Caro collega uomo ma perché guadagno meno di te?

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Di Paolo Alberto Valenti
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Gli ultimi dati Istat dimostrano che lo scarto salariale fra donne e uomini in tutti i settori lavorativi favorisce sempre il sesso forte. La pandemia ha peggiorato le cose

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La domanda in tante se la fanno spesso e in moltissimi ambiti lavorativi e non solo in Italia: "Ma perché io guadagno meno di te, collega uomo?"

L'impatto della crisi economica e sociale mostra adesso quanto la disoccupazione delle donne sia diventata più grave rispetto a quella maschile. Secondo l'Istat a dicembre gli occupati sono diminuiti di 101.000 unità: 99.000 sono donne e appena 2.000 uomini.

Come previsto nel dicembre 2020 l’occupazione è ancora diminuita ed ha interrotto il trend relativamente positivo che tra luglio e novembre aveva portato a un recupero di 220 mila posti di lavoro. Resta il dato sul decremento di attività lavorativa che flagella soprattutto le donne.

La dimensione della disoccupazione

In termini assoluti la disoccupazione era calata in estate grazie ai contratti stagionali. Finita la bella stagione col ritorno anche della virulenza dell'epidemia le schiere dei disoccupati hanno ricominciato a lievitare. La disoccupazione in Italia si attesterebbe almeno al 9% della popolazione attiva e investe quasi tutti i settori. I lavoratori autonomi sono diminuiti a dicembre di 79.000 unità (80%), i dipendenti di 23.000 unità.

Il blocco dei licenziamenti e la "bomba sociale"

Nell'arco dell'anno i lavoratori autonomi sono scesi di 209.000 unità. Tra i lavoratori dipendenti a pagare il conto sono solo coloro che hanno contratti a termine che scendono di 393.000 unità, a fronte di un aumento di 158.000 unità di quelli permanenti grazie al blocco dei licenziamenti.

"Se il blocco non verrà prorogato - avverte la Cgil - ci troveremo di fronte a una vera e propria bomba sociale". Una preoccupazione molto viva anche al Quirinale come segnalato più volte dal presidente della Repubblica Mattarella. Donne, giovani, lavoratori autonomi hanno già pagato un prezzo altissimo, destinato a salire qualora non si mettano in campo strumenti straordinari e innovativi per governare la fase di transizione che verrà determinata dall’onda lunga della crisi.

Secondo il presidente della fondazione Adapt Francesco Seghezzi, il 2020 lascia in eredità "uno scenario assolutamente drammatico calmierato solo dal fatto che è ancora in essere il blocco dei licenziamenti".

Il flagello delle diseguaglianze

Le conseguenze della pandemia da Covid-19 vengono quindi pagate in percentuale altissima dalle donne con l'aggravamento delle diseguaglianze già esistenti, ma di differenze ne sono sorte anche di nuove, aveva sottolineato a nome della CGIL, Susanna Camusso, responsabile politiche di genere per il suo sindacato. Le lavoratrici restano protagoniste in tutti i settori dalla distribuzione alla sanità, le pulizie fondamentali per contrastare la pandemia, sono in forze spesso negli ambiti più critici come quello sociosanitario, nel settore dell'insegnamento e culturale.

Lo squilibrio si accentua nella ripartizione degli incarichi sociali a partire dalla gestione delle famiglie e poi esplode nel pesante differenziale retributivo. Le donne - per la cura dei figli - sono spesso costrette a scegliere contratti a tempo parziale, sono in prima fila nelle occupazioni precarie, tutte situazioni che pretendono un reale riscatto economico e sociale. Discriminazioni e disuguaglianze di genere nel lavoro andrebbero aggredite con assoluta determinazione.

L'Italia fra i casi peggiori

C’è da dire che, come buona parte del mondo, l’Italia non brilla per opportunità garantite alle donne sul posto di lavoro. Nella pubblica amministrazione sono il 56,2%, ma sono in minoranza per quanto riguarda le posizioni dirigenziali. Solo nel settore scolastico le donne sono numerose, in quest'ambito detengono il 66% dei ruoli di vertice. In tutti gli altri campi, invece, sono in minoranza: sono solo il 42,4% tra i prefetti, il 34,3% nei ministeri, il 22% nella sanità, il 20% all’università e il 13,2% in polizia. Numeri molto bassi, che dimostrano come la situazione in Italia non sia affatto rosea e migliore degli altri paesi.

Va un po’ meglio nel settore privato invece, dove una legge ad hoc emanata nel 2011 ha indotto una serie di miglioramenti per le donne. Quell’anno erano solo il 7,4% le donne a capo dei Consigli d’amministrazione nelle società quotate in borsa, ma con l’introduzione della legge questo numero è progressivamente aumentato. Negli ultimi anni siamo arrivati al 33,6%.

Pensioni in Europa

L'ecosistema viziato dalle minori retribuzioni per le lavoratrici implica anche pensioni più basse per le donne. Nel 2019, le donne dell'UE di età superiore ai 65 anni hanno percepito una pensione mediamente inferiore del 29% rispetto a quella degli uomini. Tuttavia con la riduzione delle differenze di trattamento fra uomini e donne anche il divario pensionistico di genere un pochino si riduce; si parla di una differenza ormai inferiore di quasi 5 punti percentuali (pp) rispetto al 2010 (34%).

Forti differenze tra i paesi UE

Poi però ci sono le differenze fra paese e paese, l'entità del divario varia notevolmente. La differenza più flagrante è stata osservata in Lussemburgo, dove le donne di età superiore ai 65 anni ricevevano il 44% in meno di pensione rispetto agli uomini. Il Lussemburgo è tallonato da Malta e Paesi Bassi (entrambi 40%) poi si collocano Cipro (39%), Austria (37%) e Germania (36%). La situazione migliore, sul criterio della differenza di reddito da pensione tra donne e uomini, è quella dell'Estonia (2%), seguita - in crescendo - da Danimarca (7%), Ungheria (10%), Slovacchia (11%) e Repubblica Ceca (13%).

Il caso Google

Era il 2017 quando tre dipendenti di Google decisero di denunciare il colosso di Mountain View con la grave accusa di disparità salariale legata al genere, per aver negato loro evidenti opportunità di carriera e averle pagate meno degli uomini nella stessa posizione nell'organigramma aziendale, gli uomini sarebbero meno pagati delle colleghe donne da allora.

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