Egitto, restano in carcere Zaki e Shaath, ma Macron assicura la fornitura di armi ad Al Sisi

Il presidente francese Macron riceve all'Eliseo Abdel-Fattah al-Sissi il 7 dicembre 2020
Il presidente francese Macron riceve all'Eliseo Abdel-Fattah al-Sissi il 7 dicembre 2020 Diritti d'autore Michel Euler/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.
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Di Lillo Montalto Monella
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La Francia è il principale esportatore di armi in Egitto. Una francese chiede a Macron di intercedere per la liberazione di suo marito, Ramy Shaath, detenuto abitrariamente in Egitto da oltre 500 giorni, ma l'Eliseo non usa la potente arma commerciale per mettere al Sisi all'angolo.

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Nel giorno in cui è stata prolungata di 45 giorni la custodia cautelare per Patrick Zaki in Egitto, il presidente Al Sisi viene ricevuto in pompa magna in Francia, con tanto di parata militare, visita all'Arco di Trionfo e all'Eliseo.

"Siamo stupiti nel vedere il tappeto rosso steso ai piedi del presidente egiziano", scrivono le Ong impegnate nella difesa dei diritti umani. La loro richiesta alla Francia di "passare dalle parole ai fatti", subordinando il sostegno militare all'Egitto al rilascio dei prigionieri politici, è però caduta nel vuoto.

Il rispetto dei diritti umani è stato sì uno degli argomenti in agenda dell'incontro Macron-Al Sisi, ma il presidente francese ha escluso di voler "condizionare" la vendita di armi francesi all'Egitto al rispetto dei diritti umani.

Sulla questione diritti umani "abbiamo disaccordi, ne parliamo in modo molto franco", ha detto Emmanuel Macron nel corso della conferenza stampa congiunta a Parigi con l'omologo egiziano.

Ma, ha aggiunto, non vogliamo "subordinare la nostra cooperazione in materia di difesa, come in materia economica, a questi disaccordi". Il presidente francese considera "più efficace una politica di dialogo esigente, piuttosto che una politica di boicottaggio, che ridurrebbe l'efficacia di uno dei nostri partner nella lotta contro il terrorismo e per la stabilità regionale".

Poche ore prima, una sua "compatriota" (come ama dire Macron) aveva chiesto al Presidente francese di farsi portavoce della liberazione di suo marito, Ramy Shaath, detenuto abitrariamente in Egitto da oltre 500 giorni.

Attivista egiziano-palestinese, Shaath è una delle più importanti figure della primavera araba del Cairo 2011, ex consigliere di Yasser Arafat ed è in detenzione "preventiva" dal giorno del suo arresto, il 5 luglio 2019.

Del suo caso, ha detto Macron, così come di "diversi altri casi individuali", si è parlato durante l'incontro con Al Sisi.

Shaath si trova rinchiuso nello stesso carcere di Patrick Zaki, quello di Tora, penitenziario di massima sicurezza riservato ai detenuti politici (sezioni Skorpion I e II) o per reati di terrorismo, in una cella di 25 metri quadrati con altre 13 persone.

Come Zaki, "dorme per terra, sulle coperte". Il suo stato di salute è stato descritto come preacario.

Sia per Shaath che per Zaki, dunqe, non si apriranno a breve le porte del carcere come già successo, settimana scorsa, a tre attivisti dell'Iniziativa egiziana per i diritti personali (EIPR).

"Il terzo circuito (terrorismo) della Corte penale ha deciso di rinnovare la detenzione del nostro collega Patrick George Zaki, ricercatore presso l'Iniziativa egiziana, per un periodo di 45 giorni.", riferisce la stessa EIPR su Twitter. "Patrick era stato arrestato il 7 febbraio mentre tornava dall'Italia, dove studia per un master, per trascorrere vacanze in Egitto".

Solo uno dei 700 prigionieri comparsi davanti al tribunale il giorno precedente è stato rilasciato, aggiunge EIPR.

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, si è detto amareggiato. "Patrick terminerà questo anno terribile nella prigione di Tora. È veramente il momento che ci sia un'azione internazionale guidata e promossa dall'Italia per salvare questo ragazzo, questo studente, questa storia anche italiana, dall'orrore del carcere di Tora in Egitto".

Secondo Hussein Baoumi, ricercatore ad Amnesty International per Egitto e Libia, l'Europa e gli Stati UE non stanno facendo abbaastanza, sulla scia del supporto incondizionato accordato da Trump ad Al Sisi "non vincolato al rispetto dei diritti umani".

Il caso dei tre attivisti rilasciati mostra che la pressione internazionale serve a qualcosa

Giovedì scorso, dopo l'appello di 17 Ong internazionali e delle attrici Scarlet Johansson ed Emma Thompson, sono stati scarcerati tre leader dell'organizzazione egiziana EIPR (Egyptian Initiative for Personal Rights).

Tuttavia, secondo la FIDH (Federazione internazionale dei diritti umani), "l'Egitto rimane una dittatura. Se due o tre persone vengono rilasciate oggi, altre saranno arrestate la prossima settimana".

Hussein Baoumi dice che in un momento in cui il rispetto dei diritti umani in Egitto "sta affrontando una minaccia esistenziale", una campagna internazionale coordinata come quella che ha portato al rilascio dei tre attivisti "può dare risultati positivi": gli Stati europei dovrebbero fare pressioni sull'Egitto minacciando la fine dei rapporti bilaterali o degli accordi commerciali.

