900 anni ma non c'è mai stato un periodo come questo: dice di aver seppellito 800 vittime del Covid nell'ultimo anno.

La pandemia ha colpito duro in un paese segnato da anni di instabilità politica e crisi sociali ed economiche. Il Covid ha causato la morte di oltre 20mila tunisini. Ma secondo alcune stime il numero potrebbe essere tre volte superiore. La carenza di ossigeno e di personale è stata particolarmente grave durante la crisi, che si fa ancora sentire in tutto il paese.

Solo il 5% del budget della Tunisia è destinato alla sanità, tre volte meno di quanto raccomandato dall'OMS. Per molti tunisini, già esasperati dalla crisi economica, il Covid - e la percezione che il governo non stesse facendo abbastanza - è stata la goccia che fatto traboccare il vaso.

Finora solo il 9% dei tunisini è stato vaccinato. Il presidente Kais Saied ha annunciato per domenica l'inizio di una campagna di vaccinazione di massa, dopo che i paesi dell'Unione europea e la Cina hanno inviato alla Tunisia 6 milioni di dosi nell'ultima settimana.

Assicurarsi l'aiuto internazionale è il primo passo per accrescere la credibilità dell'attuale amministrazione e ripristinare almeno in parte la fiducia del popolo tunisino nella sua classe dirigente.

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