Abbigliamento, dalla crisi Covid alla svolta green: quale futuro?

Abbigliamento, dalla crisi Covid alla svolta green: quale futuro?
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Fatturati a picco lungo tutta la filiera. La crisi non impedisce il ripensamento del settore: a quando la svolta ''green''?

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L'industria globale dell'abbigliamento resta al palo: un crollo verticale alla luce delle nuove chiusure Covid.
Secondo la società di consulenza McKinsey, il valore dell'abbigliamento invenduto in tutto il mondo, nei negozi e nei magazzini, varia da 140-160 miliardi di euro, più del doppio dei livelli normali.

Alcuni grandi rivenditori stanno ancora trattando i vestiti dell'anno scorso, che sarebbero stati adesso venduti a prezzo di saldo in tempi normali. La catena britannica Primark, per esempio, ha dichiarato di avere negli scaffali merce per circa 150 milioni di sterline (205 milioni di dollari), in relazione alla primavera/estate 2020 e 200 milioni di sterline per l'autunno/inverno.

La crisi non impedisce però di ripensare il settore: l'ipotesi avanzata riguarda l'introduzione, da parte dell'Unione europea, di una legislazione radicale per incoraggiare produttori, rivenditori e consumatori a diventare "verdi".

Le raccomandazioni includono l'abbandono di risorse non rinnovabili, prodotti chimici e fertilizzanti.

Urska Trunk è responsabile della campagna per una filiera dell'abbigliamento più sostenibile: "Quello che la Commissione europea può fare - spiega - è assicurarsi che l'industria della moda sia effettivamente responsabile dei rifiuti della sua sovrapproduzione. Come? Facendo in modo che , quando i consumatori non useranno più i loro articoli, sarà responsabilità e onere dei produttori raccogliere questi articoli, riutilizzarli e riciclarli".

L'industria della moda è responsabile di un quinto delle acque reflue a livello globale, consuma più energia di quella che serve alla navigazione e all'aviazione e, entro il 2050, si prevede che rappresenterà e, entro il 2050, si prevede che rappresenterà il 25% del saldo di carbonio esistente al mondo.

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