Afghanistan in lutto per le tre giornaliste uccise a sangue freddo

Jalalabad, 3 marzo: i funerali di Sadia Sadat
Jalalabad, 3 marzo: i funerali di Sadia Sadat Diritti d'autore STR/Copyright 2019 The Associated Press. All rights reserved.
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Di Antonio Michele Storto
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avevano tutte tra i 18 e i 20 anni le giornaliste uccise in due imboscate a Jalalabad: una campagna di attentati che sta rimescolando le carte negli accordi pace che il prossimo maggio dovevano portare i soldati USA fuori dal paese

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L'Afghanistan resta sgomento mentre le spoglie di Sadia Sadat vengono seppellite dai familiari. Sadat è una delle tre giornaliste - tutte tra i 18 e i 20 anni - che martedì sono state freddate a colpi di pistola nella città di Jalalabad, al culmine di una serie di attentati che stanno esasperando un paese fin troppo abituato a conflitti e violenze.

"Ha lavorato per circa due anni per Enikas TV" racconta il fratello Rohan. "Era una ragazza timida ma attiva, e da sempre si batteva per i diritti delle donne. Sperava di andare all'università a studiare legge; ma come vedete l'abbiamo sepolta qui con tutte le sue speranze".

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Jalalabad (Afghanistan) 3 marzo: preghiera durante i funerali di Sadia SadatSTR/Copyright 2019 The Associated Press. All rights reserved.

Le giornaliste, tutte impiegate presso la stessa emittente, sono state uccise in due attacchi separati, entrambi avvenuti nel pieno centro cittadino. Di recente, studenti, giusristi, attivisti e operatori dei media sono finiti al centro di una campagna di omicidi a tamburo battente che si è andata intensificando con il procedere dei colloqui di pace tra governo e Talebani.

Il rebus delle responsabilità

Attacchi quasi sempre rivendicati dallo Stato islamico, dietro i quali però, secondo funzionari e analisti internazionali, potrebbero celarsi proprio le frange più estremiste dei talebani, che in questo modo sarebbero intenzionate a disfarsi di alcuni agguerriti avversari.

Una strategia che, in questo caso, potrebbe rivelarsi però un boomerang per il gruppo fondamentalista: la polveriera afghana, già al centro del summit Nato dello scorso 18 febbraio, ha portato il neo-presidente Joe Biden a riconsiderare la tabella di marcia stilata da Donald Trump per il ritiro delle truppe statunitensi. Di recente, dal Pentagono si sono fatte sempre più insistenti le accuse rivolte ai talebani circa il mancato rispetto degli accordi ed è quasi certo che i soldati americani non lasceranno il paese a fine aprile, come previsto in precedenza.

Accordi nulli?

E anche nel resto della NATO, le prese di posizione si fanno sempre più chiare: il segretario generale Jens Stoltenberg ha detto che l'organizzazione lascerà l'Afghanistan solo quando le condizioni di sicurezza lo permetteranno, a prescindere dalle scadenze, sempre più vicine, concordate con i Talebani. L'alleanza ha attualmente poco meno di 10mila soldati che in Afghanistan agiscono principalmente come addestratori e consiglieri delle forze di sicurezza locali.

La maggior parte di loro non sono statunitensi, ma per gli alleati sarebbe quasi impossibile proseguire se Washington decidesse di ritirare i mezzi di trasporto, logistica e supporto fondamentali per l'operazione.

Il presidente Joe Biden è attualmente impegnato a rivedere l'accordo stilato sotto l'amministrazione Trump, che aveva indivituato nel primo maggio la data per il ritiro finale delle truppe americane.

A Washington, le richieste di un posticipo si fanno sempre più pressanti: l'ipotesi più probabile è che la nuova amministrazione chieda di tornare al tavolo dei negoziati, mantenendo nel frattempo in loco un contingente più piccolo e basata sul lavoro di intelligence.

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