Primavera egiziana dieci anni dopo, perché tutto and``o storto

street cairo
street cairo Diritti d'autore AFP
Diritti d'autore AFP
Di Sergio Cantone
Condividi questo articoloCommenti
Condividi questo articoloClose Button
Copia e incolla il codice embed del video qui sotto:Copy to clipboardCopied

Primavera egiziana dieci anni dopo, perché tutto and``o storto. Dall'autoritarismo morbido di Mubarak al militarismo di Al Sissi, passando per i Fratelli musulmani. E niente democrazia.

PUBBLICITÀ

Le stagioni non sono più le stesse, e nemmeno le primavere... arabe.

Cosa succede al Cairo dieci anni dopo la grande rivolta di piazza Al-Tahrir che portò alla caduta del presidente Hosni Mubarak, deceduto in disgrazia poco meno di un anno fa?

I movimenti democratici egiziani e arabi sognarono in quel 25 gennaio 2011 un nuovo inizio senza Rais totalitari di turno e clerocrazie barbute. Non andò così.

È la dura legge di Murphy, applicata (e parafrasata) alla politica: "se una sollevazione piena di buone intenzioni può andar storta, andr``a storta".

Infatti, dopo la caduta di Mubarak, seguirono diciassette mesi di transizione, gestiti alla bene e meglio dai militari e da quello che restava dell'entourage di Mubarak. L'economia, già non florida, andò a rotoli, anche perché erano gli anni in cui l'occidente stava curando le feriti della grande depressione seguita alla crisi del 2008.

Nella potenza regionale egiziana il tempo stringeva dunque. Si organizzarono elezioni democratiche. Vinsero i Fratelli Musulmani con una maggioranza chiara, e il loro leader, Muḥammad Mursī ʿĪsā al-ʿAyyāṭ, meglio conosciuto come Mohamed Morsi, divenne presidente nel 2012.

L'Egitto ha da sempre un ruolo cruciale per la stabilità del Medioriente, di nuovo turbolento dopo le Primavere arabe: guerre tribali e di fazione in Libia, conflitto violento in Siria, Irak convalescente e Turchia ambigua.

Per queste ragioni Morsi (ingegnere chimico di formazione statunitense) pur evocando il ruolo normativo della Sharia intraprese politiche pluraliste. Era infatti la grande occasione storica di trasformare i Fratelli Musulmani in una grande forza di governo e non più di lotta e, agli occhi di molti, di terrorismo jihadista.

Anche in questo caso, come in quello di Mubarak, fu determinante la divaricazione delle politiche statunitensi. Washington era tetata di provare la Fretellanza musulmana, ma non andò fino in fondo.

Morsi fu spodestato nell'estate del 2013 con un colpo di stato militare che portò al potere il suo stesso ministro della difesa, ʿAbd al-Fattāḥ al-Sīsī, un alto ufficiale dell'esercito, che divenne a sua volta presidente:

I militari scatenarono una dura repressione contro i Fratelli musulmani. Molti vennero uccisi e altri imprigionati.

Lo stesso Morsi si spense nel 2019 per arresto cardiaco durante un processo. L'ex Capo dello Stato era già malato.

E cosa ne fu dell'opposizione democratica, che sognava una società aperta per tutto il mondo arabo, grazie al retei sociali e alle Twitter Revolution?

Lina Atallah, giornalista alla testata di opposizione Mada Masr, esprime il suo disincanto, rispetto alla magia di dieci anni fa:

"Abbiamo subito un'ondata di restrizioni dei diritti umani in genere. Qui, in Egitto. Sono stati arrestati i nostri colleghi membri dell' Iniziativa egiziana per i diritti della persona, che è una tre le più importanti e, ormai delle poche, organizzazioni per i diritti umani rimaste nel Paese".

In realtà, mentre in Tunisia fu chiaro fin da subito che gli interessi geopolitici delle grandi potenze occidentali e del mondo arabo convergessero sull'idea di una sperimentazione democratica. L'ex colonia francese, dirimpettaia dell'Italia, era abbastanza piccola e quieta per fungere da laboratorio.

Mentre l'Egitto, con le sue giovani masse turbolente e la sua taglia politico-militare, sarebbe stato un esperimento da apprendisti stregoni.

Quindi, l'ipotesi di creare una democrazia egiziana non era proprio negli inteessi dei grandi attori esterni. E soprattutto non lo era mai stata stato, neanche nei momenti più emozionati della rivolta giovanile.

PUBBLICITÀ

Mohamed Lotfy, fondatore e direttore dalla Egyptian Commission for Rights and Freedom, descrive un quadro attuale molto duro:

"Il fatto che funzionari e istituzioni per la sicurezza dello Stato agiscano al di sopra della legge, pur essendo i resposnabili delle violazioni, significa che il potere giudiziario è incapace, o non voglia, dare giustizia alle vittime e radiare gli agenti responsabili delle violenze mettendoli sotto accusa".

Il caso Regeni è l'atto probatorio di tutto questo. Un giovane ricercatore che aveva creduto in Egitto democratico e addirittura nei diritti dei lavoratori locali, finito in un gioco più grande di lui e uccsio brutalmente da quei funzionari, a libro paga di Al Sisi, insignito della Legion d'onore a Parigi, dopo essere stato ricevuto dal presidente Macron con tutti gli onori. La verità è che Il Cairo è un grande acquirente di armi occidentali, anche italiane.

Condividi questo articoloCommenti

Notizie correlate

Egitto, decine i detenuti legati all'Europa: chi sono gli "altri" Zaky

Francia-Egitto: diritti umani, Libia, e Islam. I nodi da sciogliere

Attacco dell'Iran, G7: “Sostegno a Israele, evitare escalation in Medio Oriente"