Tunisia: dieci anni fa iniziava la rivoluzione dei gelsomini. Quale è stato l'esito?

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protesta in Tunisia Diritti d'autore Hassene Dridi/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.
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Di redazione italiana e Ansa
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La madre di tutte le rivoluzioni arabe, passate alla storia con il nome di Primavere arabe. A che punto siamo? Il parere del direttore dell'@Ispi, Paolo Magri

La rottura incompiuta

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Il 17 dicembre 2010 il venditore ambulante Mohamed Bouazizi si diede infatti fuoco per protesta per la mancanza di lavoro e il suo gesto fece divampare la rivolta in tutto il Paese costringendo alla fuga un mese dopo l'allora presidente Ben Ali.

Il successo della 'Rivoluzione dei gelsomini' contagiò poi gli altri Paesi arabi. Kais Saied, indipendente e fuori dalle logiche partitiche, si impose nel 2019 proprio grazie al voto dei giovani e interpretando gli "ideali della rivoluzione". Ma cosa rimane oggi di quello spirito di rottura con il passato? Ecco un bilancio a 10 anni dall'inizio di quella sollevazione popolare che portò alla cacciata del presidente Ben Alì .

La Tunisia non ha subito le stesse sorti dei Paesi vicini, come Libia ed Egitto, o lontani come Siria e Yemen, ed è l'unico che a detta di molti può essere presentato come modello riuscito di 'primavera araba', ma non tutti i tunisini sono concordi su questa interpretazione. I problemi da risolvere sono gli stessi di sempre per un Paese che si trova in una regione che vive momenti difficili: bassa crescita economica, alto tasso di disoccupazione, terrorismo, corruzione ed evasione fiscale diffuse, migrazione irregolare, crisi libica, ingiustizia sociale, crisi istituzionale. Il tutto aggravato da una pandemia che ha bloccato anche l'economia turistica.

La Tunisia è senza dubbio l'unico paese della regione mediterranea ad avere intrapreso un percorso di cambiamento politico dopo le primavere del 2010-2011. Se i risultati di questi anni sono importanti, la transizione rimane complessa
Paolo Magri, direttore dell'Ispi

Il direttore dell'Ispi Paolo Magri ha dichiarato a Euronews: "La Tunisia è senza dubbio l'unico paese della regione mediterranea ad avere intrapreso un percorso di cambiamento politico dopo le primavere del 2010-2011. Se i risultati di questi anni sono importanti, la transizione rimane complessa e non poche sono le sfide che il paese si trova ancora ad affrontare. In questo contesto, la pandemia di Covid-19 e la conseguente crisi economica hanno acuito preesistenti criticità e vulnerabilità a livello socio-economico, nonché disuguaglianze di classe e tra regioni, provocando un diffuso senso di frustrazione e pessimismo tra la popolazione, anche nei confronti della classe politica e del governo tecnico di Hichem Mechichi in carica da settembre. Se il nuovo presidente Kais Saied, volto nuovo della politica al di fuori delle tradizionali élite, mantiene il gradimento popolare, non sembra però essere ancora riuscito a segnare una svolta significativa nella politica del paese".

I passi avanti della Tunisia

Vero è che questa "rivoluzione" ha comunque consentito lo svolgimento di diverse elezioni libere e regolari, tra cui anche quelle amministrative, la promulgazione di una nuova Costituzione nel 2014, la creazione di istituzioni stabili e democratiche, l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace a fine 2015 al Quartetto del Dialogo Nazionale tunisino, a consacrare in qualche modo la riuscita del modello di dialogo adottato in seno alla società tunisina. Ma al di là di questo, la Tunisia ha pagato un prezzo salato in materia di sicurezza e recessione economica e oltre alle semplici letture semplicistiche occidentali che vedono il Paese sempre e solo in lotta tra laici e islamici quando in realtà la società locale è molto più complessa, il potere politico sembra far fatica a mettere in atto una governance efficace.

Il percorso ancora da fare

Nove governi dopo, le riforme economiche, sempre promesse, appaiono come congelate, e il turismo ha subito un'altra battuta d'arresto per la pandemia dopo essersi ripreso dagli effetti disastrosi degli attentati terroristici del 2015. Proprio le riforme non attuate hanno causato l'interruzione l'anno scorso del programma di aiuti del Fondo monetario internazionale una cui delegazione è in questi giorni in Tunisia per rinegoziare un piano di sostegno che possa aiutare il Paese ad imboccare di nuovo la strada verso una crescita economica duratura.

Le difficoltà insomma restano molte, incluse la mancata implementazione della Corte costituzionale e un "imbarbarimento" dell'attività parlamentare, un tasso di disoccupazione troppo elevato e continue rivendicazioni sociali che bloccano le attività economiche delle zone produttive del Paese. Per questo c'è molta speranza nella recente iniziativa del potente sindacato Unione generale lavoratori tunisini (Ugtt), più volte protagonista nella storia della Tunisia, di un nuovo dialogo nazionale, definita "un'alternativa alle tensioni politiche e una via d'uscita dalla crisi", alla quale è stato chiamato ad aderire il presidente Saied. Il sindacato ha "invitato inoltre le diverse parti interessate a favorire l'iniziativa e promuovere le condizioni di successo al fine di preservare la Tunisia da ogni pericolo". Il timore è che le stesse cause dell'insurrezione popolare di dieci anni fa possano produrre gli stessi effetti oggi e che l'unica vera conquista della rivoluzione, ovvero la libertà di espressione, possa non bastare da sola ai giovani, se non accompagnata da migliori condizioni di vita e la prospettiva di un futuro migliore con un diverso modello di sviluppo.

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