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Hanno espresso soddisfazione per la liberazione dei tre attivisti sia la relatrice speciale delle Nazioni Unite dei difensori dei diritti umani, Mary Lawlor, sia la Commissione per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti.

L'Europa e gli Stati UE non stanno facendo abbaastanza, aggiunge Baoumi, sulla scia del supporto incondizionato accordato da Trump ad Al Sisi negli ultimi anni, "non vincolato al rispetto dei diritti umani".

Il regime egiziano, continua Baoumi, usa anche la carta migratoria ("da qui non partono barche verso l'Europa", l'argomentazione) per ricattare moralmente la UE - un po' come ha fatto la Turchia negli anni passati.

"Ankara negli anni passati si è presentata all'Unione Europea come partner importante nel controllo delle migrazioni, e sappiamo tutti com'è andata. I rapporti si sono inaspriti, e ora sono al loro punto più basso con alcuni Stati come la Francia".

Erdogan si è più volte scontrato con Macron negli ultimi mesi e l'Egitto è visto come prezioso alleato in funzione anti-turca nella regione.

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La Francia è il principale esportatore di armi in Egitto

Secondo l'Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), la Francia è uno dei 5 principali esportatori di armi nel mondo.

L'Egitto è il principale cliente di Parigi e nel periodo 2015-2019 ha acquistato il 26% del totale dell'export francese di armi. Il giro d'affari nel 2017 è stato di 1,4 miliardi di euro.Le importazioni di armi in Egitto sono nel frattempo triplicate, e ora lo Stato di Al Sisi è il il terzo importatore di armi al mondo. La tendenza al rialzo delle importazioni di armi dall'Egitto coincide con il suo coinvolgimento militare in Libia e nello Yemen, e i combattimenti con gruppi di ribelli nella penisola del Sinai.

Céline Lebrun, moglie di Ramy Shaath ed insegnante di scienze politiche, dice all'agenzia AFP che il fascicolo del marito "è completamente vuoto, le accuse ('disordini contro lo Stato') sono prive di qualsiasi prova". La custodia cautelare è stata rinnovata 19 volte in 17 mesi. Céline ha potuto parlargli al telefono solo due volte, una volta nel maggio 2020 e un'ultima in agosto.

Anche per la signora Lebrun, la Francia, l'Unione Europea e le istituzioni internazionali "hanno i mezzi per far ragionare l'Egitto". Attivisti e Ong raccomandano di subordinare qualsiasi aiuto all'Egitto a progressi concreti nei diritti umani, come è nelle intenzioni del presidente eletto degli Stati Uniti, Joe Biden.

Lebrun critica la posizione della Francia, secondo cui l'Egitto di Al Sisi sarebbe un "fattore di stabilizzazione regionale". "Ho l'impressione che l'Egitto assomigli sempre più ad una pentola a pressione pronta ad esplodere", conclude la docente. Dissidenti come suo marito potrebbero "canalizzare un'opposizione pacifica e democratica".

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Una politica miope, a corto respiro

"La Francia dovrebbe sostenere il movimento per la democrazia in Egitto, altrimenti - in assenza di una società civile - le relazioni bilaterali saranno sempre appese alle decisioni di Al Sisi. Non è una posizione sostenibile per il futuro, né strategica. É utile solamente per vantaggi politici a corto respiro", conclude Baoumi.

"Non solo: Macron rischia di perdere credibilità internazionale se da un lato dice di impegnarsi a promuovere il rispetto dei diritti umani in Egitto, e dall'altra non agisce di conseguenza. Le sue parole perderebbero di valore di fronte agli occhi del mondo".

Martedì alle 18 è prevista una manifestazione davanti all'Assemblea nazionale. Organizzata da una ventina di Ong, denuncia la "partnership strategica" tra Francia ed Egitto "in nome della lotta al terrorismo".

Al-Sissi, ex ministro della difesa egiziano, ha guidato il colpo di stato che ha rimosso dalla presidenza Mohamed Morsi nel 2013. Eletto nel 2014, Al-Sisi è stato confermato per un secondo mandato nel 2018, praticamente senza opposizione. Gli emendamenti costituzionali approvati nel referendum nazionale dell'anno scorso gli hanno consegnato la possibilità di rimanere al potere possibilmente fino al 2030.

"In Egitto oggi ci sono più di 60mila prigionieri detenuti per reati d'opinione", ha detto ad AFP Antoine Madelin, uno degli organizzatori della manifestazione e leader della FIDH. Le Ong denunciano il governo egiziano, colpevole di "abusare della legislazione antiterrorismo per reprimere il lavoro in materia di diritti umani e il dissenso pacifico".

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Durante una visita al Cairo ad inizio 2019, Emmanuel Macron ha invitato al-Sissi a "proteggere i diritti umani". Da allora, tuttavia, secondo Madelin "c'è stata un'escalation di repressione" che ha portato alla "situazione più grave della storia moderna egiziana". Persecuzioni e molestie ai danni di avvocati, giornalisti e difensori dei diritti umani sono all'ordine del giorno, ha aggiunto.

Madelin chiede lo stop alla vendita di armi e di apparecchiature elettroniche di sorveglianza da parte delle imprese francesi che rischiano "di diventare complici della repressione".

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