Fiducia della Camera al governo Conte: 321 a favore, 259 contrari, 27 astenuti

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Poco prima del voto il presidente del Consiglio aveva fatto un appello alle "forze volonterose" e dichiarato: "Crisi incomprensibile, Paese sgomento".

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Il premier Conte incassa la fiducia al suo governo: con  321 voti a favore, 259 contrari, 27 astenuti la Camera approva. Poco prima del voto il presidente del Consiglio aveva fatto un appello alle "forze volonterose" e dichiarato: "Crisi incomprensibile, Paese sgomento". Un discorso in fondo anche di notevole apertura all'insieme dell'arco costituzionale per individuare nuovi possibili sostenitori.

Il cruciale passaggio al Senato

La fiducia della Camera è un buon punto di partenza ma per Giuseppe Conte, dal voto al Senato in poi, la strada sarà tutta in salita, uno slalom nel corso del quale il premier dovrà fare i conti con i malcelati timori nella maggioranza sul ritorno alle urne e con un rimpasto  al quale ormai sembra obbligato. L'opzione forse meno gradita resta quella di salire al Quirinale da dimissionario per dar vita ad un Conte-ter. Con un dato, da tener presente: se il presidente del Consiglio salirà al Colle per rassegnare le dimissioni, chiedendo tempo per cercare una maggioranza, il Capo dello Stato non potrà far altro che avviare le consultazioni e, verificata la disponibilità delle forze politiche, affidargli quindi un incarico esplorativo.

Una situazione molto delicata

Conte vive con prudenza le ore in cui si deciderà il suo destino. I numeri del Senato non possono non preoccuparlo e l'obiettivo di rendere irrilevante Italia Viva appare, per ora, poco meno di un'utopia. Nella strategia del premier, infatti, il traguardo massimo, a Palazzo Madama, sarebbe quello di incassare un gap tra il sì alla fiducia e i voti dell'opposizione superiore alle 18 unità, ovvero al numero di senatori di Italia Viva. Ma, se da un lato le telefonate ai "volenterosi" sono tutt'altro che finite, dall'altro, nel gioco di specchi tra centristi e renziani sul mantenere altissima la posta, a farne le spese potrebbe essere proprio il premier. E nei corridoi di Montecitorio più di un pentastellato, dopo aver issato il suo scudo d'ordinanza a difesa di Conte, si chiedeva se davvero lo showdown sia stata una buona idea: "così il rischio è di tornare al voto".

Una partita a tutto campo

Conte proverà a giocare la sua partita su un doppio binario: quello del tempo e quello del Recovery Plan, che secondo le richieste europee dovrà essere pronto entro fine febbraio. Proverà, al di là della trattativa su rimpasto e programma, a muoversi in equilibrio fra diversi aspetti - dai contenuti alla composizione della task force, che l'Ue in qualche modo vuole - del Piano di Ripresa e Resilienza, sul quale alla Camera fa una netta apertura anche al contributo delle opposizioni.

L'irritazione con l'artefice della crisi

Intanto il premier non può permettersi di escludere a priori il rientro dei membri di Iv. Il suo "no", di fatto, è diretto quasi esclusivamente a Matteo Renzi. Nel discorso a Montecitorio ha volutamente  scelto di non citarlo ma a Palazzo Madama, il suo intervento si prevede più duro nei confronti dell'ex premier. "Conte ha seguito una sua linearità istituzionale. Aveva invitato Renzi a non ritirare le ministre spiegando che così Iv non poteva rientrare al governo, e la mossa di Renzi è stato uno strappo troppo forte. In Aula Conte ha provato a tracciare anche una traiettoria politica definita. Quella di una coalizione che comprenda, oltre a M5S, Pd e Leu anche il Centro.

Duello al centro fra Conte e Renzi

E in quel "farò la mia parte" il premier evoca, in qualche modo, un impegno politico in prima persona per amalgamare la coalizione. Prove generali per una effettiva "discesa in campo"? L'aspirazione probabilmente è quella di smontare la macchina renziana votata a presidiare il centro politico del paese ma con aspirazioni diverse. Un'area che, sottolinea Conte in un passaggio del suo discorso, sembra quasi rimandare all'era del pentapartito e comprenda liberali, popolari e socialisti. E che sia guidata dall' europeismo e dall'atlantismo. Tanto che, al riferimento alla "maggioranza Ursula" il premier affianca, in sede di replica, quello alla convergenza tra il suo programma e l'agenda Biden provando ad imprimere un'ulteriore spinta anti-sovranista al suo disegno. Operazione ambiziosa, la sua, e dagli esiti ancora incerti. Con un'appendice: per dar vita ad un rimpasto senza dimettersi Conte dovrebbe "convincere" i ministri interessati a lasciare l'incarico, cosa forse mai successa. Anche per questo, l'opzione Conte-ter rischia, per il premier, di essere l'unica via. 

Aleggia intanto qualcosa di surreale nella generale atmosfersa politica dell'Italia in preda alla pandemia e al nevoso gennaio 2021: una crisi politica forse prevedibile che è stata improvvisamente squadernata di fronte al paese e il suo probabile destino di non risoluzione neanche dopo il voto al Senato.

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