Donne e bambini tra le ultime vittime, ONU: "Cessino gli attacchi"

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AP Photo Diritti d'autore Khalil Hamra/Copyright 2021 The Associated Press. All rights reserved.
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Di Redazione italiana
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Gli edifici ad Ashkelon sono stati centrati da razzi di Hamas sparati da Gaza: causa intensificarsi degli attacchi, Israele chiude l'aeroporto di Tel Aviv

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Sempre più tesa la situazione tra Israele e Gaza: almeno due donne israeliane ed oltre 20 palestinesi sono le ultime vittime delle violenze tra le parti, dopo che gli edifici in cui si trovavano ad Ashkelon, nel sud di Israele, sono stati centrati da razzi di Hamas sparati da Gaza.

Un’altra persona, un'anziana donna, è in fin di vita: dopo aver sferrato attacchi, colpendo anche il palazzo di uno dei luogotenenti di Hamas a Gaza, Israele minaccia ulteriori fuoco e fiamme, mentre proprio Hamas e altri gruppi armati continuano a lanciare razzi verso Israele.

Nei precedenti bombardamenti israeliani, invece, tra le 28 vittime figurano anche 10 bambini; ci sarebbero anche vari feriti tra gli israeliani colpiti dalle decine di razzi lanciati dai palestinesi verso abitazioni civili.

"Il pensiero del segretario generale dell'ONU è per le famiglie delle vittime - dice Stéphane Dujarric, portavoce di Antonio Guterres - le forze di sicurezza israeliane devono esercitare la massima moderazione e calibrare l'uso della forza: il lancio indiscriminato di razzi e i colpi di mortaio contro i centri abitati israeliani sono inaccettabili, questa escalation deve cessare immediatamente".

Visto l'intensificarsi dei combattimenti, Israele ha chiuso l'aeroporto di Tel Aviv, mentre l'Esercito ha schierato ulteriori batterie di artiglieria al confine con la Striscia di Gaza, operazione che in codice è stata denominata "Guardiano delle mura'.

Un segnale che secondo i media indica che l'apparato militare israeliano si prepara ad un conflitto ancora più duro. Il ministro della Difesa, Gantz, si appresta inoltre a richiamare 5000 riservisti.

L'antefatto

L'Esercito israeliano ha registrato il lancio di almeno 150 razzi: Hamas aveva lanciato un ultimatum nella giornata di lunedì in cui dava tempo fino alle 18, ora locale, per far ritirare le truppe israeliane dalla spianata delle Moschee, epicentro dei disordini degli ultimi giorni.

La moschea si trova in una collina, luogo sacro per Islam e per gli ebrei: le tensioni per quello che i musulmani chiamano il Nobile Santuario e gli ebrei il Monte del Tempio, sono all'origine di ripetuti attacchi di violenza in passato.

In una dichiarazione, Ismail Haniyeh, leader di Hamas, ha ammonito che gli attacchi continueranno fino a quando Israele non porrà termine a aggressioni e terrorismo a Gerusalemme

Il premier Benjamin Netanyahu incontrando i vertici militari evocando il timore di una escalation dichiarava:

"In quello che è il giorno di Gerusalemme, organizzazioni terroristiche di Gaza hanno oltrepassato la linea rossa e ci hanno attaccato con missili colpendo la periferia della città. Israele risponderà con grande forza. Non tollereremo attacchi sul nostro territorio, sulla nostra capitale, su i nostri cittadini e sui nostri soldati.

Per settimane, le due comunità hanno animato scontri, soprattutto notturni.

Ragioni vecchie e nuove dello scontro

Tra i motivi di scontro, la chiusura della piazzetta davanti alla porta di Damasco, che dà sul quartiere musulmano della Città Vecchia con barriere metalliche per evitare che il luogo diventasse un punto per organizzare le proteste. Non c'era modo di giungere nella piazzetta effettivamente, e questo elemento ha costituito una miccia detonante in un clima già elettrico, sostengono adesso gli analisti.

A esacerbare animi e spiriti l'ordinanza di Gerusalemme di sgomberare il quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, per il quale gli israeliani conducono una battaglia per ritornare in possesso di vecchie proprietà.

La Corte Suprema ha anticipato un suo pronunciamento a questo riguardo e domenica di fatto ha bloccato gli sfratti e rinviando una decisione foriera di altri malumori.

Infatti alcuni coloni oltranzisti si sono visti riconoscere in tribunale la conferma del diritto di proprietà su alcuni edifici che appartenevano a ebrei prima della nascita dello Stato di Israele nel 1948. I palestinesi che ci abitano, vivono lì da oltre 60 anni.

(Vecchia) tattica del temporeggiare per un (vecchio) conflitto: che soluzione è?

Per Yara Hawari, analista del think-tank Al Shabaka, che ha sede a Ramallah, la pronuncia della Corte suprema, in effetti, postpone semplicemente uno sfratto che per molti è inevitabile.

"È la tattica israeliana, non pronunciano la parola fine, non dicono che i palestinesi potranno restare nelle proprie abitazioni, ma spostano l'attenzione dai fatti reali all'eterno conflitto religioso , piuttosto che sul fatto che i palestinesi si oppongano allo sfratto".

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A fargli da contraltare Nimrod Novik, dell'Israel policy forum, ex consigliere di Shimon Peres: "Se Gaza decide di lanciare dei razzi su Gerusalemme, non c'è alternativa se non una risposta altrettanto forte. Ma temo che cerchiamo di analizzare un evento occasionale perdendo di vista il fatto più importante: finché il conflitto israelo-palestinese non sarà risolto, avremo sempre questi incidenti".

La battaglia per Gerusalemme secondo Daniele Santoro

La battaglia per Gerusalemme, come ricorda Daniele Santoro, in realtà è una battaglia di quelle che contano:

"La Polizia israeliana ha represso con la forza le proteste palestinesi nella città vecchia di Gerusalemme, in particolare nell’area di preghiera della moschea di al-Aqsa.

Gli scontri sono avvenuti nell’anniversario della conquista della sezione orientale della città santa da parte dello Stato ebraico, nel 1967, e costituiscono il culmine della violenza impiegata da Israele contro i palestinesi nel corso del mese di Ramadan".

La questione palestinese è viva, dice ancora Santoro, "in termini emotivi e geopolitici: malgrado non sia più il magnete regionale, continua a orientare sentimenti e percezioni delle nazioni islamiche, dal Marocco al Pakistan.

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Lo rivela l’imbarazzata ipocrisia con la quale Emirati Arabi Uniti e Bahrain – le due monarchie del Golfo che hanno normalizzato le relazioni con Israele nell’ambito degli accordi di Abramo – sono stati costretti a condannare “gli atti di violenza commessi da gruppi di estrema destra nella Gerusalemme Est occupata.

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