Covid, ci ammaliamo di più se respiriamo una carica virale maggiore?

La carica virale è l'espressione numerica della quantità di virus in un dato volume di fluido
La carica virale è l'espressione numerica della quantità di virus in un dato volume di fluido Diritti d'autore Pixabay
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Di Emma Beswick
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La gravità della malattia Covid-19 è tanto maggiore quanto il numero di particelle virali a cui siamo esposti? Rispondiamo qui.

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In pochi, nelle proprie vite, avevano sentito parlare di "carica virale" prima dell'inizio della pandemia di coronavirus. L'espressione indica la quantità quantità di virus presente in un dato volume di fluido.

La domanda è: la gravità della malattia Covid-19 è direttamente proporzionale al numero di particelle virali a cui siamo esposti? In che misura la carica virale influisce sulla facilità con cui una persona può infettarsi? 

L'Organizzazione Mondiale della Sanità indica che il coronavirus viene emesso in microscopiche particelle dalla bocca o dal naso di una persona infetta. Succede quando il soggetto infetto tossisce, starnutisce, parla, canta o respira pesantemente. Il virus si diffonde quindi principalmente attraverso le goccioline respiratorie che si passano delle persone a stretto contatto tra loro.

"È un gioco di numeri", dice a Euronews il professor Stuart Neil, capo del Dipartimento di Malattie Infettive del King's College di Londra. "Se si respirano un milione di particelle di virus, invece di 100mila particelle, allora le possibilità di essere infettati saranno circa 10 volte maggiori".

"Più cellule infette si assorbono, più il virus provoca danni, più è forte la risposta infiammatoria indotta e più ci si sente male", ha aggiunto.

Tuttavia, l'esperto ricorda che non si tratta di "una correlazione lineare" in quanto ci sono dei fattori che rendono l'equazione più complicata, come il fatto che non tutte le particelle di virus sono infette.

Se si entra in contatto con il virus toccando qualcosa, e poi magari ci si strofina la faccia, l'esposizione è molto più bassa rispetto, ad esempio, a qualcuno che ti tossisce in faccia in un reparto Covid.

Neil aggiunge che questa conoscenza del virus si basa su esperimenti fatti in laboratorio, ma la reale dinamica di trasmissione del virus è difficile da replicare completamente in un ambiente artificiale.

Una maggiore carica virale porta un paziente Covid a soffrire sintomi più gravi?

Se è vero che esistono articoli e studi che collegano la carica virale alla mortalità, Neil non pensa che possa essere fatta una correlazione in maniera così diretta. 

"Non c'è una grande correlazione tra la quantità di virus assorbita e la gravità della malattia. Ci sono molti esempi di persone che hanno una carica virale piuttosto alta e sono relativamente asintomatiche".

"Non c'è una linea retta, non funziona così".

Il prof. Neil prosegue spiegando che tanto più è grande "l'inoculo" di virus, maggiore è la probabilità di ammalarsi, poiché la velocità con cui il virus si replica potrebbe dipendere proprio da questo.  

Cosa si può ridurre il numero di particelle a cui siamo esposti?

"Ogni piccola barriera che si mette in mezzo produce un effetto", continua Neil riferendosi all'uso della mascherina, al lavaggio delle mani e al distanziamento sociale.

Sedersi accanto qualcuno, piuttosto che di fronte, oppure aprire le finestre per aiutare la dispersione di aerosol nell'aria può diminuire la carica virale da una persona infetta.

Tuttavia, non c'è nulla di più efficace dell'assenza di contatto fisico. "Non c'è altro modo di ridurre a zero il rischio di infettarsi", conclude il docente. I vaccini, secondo Neil, sono importanti ma potrebbero non essere l'arma finale per fermare la trasmissione del virus. 

"Le persone che hanno fatto il vaccino, specialmente se inoculati solamente con la prima dose, non dovrebbero dare per scontato di essere completamente sicuri per gli altri".

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